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domenica 25 settembre 2022

Un compleanno da ricordare : Secca di Chia

 


La fine di Agosto-inizio Settembre può essere ancora un ottimo periodo per fare qualche bella immersione nel Sud Sardegna, è il mio periodo preferito a dire il vero, finiti i grandi esodi turistici si respira un po' di quell'aria familiare che vivevo da bambino quando riuscivo a passare ben tre mesi di ferie dai nonni a Sant'Antioco.


 

Ho conosciuto il Diving Center di Chia qualche anno fa, quando in pieno periodo Covid, con poco tempo a disposizione, cercavo un Diving per fare qualche tuffo a fine stagione.

Sant'Antioco ormai non ha più Diving da qualche anno sull'isola, il che mi ha spinto a dovermi spostare sull'isola di San Pietro diverse volte, belle immersioni che ho anche documentato qui sul blog, ma per niente agevoli per me come trasferta, malgrado la distanza non certo grandissima, a causa dei collegamenti tra Calasetta e Carloforte, orari e disponibilità.

Sebbene Chia sia ad un ora di strada da Sant'Antioco, muovendomi in auto, mi rende decisamente più libero di gestirmi non dovendo sottostare ad orari e disponibilità dei traghetti che collegano le due isole.

Davide Morelli

Conobbi Davide Morelli, il titolare del "Diving Center Chia", circa tre anni fa e mi fece subito una buona impressione, nei due anni a succedere, sempre di corsa (nonostante le ferie) e il poco tempo, sono tornato a Chia per immergermi. (vi rimando al video editato su Youtube delle immersioni dell'anno scorso https://youtu.be/08hq-s_U00A).

Quest'anno ho deciso di festeggiare il mio compleanno e quale modo migliore di farlo se non con un immersione?

La giornata si presentava con un cielo tendente al coperto, ma con il vento quasi in bonaccia, cosa piuttosto rara da queste parti, quello che ancora non sapevo era che proprio questa condizione così perfetta mi avrebbe permesso un esperienza inaspettata.


 

Il sito dell'immersione era la Secca di Chia, prospiciente la spiaggia di Cala Cipolla, si tratta di un “cappello” sui 20 metri circa di profondità che digrada di poco intorno ai 25 metri.

Le immagini che vedete allegate sono estrapolate dai video della GoPro, visto che la custodia della macchina fotografica si è allagata.

Mi ero già immerso nelle acque di Chia altre volte come già detto in precedenza, ma nulla mi aveva preparato al volume di quello che avrei visto.


Neppure eravamo scesi sull'ancora, che la prima scena che si mostrò ai miei occhi fu un inseguimento, tra uno Scaro maschio (Parisoma Cretense) di grossa taglia e una Donzella pavonina (Thalassoma pavo) anch'essa adulta e maschio, ma come lo sguardo si distoglieva era un tripudio di vita. Non facevo in tempo a provare a riprendere qualcosa che Luca, la nostra guida, indicava qualcos'altro: Polpi (Octopus Vulgaris), banchi di sparidi di ogni tipo ( Sarago maggiore, Sarago fasciato, Occhiate, Orate, Dentici, solo per citarne alcuni), una murena (Murena helena), le onnipresenti Castagnole (Chromis chromis) sia nella loro forma adulta che si avanotti blue elettrico, Donzelle (Coris julis) e ancora perchie (Serranus cabrilla), Sciarrani (Scriarranus scriba), Tordo pavone (Symphodus tinca), Scorfano rosso (Scorpaena scrofa) .


 

Non potevano mancare ovviamente qualche Cernia bruna (Epynephelus marginatus).

Non credo di esagerare dicendo che un simile tripudio di vita l'ho trovato solo nell' AMP di Portofino; sebbene il mare fosse relativamente calmo si avvertiva comunque una debole risacca la sotto, mentre mi stavo spostando la mia attenzione da una grossa Vacchetta (Peltrodoris atromaculata) ad una piccola aragosta di cui avevo intravisto le antenne e smadonnando tra me e mè per il gesto istintivo di puntare la fotocamera, subito riportato dolorosamente alla realtà dall'acquario che c'era dentro lo scafandro, ho sentito uno strano rumore, come una specie di musichetta. Istintivamente ho portato lo sguardo al mio computer, ma lì era tutto tranquillo, ho cercato con lo sguardo intorno a me, ma non ero relativamente vicino a nessuno dei miei compagni.


 

L'immersione continua, un orata con la coda smangiata da un morso mi passa poco lontano, Luca segnala nuovamente un avvistamento nel blu, mi avvicino per cercare di capire meglio ed allora li vedo, un grosso banco di Barracuda (Spyraena viridensis), si staglia nuotando placido; non credo cesserò mai di meravigliarmi dinanzi a simili spettacoli, ancora tiro giù qualche accidente per la macchina fotografica inservibile, provo a riprendere con la GoPro pur con i suoi limiti. Ed ancora torna quel suono mi guardo intorno, riguardo il computer, non mi sembra la classica musichetta di allarme di un computer da immersione.


 

L'immersione continua ancora e sulla strada del ritorno alla catena vedo una Musdea (Phycis phycis) in un anfratto e subito dopo alcune Corvine (Sciaena umbra), di nuovo quel rumore, quel suono con una sua armonia... guardo ancora il computer e mi guardo intorno, che sia in narcosi da azoto?

Siamo giunti sotto la barca ormai, ho terminato la sosta di sicurezza e mi dirigo verso la catena quando vedo una scena, che definire curiosa è poco.

