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sabato 11 aprile 2020

La Pinna Nobilis e Bisso... un destino intrecciato (Seconda Parte)

Nel mio pezzo precedente abbiamo parlato della Pinna Nobilis privilegiando il suo aspetto naturalistico ed accennando alle sue relazioni antropiche, in questa parte approfondiremo proprio quell'aspetto, purtroppo, vi avviso prima, potrei divagare ancora una volta sul viale dei ricordi. Come ho precedentemente raccontato ho passato molte estati a S.Antioco, dal momento che la mia famiglia, per ramo materno, proviene proprio dall'isola. Come successo a molti, anche noi dovemmo emigrare al Nord per questioni di pura sussistenza, ma come uso dire spesso “Puoi portare il cuore di un sardo lontano dalla Sardegna, ma non la Sardegna lontano dal suo cuore”.
Sapevo cos'erano le nacchere sin da bambino, sapevo che qualcuno ne utilizzava una parte per fare dei tessuti, ma è solo negli anni 90' che mi interessai di più alla cosa. Facendo da cicerone ad un amica venuta in vacanza sull'isola, ne approfittai per rifare il giro dei
Museo Etnografico di S.Antioco
siti archeologici e nel pacchetto era compreso una visita al Museo Etnografico di S.Antioco. Fu lì che un simpatico cicerone, oggi diremmo stewart, tra aneddoti e facezie ci diede le prime informazioni sul bisso di mare e di una signora del luogo che ne portava avanti la tradizione della tessitura. In realtà la mia amica, ne aveva sentito parlare già prima e quindi provammo a vedere se era possibile incontrarla. Stiamo parlando di Chiara Vigo, ora prima di continuare, devo chiarire un punto immediatamente; esiste una diatriba sull'isola di Sant'Antioco circa meriti, tradizioni ecc, io non entrerò nel dettaglio di quella che casso senza “se” e senza “ma”, come una sterile disputa. Più sotto ho postato dei link e dei filmati, ognuno di voi che legge si farà un opinione per conto suo visionandoli. Posso riconoscere alla signora Vigo però, il merito di aver portato la conoscenza di questa tradizione fin dagli anni 80' in giro per l'Italia e non solo, quindi credo al di là delle critiche che legittimamente ognuno di noi può muovere, questo glielo si debba riconoscere incontestabilmente, rimando alla mia riflessione finale, quella che è la mia “debol opinione”.
Fili di Bisso
Tornando a noi, la signora Vigo ci ricevette in casa sua una mattina d'agosto, credo fosse il 1991, avevamo spiato prima dalla finestra aperta di casa sua la stanza con il telaio aperta sulla strada, che poi ci portò a vedere successivamente. Fu molto cortese e ci spiegò le origini di questa forma d'arte/artigianato e il suo impegno per diffonderne la conoscenza al di fuori del ristretto bacino del Sulcis. Futile dire che ebbi a rivederla in giro per il paese o nelle vicinanze di casa sua diverse volte nel corso degli anni, ma quello fu il mio unico scambio di battute con lei e non ne ebbi una cattiva impressione ad essere sincero. Come ebbi modo di scoprire in seguito Sant'Antioco non fu l'unico luogo dove questa forma d'arte ebbe a svilupparsi. Questa tradizione era radicata anche a Taranto, occorre tuttavia fare qualche passo indietro. Dare un origine alla pratica di tessere il bisso è pressochè impossibile, la sua tradizione affonda nei millenni legandosi alle civiltà antiche del bacino mediterraneo e del vicino oriente. La fitta rete di scambi, rende difficile se non impossibile stabilire con esattezza dove, come e quando essa vide la luce, un riferimento certo però lo troviamo in fonti ben anteriori a alla cultura ellenica e romana, visto che nella Bibbia, Antico Testamento, se ne fa cenno, descrivendo questa manifattura come molto apprezzata e ricercata. In un passo ad es. del 2° libro delle Cronache, Salomone chiede, per la costruzione del tempio, che il re di Tiro gli mandi un uomo esperto nei filati di bisso e nella porpora cremisi e violetto, mentre in un altro passo dello stesso libro si dice che nel tempio tutti i cantori leviti erano vestiti di bisso. 
Foto di Marco Moretti


Nell’insieme troviamo ben 46 brani del testo biblico in cui si parla del bisso. Tramite ebrei e fenici, la tecnica della lavorazione del bisso ha finito così per arrivare fino ai greci, compresi quelli delle colonie del Sud Italia come Taranto. Il bisso lascia traccia di sé spesso nel corso della Storia, legando il suo fato a quello di civiltà, Re ed Imperatori. Si legge, ad esempio, nelle fonti antiche che: i dazii furono pagati ad alcuni Re di Egitto in tele di bisso; che di bisso erano le cortine del tabernacolo nel tempio di Gerusalemme; che famiglie distinte erano impiegate al lavoro del bisso nel vestibolo dello stesso tempio; che con velo di bisso si mostrò Cleopatra alla battaglia d’Azio; che di bisso, nei loro riti solenni, vestivano i sacerdoti di Egitto; inoltre il bisso era annoverato tra le più ricche derrate che dalla Siria erano trasportate a Tiro; era impiegato nelle regie vesti più solenni; i leviti cantori erano vestiti di bisso nel tempio di Gerusalemme; il re Davide accompagnò l’Arca con la stola di bisso; gli eserciti celesti sono vestiti di bisso nell’Apocalisse; di bisso vestiva la nobiltà indiana; in fasce di bisso fu avvolto il cadavere di Anchise; fasciate di bisso furono le ferite di Pezio eroe persiano; e per finirla, con veste di bisso la vedova di Alessi seniore andò incontro all’imperatore Manuele, nella sua entrata solenne in Costantinopoli. 
 
