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giovedì 22 agosto 2019

La Benna, l'altro relitto di Calafuria


 
E’ innegabile che per i sub i relitti hanno un fascino particolare, poterli rimirare nel silenzio degli abissi ha sempre un che di suggestivo, che spesso instilla una sorta di timoroso rispetto per le storie che hanno dietro il loro affondamento.
La costa di Livorno e il mare ad esso prospiciente non fa eccezione, sappiamo di un relitto del 700’ completo di ancora e cannoni alle Secche di Vada, una cannoniera americana di 40 metri sita a circa 22 metri di profondità dinanzi alla diga foranea di Livorno, la nave da Carico Gino Scardigli a 300 metri dal corridoio dei traghetti dinanzi al porto di Livorno a circa 65 metri di profondità, la nave tedesca Ss Kreta, pattugliatore della Kriegsmarine 167 metri di profondità nelle acque di Capraia e Geierfels e la Freienfels, due enormi piroscafi di costruzione tedesca, lunghi circa 160 metri ciascuno, a circa tre miglia e mezzo a est dell’isola di Gorgona e a 15 da Livorno, a 140 metri di profondità.
Per molti di noi, questi sono relitti che non vedremo mai, vuoi per i limiti dettati dalle areee in cui si trovano, vuoi per i parametri d’immersione che non sono certo alla portata di sub ricreativi.

Calafuria primi del secolo

Tuttavia sott’acqua ormai si trova di tutto, non solo natanti di ogni tipo, epoca e genere ma anche aerei, auto e altro…
Calafuria non fa eccezione… si lo so c’è il relitto della nave etrusca che il Gruppo Archeosub Labronico ha documentato così bene, ma non è di questo che parlerò oggi.
Chiunque si sia immerso a Calafuria ha sicuramente sentito parlare almeno una volta, dagli astanti della “Benna”.
Per me la benna è sempre stato la parte anteriore di un escavatore o di uno spartineve, per cui le prime volte che ne sentii parlare, non capì a cosa si riferissero, si aggiunga a questo che all’epoca delle mie prime immersioni il mio limite erano i 18 mt del mio brevetto Open Water e ci volle un po’ prima di capire.

Facciamo un passo indietro: sino dall’antichità, Calafuria, era un punto di passaggio obbligato per tutte le rotte di cabotaggio (navigazione paralleli alla costa per dirla alla buona) che, dalla Grecia e Magna Grecia, dai centri fenicio/punici e dalla stessa Etruria, conducevano al Mediterraneo occidentale; purtroppo era anche un tratto particolarmente infido per le navi antiche perché scosceso, ripido, privo di approdi e ripari e frequentemente soggetto a improvvise e violente libecciate e altre turbolenze meteomarine che ne giustificano tuttora ampiamente il toponimo.

