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domenica 26 febbraio 2023

Emozioni Profonde : A caccia di relitti con Andrea Bada

 


La mia prima immersione come neobrevettato Open Water fu una sorpresa, ne ho già parlato qui sul blog qualche tempo fa, fu sul relitto della Eurobulker IV, un cargo carbonifero affondato al largo dell'isola di S.Pietro sopra una secca di 18 metri.

Chiunque si sia immerso su un relitto lo sa, si prova una sorta di suggestiva emozione, spesso perchè quei relitti sono anche l'ultima testimonianza di chi in mare vi ha perduto la vita.

C'è poi chi dell'esplorazione e della ricerca di questi relitti ne ha fatto la sua ragione di vita, non per denaro, o tesori, ma per vivere delle emozioni.

 


Sabato 25 Febbraio 2023, ad Empoli in Loc. Avane, presso LA VELA Area Margherita Hack, l'associazione G.E.A.S. ha organizzato un incontro con Andrea Bada , un sommozzatore professionista, che ha presentato alcuni filmati di relitti siti in immersioni profonde da lui e il suo Team, “Techdive Explorer Team” nel nostro Mediterraneo.

Sala piena, tante facce conosciute, e direttamente da quel di Calafuria, tra questi i nosti Salvatore, Yuri, Enrico (ancora bagnati dall'immersione del mattino)  e  Matteo , Michele e Pippo .

Ha aperto il pomeriggio Sandro Matteucci, presidente di G.E.A.S. Ricordando che prossimi al 35° anniversario della fondazione dell'associazione si è voluto dare lustro alla ricorrenza organizzando appuntamenti come questo.

Dopo è stata la volta Di Marco Lemme, Presidente F.I.A.S che ha ricordato come realtà associative come questa empolese, servono non solo a portare avanti i valori del nostro sport, ma anche a favorire una certa socialità e senso di appartenenza.


 

Dopo di lui è intervenuto Maurizio Bertini che si è adoperato per mettere in contatto Andrea Bada con l'associazione al fine di rendere possibile questo incontro con il pubblico.

Interessante tra gli altri l'intervento della Dottoressa Pamela Ciuffo in qualità di Psicologa del gruppo Techdive, che ha spiegato come il nemico peggiore di un sub, specie in queste imprese, sia l'ansia, come sia vitale riuscire ad elaborare e allenare non solo il fisico ma anche mente e stato emotivo, senza mezzi termini ha affermato che mentre per u immersione ricreativa un attacco di ansia può essere gestito, a 130 metri di profondità non c'è nulla da gestire se non si è fatto un certo lavoro prima, semplicemente “sei morto”. 


Prima dell'intervento dell'ospite della manifestazione, Umberto Giorgini del DAN, ha illustrato brevemente un caso in cui la tempestività nel soccorso ha fatto la differenza e come opera il Dan in questi casi, a cui ha seguito un intervento di elogio dell' Assessore allo Sport Fabrizio Biuzzi.

A questo punto rotto ogni indugio, ha preso la parola Andrea Bada, chiarendo subito alcuni punti.

Lasciate che vi dica alcune cose, forse anche a voi sarà capitato di andare a qualche conferenza e vedere qualcuno che si gigioneggia e a cui manca solo che apra la ruota come un pavone, ecco non aspettatevelo da questo ragazzo.


Per prima cosa ha tenuto a spiegare che per quello che fa non è assolutamente un superuomo, ma che anzi confrontarsi con il mare gli ha restituito un senso di grande umiltà, che malgrado le sue ricerche per forza di cose lo spingono a profondità elevate, non è per questo che lo fa e che la profondità è richiesta e definita dall'obiettivo che si intende raggiungere, sebbene un limite se lo sia autoimposto comunque, “solo...- 180 metri”, spiegando che questo limite operativo è dettato dall'impossibilità con un attrezzatura che non sia da palombaro di gestire un immersione con le sue finalità.

La preparazione atletica e mentale sono basilari come uno stile di vita sano e corretto.