Davide ha guidato un altro gruppo, quindi l'ho visto poco in immersione, è lontano da me circa una decina di metri, si sta agitando con intorno qualcosa di grosso e nero.

Mi avvicino per capire, non sono il solo, mi chiedo quale creatura abissale lo stia attaccando, ok prima i suoni e poi questa scena, comincio ad avere qualche dubbio sulle mie percezioni e sanità mentale.


Oh ragazzi! Davide ha trovato un giaccone di lana nero e sta provando ad indossarlo effettuando nel contempo una svestizione in acqua, da provetto sub quale egli è, vi riesce con qualche benevolo aiuto e le le risate che riecheggiano dentro gli erogatori degli astanti.

Ritornati in superficie e saliti sul gommone, sta piovigginando, il moto ondoso è in crescita e partiamo poco dopo. A bordo la soddisfazione è palpabile, è stata sicuramente una bella immersione, Luca, la nostra guida mostra un pezzo di lenza con grossi ami, il resto di un palamito, forse illegale che ha rinvenuto tra le rocce.


 

Davide al timone, dice di aver sentito come una specie di canto sott'acqua e che probabilmente si trattava di qualche mammifero marino, ma nessuno dei nostri sguardi nel blu ci hanno dato una risposta, beh almeno non sono ammattito. Il fatto di non aver visto chi li ha emessi non è poi così strano, visto che in acqua i canti dei mammiferi marini possono viaggiare anche per diversi chilometri.

E' stata sicuramente una bella immersione da ricordare, resa possibile dalle condizioni meteo estremamente favorevoli e non frequenti, per quel particolare sito, il modo migliore di festeggiare il 53esimo compleanno.


 

Qualche dato utile circa il sito di immersione:


Livello di Esperienza: Neofita/Intermedio
Profondità massima: 25 mt. circa
Profondità media: 15 mt.


Link:

https://www.chia.it/diving.htm

https://www.divemania.it/divesite/secca-di-chia


Buone Bolle!!!!




Fabrizio Gandino

"Subacqueodisuperficie"

 


 

martedì 13 settembre 2022

Un tipetto solo fotogenico!


Sono tanti anni che vado in acqua, qualche cambiamento ogni tanto e qualche novità  tengono viva la voglia e il grande piacere di continuare questa bellissima attività.  Vorrei rendervi partecipi di una di queste mie esperienze. 

Precisamente ad agosto del 2014 andai in ferie in Calabria e qualche mese prima di partire, mentre mi documentavo sui punti di immersioni e possibili soggetti particolari del luogo da fotografar,e mi imbattei in un curiosissimo e altrettanto bellissimo soggetto : il vermocane.



Non lo avevo mai visto prima, quando arrivai al diving parlando con lo staff gli chiesi se era consueto vederlo e fotografarlo e rimasi sorpreso dalla loro risposta: "ne troverai in quantità industriali di quei bastardi!!!" 

Mi fu spiegato che da qualche anno oramai era sempre più presente e non avendo predatori si stava espandendo in modo veramente importante, mangiando e predando qualsiasi cosa egli si trovasse davanti.

Durante le mie vacanze  effettivamente lo trovai molte volte e devo dire che è tanto pericoloso e urticante quanto bello.


Qualche anno dopo con mio grande stupore nel sud della Sardegna l'ho ritrovato durante un'immersione, si trattava di un esemplare molto grande, un solo soggetto, in una spaccatura a Punta karalis, isola di Serpentara. Era il preludio di quello che purtroppo questa estate sarebbe diventata la "nuova normalità". Durante ogni immersione di quest'anno almeno cinque, sei esemplari, dai più grandi e molto piccoli, trovati su spugne, sopra le gorgonie, ammassati su qualche sfortunato pesce.


Fotograficamente parlando é un soggetto molto fotogenico, si muove lentamente, ha dei colori accesi e caldi, le piume si prestano a macro di vero impatto, insomma un bel tipino!!! Adesso giro la parola a Fabrizio che sicuramente ci darà qualche nozione in più a livello biologico e storico.

 

Buona luce e buone bolle!!

 

 Marco Moretti









Bene grazie Marco, riprendo appunto da i nostri discorsi a proposito fatti tempi addietro che mi indussero a cercare di sapere qualcosa di più su questa creatura particolare. Vermocane (Hermodice carunculata Pallas, 1766), sono in molti a considerarlo una sorta di flagello, come peraltro gli amici di Marco in Calabria lo avevano definito, ma questa fama sinistra è meritata?



A seconda dei luoghi viene chiamato con nomi diversi,
verme cane, verme di fuoco o verme di mare, si tratta di un verme appartenente alla classe dei policheti, ne è documentata la residenza nelle acque del Mediterraneo fin dall'800', sebbene alcuni miti greci facciano risalire la sua presenza anche a prima di quel periodo. I vermocani sono animali leggendari dell'antica Grecia che avrebbero avuto due sembianze: la prima era un cane senza arti che strisciava, la seconda un insetto che abbaiava e viveva nell'inferno. Il suo aspetto, come potete ben vedere dagli scatti di Marco e dai filmati che sono a piede di pagina è particolare, i colori caldi e sgargianti spesso sono sinonimo di un messaggio piuttosto chiaro in mare: "Lasciami perdere non sono buono da mangiare e con me ti fai male". 