Tessitrici di Bisso

Plinio arriva a sostenere che la cosiderazione fosse tale, che i suoi manufatti fossero venduti letteralmente a peso d'oro. Lo stesso Plinio il Vecchio ne parla diffusamente nel suo Historia Naturalis, descrivendo le modalità di pesca intensiva con un attrezzo costituito da due archi di ferro congiunti da una pertica di lunghezza utile alla profondità a cui si utilizzava, che servivano a pinzare il mollusco, chiamandolo “pernilegum” Un altra tecnica di pesca consisteva nel mettere un cappio intorno alla conchiglia ad opera da un uomo che si tuffava in apnea, ed un altro che tirava la fune dalla barca. La raccolta e tessitura del bisso di mare fu fiorente sino al 500 d.C., data nella quale fece la comparsa in Europa il baco da seta. La lavorazione del bisso di mare era assai laboriosa, mentre quella del baco da seta allevato sulle foglie di gelso, era decisamente più conveniente e pratica, così questa fiorente lavorazione dovette cedere il passo. 
Pesca della Nacchera


La tradizione/lavorazione non si perse del tutto , ma finì per divenire una specializzazione che riguardava poche famiglie si tramandavano per una manifattura artistica di pregio, fatta di pezzi unici riservati per lo più ad omaggiare personaggi ed eventi importanti. Nell’Italia meridionale, Taranto che in epoca classica era stata il centro di una fiorente lavorazione, nei secoli più vicini a noi vide dunque abbandonata la tessitura e il prezioso filato fu usato solo per ricamare. Possiamo pensare, ragionevolmente che un simile destino fu riservato anche al bisso sardo. Tuttavia la tradizione non si perse: il Prof. Attilio Cerruti condusse negli anni ‘30, con fondi del CNR, una ricerca sull’accrescimento di Pinna nobilis L., da cui il bisso si ricava, a partire dagli stadi giovanili dell’animale raccolti nella zona di San Vito, ed inseriti in cassette di legno da collocare nell’ambito dell’allora esistente “zona sperimentale” nel Mar Piccolo. 
 
Foto di Marco Moretti
Pinna Nobilis (Linnè 1758)

Gli esperimenti di A. Cerruti sull’allevamento di Pinna Nobilis L. iniziarono nell’ottobre 1937 e proseguirono fino al settembre 1939. I risultati furono resi noti tramite due pubblicazioni: 1) A. Cerruti, 1937 – “Primi esperimenti di allevamento della “Pinna nobilis L.” nel Mar Piccolo di Taranto, in ‘La Ric. Scient., II, I: 7-8; e 2) A. Cerruti, 1939 – “Ulteriori notizie sull’allevamento della “Pinna nobilis L.” nel Mar Piccolo di Taranto, in La Ric. Scient., XVIII: 1110-1121. L'esperimento diede buoni frutti, ma alla fine il progetto fu abbandonato. E' noto che sino ai primi decenni del secolo scorso, esistevano ancora piccole produzioni di bisso ad Alghero, La Maddalena, Cagliari, Cabras, Bosa e Sant'Antioco.
 
Arazzo realizzato da Italo Diana

 Ci fu anche chi, preso dall'entusiasmo per le particolari proprietà del tessuto marino volle sperimentarne una produzione industriale. Giuseppe Basso Arnoux inviò dalla Sardegna decine di Kg di fibra alle filande del nord-Italia. Il risultato fu però fallimentare: le macchine non solo non riuscivano a filare quei fili, ma ne venivano danneggiate! Parallelamente sull'Isola di Sant'Antioco durante il ventennio fascista, quindi in un periodo del tutto omologabile a quello in cui operò la sua ricerca il Prof. Cerruti, veniva creata sull'isola una Scuola di Tessitura del Bisso di mare. La creazione di questa scuola si deve a Italo Diana, esiste una vasta mole di documentazione a questo riguardo. Essendo considerata una manifattura di pregio godè del favore del regime, lo stesso Diana realizzò( o fece realizzare) un arazzo nel 1938 in Bisso marino per farne dono a Benito Mussolini, in occasione della sua venuta in Sardegna per l'inaugurazione della fondazione dell'insediamento estrattivo di Carbonia. Una piccola curiosità: l'arazzo, destinato a Benito Mussolini il quale sarebbe stato presente a Carbonia per l'inaugurazione della cittadina mineraria, in origine recava anche la scritta W IL DUCE e il fascio littorio. Ma il manufatto non venne consegnato e in seguito il maestro Italo Diana provvide a cancellare scritta e fascio, camuffandoli con motivi stilizzati. 
Italo Diana