Quali sono queste finalità? La ricerca, la riscoperta (ritrovamento) e l'identificazione dei relitti, cosa tutt'altro che semplice.


Prima ancora che entrare in acqua, il lavoro di ricerca è fatto di una minuziosa raccolta di documenti, testimonianze, fotografie, filmati, insomma tutto quello che può essere utile ad individuare le peculiarità del relitto che si ricerca, solo allora e solo dopo si inizia la ricerca vera e propria, che è fatta di tentativi mirati, ma pur sempre tentativi e di un lavoro di squadra in cui ogni ruolo ha un importanza cruciale, da chi fa assistenza in superficie a chi fa riprese e chi segue con un filo di Arianna chi sta documentando sul fondo con foto e video.

Questo Andrea lo ha ribadito più e più volte, come uno dei punti più importanti. 

TA-23 (ex R.N. IMPAVIDO)


Una volta trovato e documentato il relitto, si passa all'identificazione, ed è qui che entra in campo Claudio Grazioli, appassionato di Storia nel senso più genuino del termine, sulla base di schizzi, fotogrammi, posizione geografica tenta un identificazione del relitto, dando un nome a scafi che sono da decenni nell'oblio dato dalle profondità del mare.

Emblematico è stato il doppio racconto di Claudio e Andrea sul ritrovamento ed identificazione dell'aereo fantasma di Punta Manara, un P47 Thunderbolt alleato, abbattuto dalla contraerea tedesca e mai ritrovato sino alluglio del 2021 ( Vi invito a clickare sui link a fondo pagina).


Questo fanno Andrea Bada e il suo Team, restituiscono a noi in superficie, quello che il tempo e il mare hanno nascosto, documentando, e lasciando tutto così come lo hanno trovato con profondo rispetto.

Da anni il Team collabora con l'Istituto Idrografico Militare, joinventure che ha portato mutui benefici ad entrambe le parti, colmando spesso i buchi nella narrazione storica di molti eventi bellici.


Come l'affondamento del TA-23 (ex R.N. IMPAVIDO), unità italiana requisita il 16 settembre del 1943 e incorporata nella Kriegsmarine (Marina Militare tedesca) il 9 ottobre 1943, assunse il nome di TA 23. Nel gennaio 1944 la torpediniera fu dislocata a La Spezia, in seno alla X Flottiglia Torpediniere. Un destino molto comune a tanto naviglio catturato, riconvertito e impiegato dai tedeschi che avevano poco naviglio di superficie nel Mediterraneo. Il relitto della TA 23 giace su fondali di 70 metri, spezzato in tre tronconi, ad una decina di miglia da Cecina e ad una distanza circa doppia dalla Capraia. Il troncone poppiero, il più lungo (oltre metà della nave) giace in posizione capovolta, quello che include la plancia è adagiato su un fianco ed angolato di 90° rispetto al precedente, mentre il terzo troncone è costituito dall'estrema prua. Nello specifico Andrea e Claudio hanno spiegato come furono fondamentali l'identificazione delle bombe di profondità di chiara fattura tedesca e dell'armamento di bordo, per dare un nome a ciò che avevano ritrovato.


Durante la seconda guerra mondiale, prima e dopo l' 8 settembre 1943, i tedeschi requisirono e riconvertirono molto naviglio di superficie dai paesi occupati, Francia, Grecia ed Italia, il caso del UJ2206 (ex peschereccio francese Saint Martin Legasse, 14/02/43-03/11/43) è uno di questi, anche qui documentato, ritrovato e identificato dal team di Andrea Bada a nord delle Formiche di Grosseto.