Non è precisamente una novità se pensiamo ai colori sgargianti dei nudibranchi (piuttosto velenosi da ingerire per qualsiasi pesce) o anche delle varie varietà di scorfani; tra i sub esiste una regola generale circa il comportamento in presenza di creture del genere e recita più o meno così, "Se è troppo bello o troppo brutto o non si allontana quando ti avvicini, non toccare e stanne alla larga", il caso del Vermocane è calzante. Il suo aspetto può variare dall’arancio al rosso scuro, dal viola al verde profondo con ciuffi di chete bianche ben visibili

La sua diffusione sta conoscendo in questo ultimo decennio una brusca accellerata, legata sopratutto al riscaldamento delle acque, conseguenza diretta del cambiamento climatico. Possiamo tranquillamente definirlo una specie termofila, in quanto ama le acque temperate/calde e visto che sotto i 19°C va in una sorta di stasi, rimanendo però pienamente vitale in attesa che le condizioni mutino in suo favore.

Da un punto di vista evolutivo questo piccolo demonio è un vincente, la sua dieta è fortemente adattiva, è un opportunista che è capace di nutrirsi di carogne e detriti organici, ma non ha nessun problema ad attaccare per nutrirsi, in caso di bisogno anche coralli, anemoni, ottocoralli, gorgonie, zoantidi, spugne, ricci e stelle di mare alla bisogna. Sembra che riesca a predare anche le oloturie, i molluschi e udite udite, i nudibranchi.

Pur essendo una specie altamente invasiva e impattatante sugli ecosistemi marini, non è però una specie aliena, nel Mediterraneo c'è sempre stato, ma con concetrazioni di individui assai minori e fortemente localizzate nella parte più meridionale del nostro mare. 

Ha una sorta di schiera di setole chitinose attorno al corpo che hanno una duplice funzione offensiva/difensiva, possono spezzarsi e rimanere dentro chi ha avuto la sfortuna di toccarlo anche inavvertitamente. Il contatto genera una forte sensazione di bruciore, seguita spesso da una reazione infiammatoria e anche edema ad opera di una sostanza: la Complanina. Le tossine contenute nelle chete sono esse stesse un piccolo mistero: il meccanismo di trasporto delle tossine è ancora oggetto di studi, tanto che nel vermocane non è ancora chiara la natura chimica stessa della tossina che cagiona l'irritazione. Alcune scoperte recenti portano a dedurre che non si tratti di un unica sostanza, ma che questo nostro antipatico amichetto sia in grado di produrre una mistura di tossine appartenenti a 24 classi differenti.

Diffusione del Vermocane


Un dato preoccupante è anche l'aumento della taglia degli individui avvistati, se inizialmente la taglia media era stimata intorno ai 30 cm, oggi questo parametro è stato elevato a 50 cm, ma anche individui sino a 70 cm!

Il problema maggiore è che non ha nel Mediterraneo antagonisti naturali o predatori in grado di limitarne l'espansione, un possibile competitor come l'Exaplex trunculus che sostanzialmente tende a nutrirsi di animali morti o morenti e altri detriti organici, rischierebbe di divenire la sua cena.

Sembra che alcuni gamberi della varietà Stenopus siano in grado di attaccarlo e cibarsene, oppure una lumaca marina, la Hidatyna, ma solo per esemplari di piccola taglia, per il resto sappiamo di pesci ossei tipici dell’Atlantico, come Haemulon plumierii e Malacanthus plumieri, ma sono nell'Atlantico appunto. Ho inteso da alcuni articoli di tentativi di vere e proprie battute di caccia da parte di sub nei suoi confronti, ma attenti non pensate di tagliarlo in due, ogniuna delle due parti rigenererebbe quella mancante (individuabile perchè con un colore differente). Insomma una bella gatta da pelare. Le abitudini di questo verme sono passate ormai da spazzino opportunista  di sostanze in decomposizione, mangime non consumato, animali deceduti o morenti e altri detriti, a vero e proprio predatore che si riunisce e moltiplica in colonie anche decine, centinaia di individui.

 

Mappa diffusione attuale del Vermocane nel Mediterraneo


Buone Bolle e alla larga da questi tipetti!



Link:

https://www.biologiamarina.org/vermocane/

 https://www.ideegreen.it/eliminare-il-vermocane-112654.html

https://www.usticadiving.it/una-nuova-specie-invasiva-nel-mare-di-ustica-i-vermocani/

https://www.biopills.net/vermocane/

 

 Di seguito un video realizzato ad Agosto del 2021 a Chia (SU) dove vedrete anche alcuni esemplari di Hermodice carunculata.


 

 

 

Fabrizio Gandino

"subacqueodisuperficie"

 



Se



lunedì 1 agosto 2022

Meduse, facciamo un po' di chiarezza

 

"Le meduse compaiono soprattutto in estate, dopo la fioritura del fitoplancton a febbraio-marzo e quella dei crostacei a marzo-aprile. In ogni caso, quando ci sono si vedono, quindi evitarle è semplice: basta non fare il bagno! Ricordate che le meduse non attaccano l'uomo, siamo noi che andiamo loro addosso."

 


Tutte le estati ci dobbiamo rassegnare alle medesime scene, ma questa più di altre vuoi per le temperature decisamente sopra la norma e la siccità che sta cambiando letteralmente alcuni ecosistemi relativi all'alveo dei fiumi, sta tenendo banco l'argomento “Meduse”.