Questo deve averla resa come tratto di costa, nel corso dei secoli, teatro di ben più di un naufragio, a questo aggiungete che fin dall’antichità sino a tempi collocabili alla metà del secolo scorso, la scogliera di Calafuria e i massicci rocciosi nell’immediato entroterra furono teatro di uno sfruttamento con le cave di Arenaria.
Dall’arenaria Macigno di Calafuria ne veniva estratta una pietra molto apprezzata per stipiti e architravi, pavimentazioni, loggiati ecc., ed impiegata frequentemente nella costruzione di palazzi a Livorno fin dal '500. C’è chi afferma che cave
trasporto via mare
come quella di Calignaia hanno permesso la costruzione di mezza Livorno. Se ne trovano testimonianza nella Fortezza Vecchia con stipiti e architravi, cordoli e pavimentazioni dei cortili, la Camera di Commercio con il suo loggiato frontale e molti elementi architettonici, il Palazzo Rosciano con le grandi colonne situate all'ingresso e molti altri anche di costruzione relativamente recente.
Si pensi che a Calafuria e soprattutto di Calignaia, cessarono del tutto i lavori solo intorno alla meta del '900 concludendo un'esperienza durata due millenni.
Lasciando aperto a tutt'oggi il problema del loro eventuale ripristino ambientale, problema assai complesso soprattutto per le cave più grandi ma divenuto ormai urgente.
Tuttavia C’è chi pensa che il commercio di questo materiale da costruzione non fosse limitato al solo immediato utilizzo nella vicina Livorno, il che ci porta fatalmente a ragionare sul tema di questo articolo.
All’epoca la strada litoranea non era come la conosciamo noi oggi e comunque la roccia pesa, quindi il trasporto via mare poteva essere una soluzione tutt’altro che da scartare.
Da alcune cartoline dell’epoca si possono vedere alcuni particolari che gettano luce sulla storia della nostra “Benna”, che altro non è che un classico carrello da miniera.
i carrelli da miniera
Assai probabilmente quello che possiamo vedere sul fondale non è altro che ciò che resta di un naufragio o di una parziale perdita di carico.
Dovete sapere che ai primi del 900’ il golfetto di Calafuria non era esattamente come lo vediamo oggi, la scogliera sotto il bunker (all’epoca ancora non esisteva) era stata in parte spianata per far posto sembrerebbe ad una sede rotabile che terminava nel muretto che esiste ancora oggi, mentre invece il ponte della strada non esisteva e da sotto il ponte della ferrovia un pontile si spingeva per un bel pezzetto dentro il golfo (si vedano le immagini).
Ma intanto, come di si arriva?
Si può entrare in acqua dal golfetto, oppure scendere a vostro rischio e pericolo bombole in spalla dalla scogliera che digrada davanti al Diving. Entrati in acqua avendo l’accortezza di rimanere davanti alla torre e al solco della sua catena negli scogli, pinneggiare finché dal promontorio alla vostra sinistra non emerge il castello del Boccale e riuscite a vedere la terza finestra. Si scende qui e dovreste trovare sotto di voi la cosiddetta cigliata nord su 15 mt di fondo. La si tiene sulla destra sino ai 30 mt circa, direzione 240°. Qua sulla nostra destra si apre una sorta di Canyon chiuso su tre lati, composto da pareti ricoperte da corallo rosso e spugne gialle sul lato destro. Sul fondale troverete uno pneumatico di camion e poco prima qualcosa di una struttura che mareggiata dopo mareggiata sta emergendo (non ho idea di cosa sia) ed un carrello da miniera con una fiancata distrutta dalla corrosione (La benna) a circa 33 metri di profondità.
Bisogna prestare molta attenzione al fondale fanghiglioso, da cui è fin troppo facile tirare su del sedimento.
Negli anni ci sono tornato diverse volte, fin da quando i miei limiti di brevetto me lo hanno consentito, il carrello sembra emergere maggiormente dopo ogni mareggiata, poco lontano si vede ora una specie di tubo e proprio dove il Canyon si stringe, il posto da cui farete ingresso dall’alto sembra emergere qualcosa da sotto la sabbia.
Tempo fa a causa di un errore di navigazione mi capitò di riemergere vicino al golfetto del Boccale e in quel caso vidi tra le rocce un “secchio” di ferro da miniera pieno di concrezioni, probabilmente parte dello stesso carico a cui apparteneva la nostra benna.
Forse non sarà un granchè come relitto, ma come ogni relitto racconta una storia, e come ogni storia chiede solo di essere ascoltata.
Un ultimo appunto.... guardate l'immagine immediatamente sotto... sembra una chiatta da recupero che sta tirando su un relitto, sarà una coincidenza forse, ma quella, occhio e croce  è la posizione dove oggi dovrebbe trovarsi la benna, inoltre buona visione del video.

L'immagine dovrebbe essere del secondo dopoguerra







Buone Bolle!


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Fabrizio Gandino 



"Subacqueodisuperficie"