Ultimo, ma non ultimo, il ritrovamento del sommergibile Velella che detiene il triste primato di essere stato l'ultimo sommergibile italiano perduto nella guerra contro gli Alleati: nell'ambito del «Piano Zeta», di contrasto al previsto sbarco anglo-americano in Calabria o Campania, lasciò Napoli il 7 settembre 1943, e da quel giorno non diede più notizie di sé. Il 13 maggio il 2003 il relitto del Velella è stato individuato a 8,9 miglia da Punta Licosa a circa 138 metri di profondità, ma dovremo aspettare sino all'agosto del 2022 perchè una spedizione di Andrea Bada ed il suo Team, riesca a raccogliere dati sufficienti per un identificazione certa del relitto. Sebbene intuibile dai rapporti sull'affondamento, oggi i familiari dei 55 marinai sanno dove riposano i loro cari, Il relitto del sommergibile Velella, con tutto il suo equipaggio, è adagiato sul fondo del mare a 140 metri di profondità .


Lo spazio per le domande è stato scarno, non tanto per il tempo a disposizione e men che mai per la disponibilità di Andrea e del suo Team a rispondere al pubblico, ma semplicemente, credo, che alcune immagini, ti lascino con un senso di assoluto stupore e ti fanno sentire infinitamente piccolo e annichichilito da quel “tanto, troppo” che si nasconde sotto la superficie e che il “Techdive Explorer Team” appena può scalfire...eppure tanto basta.

Io come molti altri di voi che leggete, non scenderò mai a queste profondità, accetto con umiltà i miei limiti, questo però non mi impedisce di ammirare, chi con preparazione adeguata scende e permette anche a me di vedere cosa cela il sesto continente.


Tuttavia l'Ospite ha chiarito che non è cosa per tutti, ci vuole molta dedizione, allenamento e spirito di sacrificio, ma sopratutto, tanta, tanta, tanta, tanta umiltà, ribadendo l'ovvio, il mare non è il nostro ambiente, ogni volta che scendiamo sotto, non importa quanto, commettiamo nei confronti del nostro corpo, una piccola violenza, essere consapevoli che siamo degli ospiti sta alla base del rispetto che dobbiamo avere per il mare.

Granzie ad Andrea Bada, G.E.A.S. e  il “Techdive Explorer Team” tutto per le emozioni che ci avete regalato in questo sabato pomeriggio. 



Chiudo con una News: Dopo aver vinto inaspettatamente il Paladino d'Oro nella 41esima edizione dello Sport Film Festival Internazionale di Palermo, a breve uscirà un lungometraggio di Andrea Bada sulla rete a pagamento Sky  e una serie sui cacciatori di relitti  in chiaro su Realtime, che vi invito a non perdervi.


Buone Bolle e buona visione!





Link :

https://it.wikipedia.org/wiki/Impavido_(torpediniera)

https://www.rainews.it/tgr/liguria/video/2021/12/lig-andrea-bada-63bf8bac-340d-4ae5-a890-5b0a73cfa82c.html

https://www.youtube.com/watch?v=0EZaIkDuOHU

https://www.anmicastellabate.it/wp/il-sommergibile-velella/

 https://www.underwatertales.net/2018/03/27/aereo-in-giardino-la-storia-del-caccia-p-47-thunderbolt-di-punta-manara/

Facebook: 

Andrea Bada : https://www.facebook.com/andrea.bada.7

Claudio Grazioli : https://www.facebook.com/claudio.grazioli.94

Techdive : https://www.facebook.com/profile.php?id=100057680430630


Fabrizio Gandino

“Subacqueodisuperficie”


 


venerdì 21 ottobre 2022

Capo d'Acqua: un momento congelato nel tempo

 Questo pezzo apre l'esordio di Matteo Stanzani che da questo inserto comincerà a collaborare con il Blog, non perdo altro tempo e lascio la parola a lui.

 


 

Salve a tutti oggi parliamo di una Location davvero unica nel suo genere in tutta la nostra penisola si trova nell'invaso idrico di Capo D'Acqua (Comune di Capestrano) in provincia dell'Aquila. Incastonato nel Parco nazionale del Gran Sasso, a circa un centinaio di chilometri da Roma, è possibile immergersi per ammirare i resti di due mulini medioevali. La ragione dell'opera idraulica trova necessità nel bisogno irriguo dei terreni circostanti. Nato tra le antiche linee di confine del regno Borbonico, Stato pontificio e Capestrano (per diverso tempo sotto la signoria di Firenze), la zona consta di 12 chiese edificate lungo la linea di transumanza degli allevatori, che si muovevano con il bestiame da e verso la Puglia. Tali opere furono realizzate dall'Ordine dei Cavalieri Templari, su disposizione del Papa Celestino V al fine di favorire lo scambio delle merci, offrire un riparo e mitigare gli scontri tra le popolazioni locali, piuttosto frequenti all'epoca.