I giornali sempre a caccia di titoli sensazionalistici, ci marciano diffondendo panico ed un ingiusta fobia verso una specie animale solo in parte pericolosa, sarebbe come iniziare a sterminare i gatti perchè felini come Leoni e Tigri. Inoltre le meduse sono parte integrante della catena alimentare di molte specie ittiche che consumiamo abitualmente, come i tonni ad esempio. Da qui ad assistere a scene di "impavidi" genitori e relativi bambini per sentirsi degli eroi spiaggiano sotto il sole qualsiasi cosa galleggi, senza nessuna discriminazione conoscitiva è un attimo. Si ricorda inoltre che prelevare meduse dal mare e portarle in spiaggia per farle morire al sole senza nessun motivo è reato di maltrattamento di animali e si rischia una pesante multa o addirittura il carcere

 Il reato si configura come tortura, violazione del'articolo 544 ter del Codice Penale, ed è punito con la reclusione da tre mesi a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro.

Foto di Fabrizio Gandino 

 

Tanto per cominciare facciamo un po' di chiarezza, con “medusa” si definisce un animale planctonico, in prevalenza marino, appartenente al phylum degli Cnidari. Generalmente rappresenta uno stadio del ciclo vitale che si conclude dopo la riproduzione sessuata con la formazione di un polipo; assieme agli Ctenofori formavano una volta quelli che erano i Celenterati. Stiamo parlando infatti di organismi molto antichi, la cui memoria affonda nelle radici del tempo e dell'evoluzione stessa della vita sul nostro pianeta.

Eleganti e raffinate, innocue o terribilmente pericolose, che siano, le meduse sono presenti nei nostri mari da molto tempo. La loro esistenza si stima sia anteriore al Cambriano, esattamente con la forma e le funzionalità di adesso. Ciò significa che questi animali non si sono evoluti in un miliardo e mezzo di anni, e questo perché non né hanno avuto bisogno, erano già evolute quando si sono presentate nelle nostre acque. Le meduse sono presenti nei nostri mari solitamente in foltissimi branchi composti da centinaia se non migliaia di esemplari. Molte specie hanno un ciclo vitale “diverso”, cioè non vengono trasportate dalla corrente ma hanno una forma sessile, e passano parte della loro vita attaccate sul fondo, sotto forma di polipi.

Foto di Salvatore Fabiano 

 

Quest'ultimi vivono attaccati sul fondale, dove possono vivere diverso tempo senza riprodursi, poi grazie alla strobilazione, processo per cui lo stadio larvale della medusa si stacca dall’animale, la medusa passa dallo stato sessile a quello pelagico. La domanda che i biologi marini si stanno ponendo è: come mai nel mondo il numero di meduse aumenta ogni anno? Due parametri vengono valutati nello studio dell’aumento di tali animali: l’innalzamento globale della temperatura delle acque ed il depauperamento delle risorse ittiche, in particolare la pesca intensiva dei predatori naturali delle meduse. Centinaia di specie rappresentano questi animali, da quelle microscopiche a quelle gigantesche, con ombrelli che spesso superano i 3 metri di diametro.



Le meduse compaiono soprattutto in estate, dopo la fioritura del fitoplancton a febbraio-marzo e quella dei crostacei a marzo-aprile. In ogni caso, quando ci sono si vedono, quindi evitarle è semplice: basta non fare il bagno! Ricordate che le meduse non attaccano l'uomo, siamo noi che andiamo loro addosso. Recenti dati del CNR confermano che gli avvistamenti di meduse nel Mediterraneo sono decuplicati negli ultimi 10 anni. È un fenomeno che riguarda solo alcune zone del pianeta, tra cui i nostri mari: “L’analisi di metadati, su scala globale, ha permesso di stabilire che in altre zone del mondo le popolazioni di meduse sono stabili o sono addirittura diminuite. Nel Mediterraneo, invece, alcune specie hanno aumentato la propria densità”, spiega Mar Bosch-Belmar, biologa marina dell’Università del Salento. Ma andiamo a conoscere quelle più comuni, o che potremmo incontrare nel Mediterraneo.



Le specie più importanti di medusa presenti nel Mediterraneo

  1. Pelagia noctiluca

  2. Rhizostoma pulmo

  3. Aurelia aurita

  4. Velella velella

  5. Cothyloriza tubercolata

  6. Phyllorhiza punctata

  7. Chrysaora hysoscella

  8. Cassiopea andromeda

Meno frequenti ma ormai presenti

  1. Carybdea-Marsupialis

  2. Physalia-Physalis


  1. Pelagia noctiluca, chiamata da alcuni anche “medusina viola”, “Medusa luminosa” tra quelle urucanti è in assoluto la più comune nel Mediterraneo. E' una specie della famiglia Pelagiidae. Famosa perché considerata la medusa che si illumina di notte, la Pelagia noctiluca è comune nel Mar Mediterraneo e nell’Oceano Atlantico orientale fino al Mare del Nord, anche perché negli anni è diventata l’incubo dei bagnanti italiani. Viene definita la medusa luminosa notturna (noctiluca) perché la bioluminescenza, di colore verde, di cui è dotata la rende visibile anche di notte. Si nutre di plancton e di piccoli pesci che cattura tramite i tentacoli dotati di urticanti nematocisti.