Come abbiamo detto precedentemente produrre il Bisso non era una passeggiata di salute. Italo Diana doveva pagare giornalmente i pescatori perché si dedicassero alla pesca delle nacchere, dalla quale veniva estratta la preziosa fibra. Sembra che capitasse che come corrispettivo veniva fornito del tabacco, genere questo che molti pescatori non potevano permettersi a causa dell’alto costo. Il mollusco, privato della sua barba, veniva quindi restituito ai pescatori per poterlo mangiare. Italo Diana animato da un insaziabile curiosità tentò anche la tintura del bisso con la porpora ricavata dal murice (come si faceva nell’antico Egitto), S.Antioco infatti, non difetta in quanto a presenza di “Bocconi” (nome con il quale si designano due murici: Stramonita Haemastoma – Linnè 1767 e Hexaplex trunculus – Linnè 1758), l'esperimento però non andò a buon fine, stesso risultato ebbero i tentativi con essenze vegetali. Ovviamente come si desume, ad Italo Diana, va riconosciuto il merito di aver salvaguardato una manifattura di pregio che rischiava di perdersi nel tempo, viene naturale pensare che sarebbe potuto accadere affidandosi solo ed unicamente alle tradizioni famigliari di poche e sparute famiglie, destino che abbiamo visto compiersi a Taranto. La scuola, che si trovava in Via Magenta a Sant'Antioco chiuse i battenti nel 1957, quando il Diana venne chiamato a Sassari come docente in una scuola d'Arte. Fortunatamente la sua opera diede i suoi frutti e quell'eredità non andò persa, diverse donne avevano appreso quell'arte da Italo Diana: tra loro Emma Diana (figlia di Italo) e la stessa nonna di Chiara Vigo.
Chiara Vigo e il museo del Bisso di S.Antioco

Una curiosità: Italo Diana non volle mai che nessuna delle sue figlie si interessasse alla produzione del Bisso, fortunatamente per noi sua figlia Emma contravvenne a questa volontà. Oggigiorno le poche produzioni di Bisso a Sant'Antioco ( e quindi al Mondo), ammesso che si possano chiamare ancora così, vere e proprie opere d'arte che nulla hanno di commerciale per il loro valore intrinseco, sono portate avanti da un numero ristretto di persone; oltre a Chiara Vigo, posso citare le sorelle Assuntina e Giuseppina Pes e Marianna Pischedda. Di quest'ultima ho potuto ammirare i lavori in una sua esposizione nei locali prospicienti Piazza Italia a Sant'Antioco, nell'Agosto del 2017 (non posto foto mie di quest'evento perchè non era permesso agli intervenuti scattarne).


Marianna Pischedda durante la sua esposizione

Riflessione Personale:
Vivo lontano da Sant'Antioco da molto tempo, e ci torno troppo poco, sicuramente meno di quanto vorrei, malgrado mi senta molto legato all'isola. Non è un segreto per nessuno che io sono un sostenitore di una AMP (Area marina protetta) nell'area di mare compresa tra le isole di San Pietro e Sant'Antioco ed il braccio di mare sino a Portoscuso, proprio perchè amo la mia terra ed il mio mare. Detto questo so che per me, causa la lontananza è fin troppo semplice mantenere il distacco da certe diatribe di paese che trovo incomprensibili, non vivendoci. Ho cercato di scrivere questo pezzo, senza partigianeria, attenendomi ai fatti certi. Per quel che riguarda questa tradizione della lavorazione del Bisso di Mare, posso solo concordare che sia al pari di altre tradizioni, un patrimonio dell'umanità da conservare e tramandare nel rispetto innanzitutto di chi quel Bisso lo origina: la Pinna nobilis. Ho sentito dire che esistono dei progetti per coltivare i Datteri di mare in blocchi di calcestruzzo, evitando la distruzione abusiva di decine di metri quadrati di scogli per un singolo piatto di pasta. Similmente se si vuole dare una possibilità al bisso, credo sia possibile perseguire anche l'idea del Prof Cerruti, senza per questo essere costretti ad uccidere l'animale. Il Bisso fa parte della nostra Storia, e la Storia non appartiene a nessuno in particolare, bensì è un patrimonio comune.



Link:

Sito ufficiale di Chiara Vigo   
Il bisso di Taranto 
Il Lusso e l'inimmaginabile: il Bisso marino
 
Youtube:


Mostra di Marianna Pischedda 

 

Le Trame del Bisso




Il Bisso e l'arte di Chiara Vigo

 

Arianna Pintus - La lavorazione del bisso






Buone Bolle!


Fabrizio Gandino
Subacqueodisuperficie”


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