 

L'immersione che ci si accinge a compiere sotto questo specchio d'acqua di un colore turchese, sarà nella fredda acqua sorgiva, che consente una trasparenza inimmaginabile. Pinneggiando si arriva al primo mulino (stando ben attenti a stare alla giusta distanza dal fondo). L'impatto visivo riesce ad impressionare anche i subacquei più girovaghi del mondo. La sensazione è quella di vagare nella Storia e nel Tempo! Il primo mulino è quello che si è conservato peggio, tuttavia si può agevolmente individuare tutto il perimetro della struttura e i muretti a secco. Passando al secondo si può notare gli archi di pietra e le pareti con un masso incastonato avente un foro passante, dove venivano legate le cavalcature. 


 Un percorso sicuramente suggestivo, un piede nella storia (o una pinna, fate voi), tanto che alla fine dell'immersione si continua a guardare e girellare nel sito nonostante il freddo, sospesi nell'atmosfera liquida di un posto magico.



Matteo “Masdepaz” Stanzani




 

 

 

 

 

                                                     


 

Per anni ero stato vittima della “Maledizione di Capo d'Acqua”, ogni volta che si programmava quel tuffo capitava qualcosa che mi impediva di andarci, il che era diventato un bel po' frustrante, al punto da metterci quasi, con una sorta di fatalistica rassegnazione, una pietra sopra.

Potete quindi capire quindi, quando a margine della stagione estiva, Matteo mi chiama al telefono e mi dice che si vorrebbe organizzare un uscita a Capo d'Acqua (AQ) e se la cosa poteva interessare qualcuno del nostro gruppo, non riuscì a terminare la frase che avevo etusiasticamente già accettato.


Ma cos'è Capo d'Acqua? Dovete sapere che nel parco nazionale del Gran Sasso, a 180 chilometri da Roma, e una quarantina dall'Aquila, c’è un piccolo lago artificiale che è entrato nella classifica dei migliori posti al mondo dove fare immersioni. Alle pendici occidentali del Monte Scarafano, le acque delle sorgenti di Capo d'Acqua sono invasate in un bacino artificiale collegato ad un sistema di irrigazione che alimenta una centrale idroelettrica che alimenta una stazione di pompaggio che convoglia le acque dell'invaso verso i Comuni siti a quote più alte per fini agricoli/irrigui. Le sue acque fredde e cristalline arrivano dalle fonti da cui prende il nome: sorgenti di Capo d’Acqua. Il bacino artificiale nasce nel 1965 dopo la realizzazione di una diga costruita per sbarrare il corso del Tirino e per convogliare l’acqua nei campi dove si coltivava il grano. La suddetta diga nata per sbarrare il corso superiore del Tirino, poco più a valle delle sue sorgenti, in prossimità della omonima frazione di Capestrano (Caput Aquae). Il bacino è alimentato da numerose sorgenti naturali immettono nel bacino continui flussi di acqua fresca e limpidissima che confluiscono a valle nel Tirino. Tuttavia questo da solo non spiega perchè questo piccolo lago di altura è stato definito nel panorama turistico internazionale, la “piccola Atlantide d’Abruzzo”.