  1. Rhizostoma pulmo, medusa polmone di mare é una grande medusa di colore bianco riconoscibile da un orlo di colore blu nella parte inferiore dell’ombrello (o cappello). Il polmone di mare può pesare sino a 10 Kg e superare il metro  di diametro. Si tratta di una specie innocua, anche se il contatto con essa puo’ provocare pruriti, dermatiti ed arrossamenti a persone sensibili. Vive spesso in simbiosi con dei piccoli pesci come suri, piccole ricciole o piccole boghe (Boops boops) che si proteggono dai predatori nuotando all’interno dell’ombrello della medusa.  Puo’ essere parassitata dal piccolo creostaceo Hyperia galba. Il nome scientifico del polmone di mare è Rhizostoma pulmo. Le braccia orali del polmone di mare ospitano spesso alghe unicellulari fotosintetiche come le zooxantelle, che danno tonalità gialle, marroni o verdi. Presente praticamente in tutti i mari del pianeta, R. pulmo é una medusa planctonica che si muove lentamente in acque poco profonde. È comune nelle lagune e negli estuari.Il polmone di mare si nutre generalmente di plancton, le piccole prede vengono aspirate attraverso gli ostioli della bocca e quindi digerite all’interno della cavità gastrica. Prede più grandi, come i piccoli pesci, possono essere digerite sulla superficie stessa dei lobi della bocca ricoperti di cnidociti . Personalmente mi capita di vederle spesso con parti mancanti, come vistosi morsi.

  2. Aurelia Aurita, La medusa quadrifoglio è una delle meduse più note e diffuse appartenente al genere Aurelia. È facilmente riconoscibile dalla forma perfettamente sferica del suo ombrello, di un bianco diafano e trasparente, e soprattutto dalla presenza, sulla sommità dello stesso, di quattro strutture circolari, le gonadi, che formano una struttura a forma di quadrifoglio, da cui deriva il nome comune della specie. Possiede inoltre dei corti e sottili tentacoli urticanti, che scendono dal bordo dell'ombrello, dandogli un aspetto frastagliato, e quattro braccia più spesse che dipartono dal centro dell'ombrello, evidenti però solo negli individui più anziani. A. aurita viene predata da numerosi organismi marini di grandi dimensioni; i suoi principali predatori sono alcuni uccelli marini, pesci come il pesce luna (Mola mola)e rettili marini, prima fra tutti la tartaruga liuto (Dermochelys coriacea). Può essere predata anche da altri cnidari: in particolare idromeduse (come Acqueorea victoria)  e scifomeduse (come Phacellophora camtschatica). Anche l'uomo spesso caccia questa medusa: in particolare in Giappone, Cina, Indonesia e Filippine, le meduse di questa specie sono molto ricercate.

  3. Velella velella, (un piccolo idrozoo che spesso si trova spiaggiato dopo le tempeste) soprannominata la “barchetta di San Pietro” a causa di una  cresta di forma triangolare simile ad una vela, che le permette di muoversi sulla superficie dell’acqua tramite la spinta del vento. La Velella è in realtà una colonia formata da un individuo medusoide modificato che fa da vela e capta il vento per spostarsi mentre al di sotto del disco ci sono numerosi individui polipoidi che si occupano dell’alimentazione e della riproduzione.

  4. Cotylorhiza tuberculata, ha un aspetto bizzarro che ricorda quello di un grande uovo fritto o di un disco volante, ma è una splendida medusa. Stiamo parlando della Cotylorhiza tuberculata, meglio nota come medusa Cassiopea e vive nei nostri mari. Negli ultimi anni c’è stato un boom di avvistamenti nel Mediterraneo, ma niente paura. Se vi capita di notarla in acqua, non fatele del male e non catturatela. Nonostante le sue notevoli dimensioni, non è pericolosa visto che il suo potere urticante è davvero minimo. La medusa Cassiopea preferisce nuotare a pochi metri di profondità e non è affatto raro incontrarla sulle nostre coste, in particolare nel mar Adriatico. Spesso sotto il suo ombrello trovano ospitalità piccoli pesci, noti come sugherelli. Svolge un ruolo importante per i nostri mari perché funge da filtro per l’acqua e contribuisce al mantenimento della catena alimentare.

Foto di Filippo Neri 


  1. Phyllorhiza Punctata, chiamata anche colloquialmente medusa dalla bocca a pois, è molto simile alla specie Mastigias Papua, ma ha più macchie bianche sullo schermo. Il colore della tonalità varia tra il brunastro e il bluastro. L’area di distribuzione originale è l’oceano Pacifico e l’oceano Indiano. Da alcuni anni, però, è stato trovato anche come organismo invasivo nel Golfo del Messico ed ora anche in Italia. Specie alloctona originaria dell’Australia, segnalata la prima volta nell’estate del 2009 in Sardegna, nelle acque antistanti l’isola di Tavolara. E’ facilmente riconoscibile, per via delle tante macchie biancastre che ricoprono l’ombrello. Non è urticante.



  1. Chrysaora hysoscella è una medusa piuttosto diffusa nell'Oceano Pacifico ma avvistamenti vengono fatti regolarmente anche nel Mar Adriatico e nel Golfo di Trieste. Questa specie è comunemente conosciuta col nome di medusa bruna o medusa compasso, a causa delle sedici bande marroni a forma di V che ornano tutta la superficie dell'ombrella. Può arrivare sino a quaranta di diametro e i suoi ventiquattro tentacoli possono superare il metro di lunghezza, caratteristiche che, assieme all'inconfondibile colorazione, la rendono facilmente riconoscibile in acqua. Se incontrata, è bene rimanere a debita distanza: il contatto con i tentacoli può infatti provocare dermatiti, benché non sia tra le specie più urticanti in assoluto. La Chrysaora hysoscella è una specie che spesso viene allevata nei grandi acquari; alcuni esemplari sono ad esempio visibili in quello di Genova.