L'area era intorno al 1100' sotto l'influenza dei Medici, già signori di Firenze, nel sito dove oggi troviamo il Lago artificiale esisteva anticamente un mulino appartenuto alla famiglia Verlengia di Capestrano, e un colorificio costruiti in prossimità della sorgente di Capo d'Acqua. Il colorificio è oggi ancora visibile in superficie, mentre il mulino di circa 400 mq, in buono stato di conservazione, (salvo i danni riportati nel terremoto dell'Aquila che ha fatto crollare un arco) è completamente immerso nell’acqua cristallina del lago ed è caratterizzato dalle antiche tecniche murarie costruttive tradizionali. Di grande impatto sono i resti di due arcate murarie e le piattabande in legno di porte e finestre. Il complesso è costituito da due mulini distinti, realizzati in epoche differenti anche se relativamente vicine nel tempo. Più vicino alla sorgente è presente un altro mulino più piccolo, probabilmente un ampliamento dell’altro. Intatto è il selciato dei viottoli antichi che un tempo veniva percorso dai contadini con il loro carico di grano. Il sito sommerso, ha un che di affascinante e misterioso, la bassa temperatura delle acque, restando costante intorno ai dieci gradi tutto l’anno, impedisce il proliferare di alghe e piante lacustri e garantisce un'ottima visibilità, eccezione fatta per la strafificazione dei semi di salice che anno dopo anno affondando nell'acqua hanno creato una coltre sul fondo che è meglio non smuovere. Va detto però che anche quando questo malauguratamente accade si sedimenta piuttosto rapidamente.


La profondità massima è di circa 9 metri, la visibilità arriva anche a 70, il che aggiunge un senso di irrealtà a questo luogo che sembra congelato nel tempo. L'acqua cristallina e la realativa vicinanza delle rovine alla superficie, riflettendole in una sorta di cielo al contrario, mi ricordano alcuni lugometraggi di animazione di Hayao Miyazaki . L'immersione in sé dura poco più di 35/40 minuti, ma le emozioni che trasmette non vi abbandoneranno più. L'immersione è piuttosto semplice, ed è aperta a subacquei di qualsiasi livello purchè muniti di brevetto, ovviamente si deve avere l'accortezza di seguire le disposizioni dell guide rimanendo a debita distanza dalle rovine e dal fondo del lago. Per quel che riguarda l'attrezzatura io consiglio la muta stagna o una buona semistagna con sottomuta, sebbene Francesco e Francesca, del nostro gruppo abbiano coraggiosamente sfidato il lago in umida (era il 9 ottobre del corrente anno) senza riportare danni. Per quanto riguarda gli erogatori è sufficiente un 


Octopus, ma avere anche delle degli adattatori da Din a Int per l'attacco bombole non guasta.  Il mio consiglio è quello di organizzarvi un bel weekend che comprenda non solo l'immersione nel lago, ma anche nella spendida natura incontaminata che circonda questa piccola perla, fidatevi non rimarrete delusi dall'accoglienza e dalla cucina locale che è già da sola un esperienza positiva che non dimenticheremo facilmente (neppure le nostre mute). Questi luoghi erano l'ambientazione originale della storia di “Ladyhawke” e in parte da queste parti furono girate alcune scene del film del 1985 diretto da Richard Donner con Matthew Broderick, Rutger Hauer e Michelle Pfeiffer; vi segnalo inoltre che nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, immerso in una natura incontaminata vi è anche un grande patrimonio di vasto interesse archeologico (ricordiamo il GUERRIERO di Capestrano). 


 

Alla fine si riparte per tornare a casa con un esperienza in più e devo dire a malincuore vista l'accoglienza ed i luoghi che meriterebbero decisamente più tempo, ma è soltanto un arrivederci mi sa.





Buone Bolle!!!



Link:

https://www.atlantidesub.com/33-Immersione-tra-i-mulini-sommersi.html


 
 
I mulini sommersi di "Capo d'Acqua"




Fabrizio Gandino

Subacqueodisuperficie”


 

lunedì 4 maggio 2020

Haven dal Paradiso all'Inferno - diretta web con gli autori



 “La Haven è il relitto visitabile più grande del Mediterraneo. L'immersione,viste le profondità in gioco, è ritenuta "impegnativa", ed è fortemente sconsigliata a subacquei "inesperti". Per l'immersione (fino a 40 mt) viene richiesta un brevetto advanced (con specialità deep) o un brevetto decompression diving (40-54 mt) / trimix (54-82mt). Inoltre vige una Ordinanza della Capitaneria di Porto di Genova (18/1999 e succ. 183/2003) che regolamenta le modalità di immersione sul relitto. “





11 aprile 1991 ore 12,40: nel tratto di mare davanti a Voltri (golfo di Genova), una colonna di fumo nero si leva densa e maleodorante, non si sono ancora spente le sirene per il disastro del traghetto Moby Prince il giorno precedente. Un incendio ha causato da una grande esplosione avvenuta a bordo della petroliera Haven. Tutto avviene dinanzi al porto petroli di Genova Multedo, durante un'operazione di travaso di greggio dalla stiva 1, a prua, alla stiva 3, a centro nave, si verifica un'esplosione a bordo. Tra i 36 componenti l'equipaggio si contano cinque morti, Ioannis Dafnis,
Domingo Taller, Gregorio Celda, Serapion Tubonggan e il comandante Petros Grigorakakis. Dopo la fase iniziale di incendio del combustibile versato in mare, la nave venne trainata al largo di Arenzano; per una fortunata serie di coincidenze (mare calmo, assenza di vento), la maggior parte del combustibile fu esaurito dalla combustione durata più giorni. Dalla prima esplosione al momento dell'affondamento si stima che siano bruciate almeno 90 mila tonnellate di petrolio. Le ottime condizioni meteo-marine evitarono che le colonne di fumo (alte fino a 300 m) raggiungessero le nostre coste. Come abbiamo detto in precedenza, durante la notte la nave in fiamme si spostò in direzione di Savona . Il giorno successivo fu trainata tra Cogoleto e Arenzano; durante l'inizio dell'operazione di traino, la parte prodiera, indebolita dalle esplosioni e con il metallo snervato dal forte calore generato, si staccò dal resto dello scafo. La parte distaccatasi, lunga 95 metri, si adagiò a 470 metri di profondità .
In seguito il relitto affondò, oggi si trova su un fondale di circa 85 metri nelle acque antistanti Arenzano in assetto di navigazione. Si tratta del più grande relitto visitabile da subacquei del Mediterraneo, e uno dei più grandi al mondo. L'affondamento causò la perdita di migliaia di tonnellate di petrolio che almeno in parte, nelle sue componenti più dense, ancora oggi permangono nei fondali marini antistanti Genova. E come dirà durante l'incontro sul web Dino Passeri, purtroppo perde ancora oggi, nonostante la bonifica.La Haven aveva diverse navi gemelle, che hanno avuto un analogo destino, rispettivamente: Amoco Cadiz, affondata il 16 marzo 1978 di fronte alle coste bretoni perdendo in mare 230.000 tonnellate di greggio, Maria Alejandra, esplosa l'11 marzo 1980 di fronte alle coste della Mauritania, Mycene, esplosa il 3 aprile del 1980 di fronte alle coste della Sierra Leone. “La Haven è il relitto visitabile più grande del Mediterraneo. L'immersione,viste le profondità in gioco, è ritenuta "impegnativa", ed è fortemente sconsigliata a subacquei "inesperti". 
Per l'immersione (fino a 40 mt) viene richiesta un brevetto advanced (con specialità deep) o un brevetto decompression diving (40-54 mt) / trimix (54-82mt). Inoltre vige una Ordinanza della Capitaneria di Porto di Genova (18/1999 e succ. 183/2003) che regolamenta le modalità di immersione sul relitto. “ (Cit.)

Venerdì 1 Maggio 2020, appuntamento in DIRETTA FACEBOOK organizzato dal Lorenzo Sub Fiumaretta (Sp).
Obbiettivo, alla scoperta del più grande relitto del Mediterraneo, quello della superpetroliera Haven, adagiata di fronte ad Arenzano (Ge). Gustosa occasione per una chiaccherata con i produttori del più completo documentario ad oggi prodotto dal titolo "Haven, dall'inferno al paradiso": Rino Sgorbani, Davide Boschi, Davide Briccolani e Dino Passeri ci accompagnano in una sorta di immersione virtuale.
Dino Passeri si definisce il palombaro più vecchio d'Italia, e forse ha ragione mi sa, persona di comprovata esperienza, fu chiamato dalle autorità per alcuni sopralluoghi e sopraintendere alle operazioni di bonifica della Haven nell'arco di diversi anni.