  2. Cassiopea andromeda, specie lessepsiana, è arrivata in Mediterraneo dal Canale di Suez, questa specie sta risalendo lungo le coste turche. All’inizio del 2010 è stata segnalata a Malta, e quindi è arrivata alle porte di casa nostra. Di solito si trova su fondi sabbiosi, ma può essere presente anche su quelli rocciosi. Piccola, massimo 30 cm, sta posata sul fondo marino. L’ombrello è rivolto verso il basso, mentre bocca e tentacoli verso l’alto: per questo Cassiopea viene chiamata in inglese “medusa al contrario”. Sta rivolta verso l’alto perché possiede alghe unicellulari come quelle dei coralli delle formazioni coralline che vivono in simbiosi con la medusa e che quest’ultima deve esporre alla luce che filtra nell’acqua. Per questo a volte ad una prima occhiata viene scambiata per un anemone, ma non lasciatevi ingannare, il muco di cui sono ricoperte è urticante, ciò dipende dal fatto che esso contiene numerose cellule mobili microscopiche (100-500 micron) di forma irregolare (chiamate cassiosomi) rivestite di nematocisti, le classiche cellule urticanti di tutti gli cnidari. Le nematocisti trasformano così i cassiosomi in potenti armi chimiche a base di composti tossici bioattivi capaci di uccidere all’istante eventuali piccoli crostacei planctonici con cui vengono a contatto. Da evitare il contatto.

  3. Carybdea marsupialis conosciuta anche come cubo é una cubomedusa tipica dell’Oceano Atlantico ma é anche presente in Mar Mediterraneo e nell’Oceano Indiano. La sua presenza in Mar Mediterraneo é stata documentata per la prima volta nel 1957. Si tratta di una medusa pelagica, la sola specie di cubomedusa ad oggi presente in Mediterraneo. Sebbene non letale come la sua cugina australiana è meglio evitarla. Una medusa piccola, che non supera i 4 cm di diametro dell’ombrella a forma di un cubo e trasparente. Sono presenti tentacoli lunghi 10 volte il corpo circondati da anelli rossi. A differenza di altre cubomeduse come ad esempio la vespa di mare (Chironex fleckeri)*, C. marsupialis possiede delle tossine meno potenti ma che sono sempre in grado di provocare ustioni nell’uomo. Le cnidocisti presenti nei tentacoli sono in grado di inoculare il veleno rapidamente. In caso di contatto la prima cosa da fare é di eliminare i tentacoli per evitare forti irritazioni e cicatrici. Curiosità, alcuni esemplari sono stati spiaggiati in questo weekend a Marina di Pisa (PI).

Foto di Alice Roventini


  1. Physalia physalis, comunemente nota come caravella portoghese. È lei la protagonista dell’estate 2022 che sta allarmando tanti bagnanti di tutt’Italia. Ma è davvero così pericolosa? Intanto, udite udite, non è una medusa anche se erroneamente chiamata così. Non è un mollusco, non è uno ctenoforo. Si tratta di uno Cnidaria come una medusa, in particolare di un idrozoo sifonoforo. Non è quindi un animale singolo, bensì una colonia di polipi (e non polpi!!) specializzati detto zoidi che hanno diverse funzioni: 1) La pneumatofora, ossia la grossa struttura piena di gas che permette il galleggiamento, 2) I dattilozoidi, lunghi tentacoli usati per catturare le prede e molto urticanti anche per l'essere umano. 3)Il gastrozoide, deputato alla digestione delle prede catturate 4) I gonozoidi, il cui scopo è la riproduzione. I soggetti allergici o con altre patologie devono fare attenzione, perché potrebbe rivelarsi anche fatale.In generale, la puntura è certamente dolorosa, ma non bisogna allarmarsi eccessivamente come si legge in questi giorni sui social. Ricordate che il veleno degli Cnidari è termolabile, quindi diminuisce il suo effetto con la temperatura. Il rimedio terapeutico in caso di ustione è l’utilizzo di acido acetico.Grazie alla sua pneumatofora, questo animale è ben visibile perché galleggia (anche se i tentacoli sono molto lunghi) quindi se si osserva è bene stargli distante e segnalarne la presenza al lido affinché possa prendere le dovute precauzioni per i bagnanti.

Da Fanpage 
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Prevenire


Sul lato sicurezza per i sub la prima difesa è la muta correttamente indossata, che fornisce di suo una buona protezione. Se le incontriamo in superficie prima di immergerci occhio a tenere gli erogatori il più puliti possibile, qualche filamento finito sul morso del boccaglio ha riservato brutte sorprese a ben più di un sub.

Ovviamente se ci siete passati in mezzo occhio a quando togliete la muta, guanti e cappuccio, alle rubinetterie stesse delle bombole, i filamenti urticanti potrebbero essersi fermati lì.

Per chi invece fa snorknell il consiglio invece è di girare sempre (manco a doverlo ripetere) con il pallone segnasub o una plancetta galleggiante. Il motivo è terribilmente pratico, se vi trovate in mezzo ad un banco di meduse o peggio ad una risalita dal fondo, aggrapparvi a quest'ultimo per rimanere a galla e tenere fuori almeno la testa e la parte superiore del corpo, vi permetterà di chiedere aiuto e anche doloranti non andare del tutto nel panico.




Curare


Ma ormai vi hanno beccato e siete doloranti, che fare?

Uscite dall’acqua senza farvi prendere dal panico e se occorre chiedete chiaramente aiuto. L’acqua salata aiuta nella rimozione dei tentacoli della medusa. Ma se ciò non dovesse essere sufficiente, non usate mai oggetti taglienti come lame di coltello o forbici. Il consiglio in questo caso è di ricorrere ad un oggetto rigido, ma non tagliente come la carta di credito, o comunque una tessera plastificata. Potete anche usare le dita, ma risciacquatele subito.