Rino Sgorbani è in acqua dal 1977 anno in cui consegue il primo brevetto FIPSAS, allievo di Duillio Marcante, negli anni 80' diventa istruttore CMAS e si consacra a quella che diverrà poi la sua passione: la fotografia Subacquea. Gli anni 90' segnano invece il suo passaggio alla attività di cineoperatore subacqueo che coltiverà insieme alla sua esperienza di subacqueo tecnico a circuito chiuso.Grande amico dell’acquese Giancarlo Borgio, 39 anni, rimasto ucciso sabato mentre esplorava una grotta subacquea in Svizzera, nella zona di Lugano. I due si erano conosciuti anni fa durante un’immersione nel relitto della Haven ad Arenzano e collaboreranno alla realizzazione del film documentario “Haven: Dal Paradiso all'Inferno”. Davide Boschi, Piacentino, sub di provata esperienza ed estensore di alcuni articoli di subacquea che ha curato i testi. A Davide “Brick” Briccolani si deve il montaggio delle riprese e dei modelli 3D della Haven, che permettono allo spettatore di capire in quale punto siano state effettuate le
riprese durante la visione del documentario. La serata di dipana piacevolmente, mentre gli intervenuti ci raccontano le difficoltà e gli aneddoti che hanno portato alla realizzazione del film. Sembra in realtà una rimpatriata tra vecchi amici, ad i quali mancano solo Oscar Corona, che non è riuscito a collegarsi e il compianto Giancarlo Borgio. Il tutto moderato in modo magistrale da Cesare Balzi. Le atmosfere sono suggestive, e la bravura dei sub fa sembrare tutto estremamente semplice, ma a quelle profondità nulla lo è. Curiosi i commenti di Passeri che disse che rimpiangeva di non poter aver avuto simili visibilità quando toccò a lui a poche ore dalla tragedia, e poi in altre occasioni riuscire a lavorare con quella visibilità.
Consiglio vivamente la visione del docufilm, in religioso silenzio eun grazie a Lorenzo Sub Fiumaretta (Sp) per aver organizzato questa gustosa occasione.

venerdì 1 maggio 2020

10 marzo 241 a.C. : Fabio Portella racconta




Giovedì 30 Aprile 2020, oltre cento persone collegate, una cosa consueta di questi tempi, partecipare ad una conferenza webinair, durante la quarantena che ci sta tenendo inchiodati tutti a casa. Anfitrione di questa serata è Fabio Portella del Diving Center “Capo Murro” (SI), Istruttore GUE (Global Underwater Explorers), sub di esperienza, grande quanto la sua modestia. Il tema della serata riguarda un evento storico di portata epocale: La Battaglia delle Isole Egadi. Lo scontro navale che ebbe come teatro il quadrilatero Drepanum (l'odierna Trapani), Aegussa (Favignana), Hiera (Marettimo), Phorbantia (Levanzo).
Fabio Portella

Fu la battaglia navale conclusiva della Prima guerra punica. Dopo oltre vent'anni di scontri navali e terrestri, con fortune alterne, Cartagine subì presso le Egadi una sconfitta pesante in termini di uomini e soprattutto di navi; economicamente allo stremo, dovette chiedere una pace onerosa a Roma. D'altra parte il conflitto protratto tra le due citta-stato per un ventennio aveva messo allo stremo le finanze di entrambe. Se da una parte Roma cominciava ad accusare qualche problema nel chiedere rinforzi ai socie a causa delle troppe spese per le battaglie navali e i naufragi (Le navi romane erano più vulnerabili alle tempeste a causa del "Corvo" una passerella usata per l'abbordaggio), l'erario non era in grado di allestire nessuna flotta degna di questo nome; solo cinque anni prima dalla sconfitta di Trapani e dall'immane successivo "naufragio di Camarina" che aveva distrutto quasi del tutto il naviglio militare, era stata costretta a cessare di rinforzare la flotta limitandola alle sole navi onerarie e gestire la difesa marittima con qualche superstite Nave da guerra. Cartagine non era messa meglio, anche se sul mare restava dominatrice, complice il fatto dell'essersi