Successivamente bagnate la zona interessata con acqua di mare. Se non avete a disposizione altri rimedi, potete andare in farmacia a richiedere una pomata apposita a base di cloruro d’alluminio. Spesso ho visto a Calafuria, i volontari delle Misericordie, tenere bidoncini di acqua di mare al sole con cui sciacquare gli sfortunati bagnanti, infatti il veleno delle meduse è termolabile. Evitate di usare l'acqua dolce che invece aiuterebbe a favorire la circolazione del veleno.

In alternativa è possibile utilizzare l'aceto bianco per cercare di diminuire il dolore e inibire il veleno (vedi però controindicazioni citate più avanti). Tra i rimedi naturali più adatti c'è poi l'aloe vera, apprezzata largamente per le sue proprietà cicatrizzanti, antibatteriche, rigeneranti e antinfiammatorie e la Calendula. Un altra soluzione a me sconosciuta sino ad ora, è un composto a base di olio essenziale di Tea Tree (olio dell'albero del the) e olio essenziale di lavanda, tenuto in una bottiglietta da portare con sé per usarla al momento del bisogno. Basta un piccolo spazio nella borsa del mare per riporre questo rimedio.

Acqua e bicarbonato. Preparate un composto cremoso mescolando il bicarbonato con un po’ d’acqua. Spalmatelo sulla ferita e lasciate agire per almeno 30 secondi. Il bicarbonato aiuta ad alleviare la sensazione di prurito.

Ottimi pare anche acqua e aceto e (da verificare) acqua leggermente zuccherata.


Luoghi comuni


No creme cortisoniche e creme antistaminiche perchè sono inefficaci contro le bruciature delle meduse perché entrano in azione solo dopo 30 minuti, cioè quando la reazione ha già raggiunto il picco massimo.

Tra i rimedi popolari per il trattamento delle punture di medusa troviamo l’applicazione di ammoniaca, alcol, aceto o urina. Si tratta di rimedi che non trovano l’accordo della comunità scientifica. Se non avete altro a disposizione, molto meglio affidarsi alla semplice acqua di mare. In particolare, l'uso dell'aceto sarebbe efficace solo per le meduse tropicali mentre per quelle mediterranee si rivelerebbe un accorgimento controindicato, in grado persino di acuirne il bruciore.


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Si ringraziano Alice Roventini, Filippo Neri, Marco Moretti e Salvatore Fabiano per le immagini.


Link:


https://www.ilgiornaledeimarinai.it/meduse-mediterraneo/

https://www.nautica.it/biologia-marina/mediterraneo-perche-ci-tante-meduse/

https://www.kodami.it/cose-da-sapere-sulle-meduse/

https://www.greenme.it/animali/medusa-cassiopea-uovo-fritto/

https://www.fanpage.it/innovazione/scienze/le-7-meduse-piu-pericolose-del-mediterraneo-come-riconoscerle/

https://www.greenme.it/salute-e-alimentazione/salute/meduse-punture-rimedi-naturali-consigli/

https://www.quicosenza.it/news/calabria/365716-togliere-le-meduse-dal-mare-e-lasciarle-morire-al-sole-e-reato




Buone Bolle e attenzione!




Fabrizio Gandino

Subacqueodisuperficie”


 

giovedì 9 giugno 2022

Elba, "lo Scoglietto" che non delude mai

 



Questi ultimi due anni hanno penalizzato l'attività subacquea di diversi tra noi, solo ora a emergenza (si spera) finita si comincia a tirare un respiro di sollievo. Tutto è cominciato con Michele, che prima ancora di partire per il Mar Rosso a pinneggiare con i Longimanus, mi aveva convinto a partecipare al weekend sub all'isola d'Elba organizzato dalla nostra scuola. Sarò sincero, sto diventando un po' pigro, o forse sono solo un po' stanco e l'idea di sbattermi tra auto, traghetti e trasferte con le nostre attrezzature a spalla a piedi nella ressa di uno dei primi weekend caldi  non mi sorrideva moltissimo. Per contro la meta era l'isola d'Elba, con un più che probabile tuffo allo Scoglietto di Portofaerraio e le Cannelle, due full day che un subacqueo, qui nel Mediterraneo non può



ignorare. Ed eccoci così, che  Michele, Florin, Luca ed io ci troviamo in un affollatissimo terminal traghetti di Piombino per prendere l'aliscafo che ci depositerà a Cavo sull'isola.  Il diving scelto è quello di Valeria, la cui barca intravedo per primo dalla banchina di sbarco, distante (con gran sollievo delle nostre schiene) un tiro di schioppo. Il tempo di mollare sul ponte i nostri borsoni e definire gli orari di ritrovo e partenza e siamo liberi di andare a farci una doccia e procacciare la cena. Cavo assomiglia per alcuni versi, ad un luogo della mia infanzia, per chi è stato a S.Antioco probabilmente conoscerà il borgo di pescatori di Cussorgia, subendo probabilmente la medesima evoluzione, divenendo più popolato con gli anni e lasciando il posto a qualche locale caratteristico che farà animare il piccolo centro durante le ore serali. Le atmosfere sono quelle calme e rilassate di quei luoghi dove il tempo pare rallentare, fatto per chi apprezza isolarsi un po' dalle frenesie delle nostre vite, senza tuttavia rinunciare ai confort e ad un minimo di movida serale. 



La mattina arriva e ci trova riposati, colazione, salto in panetteria a ritirare un po' di "schiaccia" e via verso la barca. Io vado al molo a prendere Massimiliano e Marco in arrivo con il traghetto, Carlo ci raggiunge direttamente in barca insieme a Giovanni visto che sono qui da un paio di giorni prima. Il nostro vascello è quanto di più lontano possa assomigliare ad un moderno scafo da diving, ma ha il suo fascino che non è fuori luogo in un posto così. Tutto qui sembra dirti di dimenticarti quel che ti aspetta a casa e di goderti il lento scorrere del tempo. Come dicevo la barca è tozza e allegramente rossa, con il suo cefalopode ammiccante, comoda quanto basta e provvista di tutto l'essenziale, non manca nulla, ogni angolo dell'imbarcazione rivela il passaggio di chi prima di noi ha goduto del rilassante borbottio del motore diesel che ci sta portando allo Scoglietto di Porto Ferraio e delle amorevoli manutenzioni del papà di Valeria, si perché c'è anche lui con noi. C'è chi



prende il sole sul ponte, chi ricontrolla lo scuba, chi come Luca e me ascolta gli aneddoti della vita sull'isola dei tempi passati di Valeria e suo padre... e poi eccolo lì, lo scoglietto di Porto Ferraio. Alla discesa dell'ancora siamo ormai tutti vestiti e pronti ad indossare i GAV ormai, il breafing è rapido e conciso, il punto di discesa massimo previsto sarà intorno ai 40 mt, nel rispetto ovviamente dei brevetti in nostro possesso, il che ci porta a separarci in due gruppi. A quella profondità si trova un Cristo sommerso a circa -38 mt, si 



tratterà di un altorilievo in buona parte ricoperto di spugne gialle, raffigura un Cristo a braccia alzate ed aperte verso la superficie, come vuole l'iconografia di queste opere che hanno preso le mosse dal primo e più conosciuto di San Fruttuoso. Io ho optato per una muta semistagna da 6.5mm scelta della quale mi pentirò parzialmente nelle immersioni successive, visto il termoclimo dopo i venti metri. La discesa è tranquilla e graduale, la visibilità buona ci regala la vista di alcuni rami di gorgonia e negli anfratti individuiamo qualche piccola aragosta, ci sono anche alcuni dentici, che ...tacci loro! non si avvicineranno mai abbastanza per essere ripresi. Questa per me è un immersione nuova che non ho mai fatto. A poco più di 30 mt la luce è più fioca e laggiù dinanzi alla parete ecco la statua. Qua e là vedo le sfleshate di Marco. È il punto più basso della nostra immersione, da qui cominciamo la risalita verso la franata e la sosta di sicurezza. La riemersione è al solito un misto di eccitazione e desiderio di condividere le impressioni e i numerosi avvistamenti di fauna ittica che qui allo Scoglietto certo non manca. La sosta di superficie, più che necessaria trascorre tra lo sfottò tipico del nostro gruppo di teste matte, mentre sgranocchiamo focaccia in una sorta



di debriefing molto informale. Il secondo tuffo è per La Franata delle Cernie, che tiene pienamente fede al suo nome, ma ci regala anche murene, corvine, banchi di mennole, le onnipresenti castagnole (sia rosse che viola), saraghi di ogni foggia, donzelle pavonine, Sciarrani,  Sarpe ecc. Qua e là sul fondale mi tocca rilevare la presenza di diverse nacchere riverse sulla sabbia, mi avvicino speranzoso ad una delle rare ancora ritte, avvicino un dito nella vana speranza di vederla chiudersi, ma non avviene. Ricordo quando nella mia prima esperienza dieci anni fa, proprio qui avevo visto una delle colonie più floride di Pinne nobilis, ora tutto sembra essere andato perduto. Sulle pareti riesco a vedere anche alcuni esemplari di Spondylus, già noti in epoca romana per essere usati come monili.

Il giorno seguente dovrebbe essere la volta delle Cannelle; Luca, Michele ed io ci siamo stati qualche anno fa, ma la corrente e la massiccia presenza della mucillagine funestarono quell'occasione impedendoci di godere appieno di un panettone di roccia riccamente ornato di gorgonie rosse a circa 30-35 mt. Quando si dice "non era destino", Valeria considerato un meteo assai contraddittorio ci informa che difficilmente l'immersione sarà fattibile.  Il tempo (atmosferico e non) le daranno largamente ragione, messa ai voti si deciderà di tornare allo Scoglietto, questa volta per due tuffi su Grottoni e di nuovo sulla franata. Come detto precedentemente la mia scelta della semistagna si rivelerà piuttosto infelice e patirò un po' di freddo, ma il tutto sarà largamente compensato dal tripudio di vita marina nel quale ci muoveremo entrambe le volte. Come ulteriore premio ecco fare la loro comparsa anche i barracuda, nella loro sinuosa eleganza tra i banchi di castagnole, che sicuramente speravano nella loro indifferenza. Lo Scoglietto di Portoferraio non delude mai, una certezza, la sua posizione permette un ancoraggio rimessato con quasi qualsiasi tempo e la vita sotto le acque antistanti il faro è prospera, varia ed abbondante. Purtroppo è l'ora di tornare



indietro e manco a farlo apposta il cielo si sgombra dalle nuvole quasi a volerci congedare con un tentativo di perdono. Il ritorno a Cavo è tranquillo e placido come il tempo che questa isola sembra aver congelato e ci dà il tempo di impacchettare le nostre attrezzature rese più pesanti (hai noi!) dall'acqua. Salutiamo Cavo e Valeria dalla banchina del molo, ma sicuramente questo è soltanto un Arrivederci.



Buone bolle!!!



Link utili:


http://www.cavodiving.it/


Fabrizio Gandino

"Subacqueodisuperficie"