impadronita di parte di quel che restava della flotta di Roma, si era però svenata nella gestione della flotta, i commerci erano rallentati. Infatti i marinai, contrariamente alle truppe di terra che erano in genere mercenarie, provenivano dalle forze dei cittadini-mercanti. E i mercanti, se non possono coltivare i loro mercati, finiscono per passare la mano alla concorrenza. I commerci di Cartagine languivano e non potevano generare la ricchezza necessaria a pagare le sempre più necessarie truppe mercenarie. Era una pericolosa spirale economico-militare che rischiava di avvitarsi su sé stessa. Fu Roma a decidersi a chiudere la partita una volta per tutte: chiesti finanziamenti ai privati e facoltosi cittadini , armò a tempo di record una nuova flotta.

 A questo proposito esiste un interessante retroscena, qualche tempo prima era riuscita ad impadronirsi di due quadrireme Cartaginesi, che regolarmente forzavano il blocco navale dell'assedio di Lilibeo, nottetempo. Studiate le navi nemiche ne progettarono di nuove e migliori in gran segreto, nel contempo addestrarono un sostanzioso contingente da imbarcare per dare battaglia. Era in gioco la sopravvivenza stessa di Roma, come cita Polibio nei suoi scritti: «L'impresa fu, essenzialmente, una lotta per la vita. Nell'erario, infatti, non c'erano più risorse per sostenere quanto si erano proposti.». Il 10 marzo del 241 a.C. , scatta la trappola, la flotta romana è alla fonda ridossata sulla costa orientale di Levanzo, il comandante romano, Gaio Lutazio Catulo vide che la flotta cartaginese avrebbe avuto un forte vento da ovest a favore e che questo avrebbe reso più difficile far salpare la flotta romana.

 Dapprima incerto, riflettendo si rese conto che se avesse attaccato subito avrebbe avuto di fronte degli scafi ancora carichi e quindi più lenti e che questi avrebbero avuto a bordo solo forze di marina. Se avesse permesso lo scarico delle merci e l'imbarco degli uomini di Amilcare la situazione anche col vento in poppa non sarebbe stata altrettanto favorevole. Oggi sappiamo dal ritrovamento di diverse ancore romane, trovate in fila ordinata, proprio sul fondale di Levanzo, che la decisione dell'attacco fu repentina e fulminea, tale da richiedere il taglio delle gomene degli ancoraggi. Il resto è storia: la flotta romana si distese su una sola linea come per formare un muro contro le navi cartaginesi che veleggiavano verso la costa del Monte Erice. I Cartaginesi accettarono la battaglia; ammainarono le vele per avere maggiore mobilità e attaccarono i Romani.

Anche in questo caso Polibio ci racconta con i suoi scritti come la situazione pendesse sin dalle prime battute a favore dei romani:
«Poiché i preparativi per gli uni e per gli altri venivano regolati in modo opposto rispetto allo scontro navale svoltosi presso Drepana, anche l'esito della battaglia, com'è naturale, risultò opposto per gli uni e per gli altri.» . Ed ancora riferendosi ad i cartaginesi : «gli equipaggi erano completamente privi di addestramento ed erano imbarcati per l'occasione, e i soldati di marina erano appena arruolati e sperimentavano per la prima volta ogni sofferenza e rischio.» . Un errore di valutazione dei Cartaginesi , che ritenevano i Romani, a seguito della serie di sconfitte e di naufragi, fossero incapaci di governare le navi. Una combinazione disastrosa di errori. Inferiori nella manovra e nel combattimento ravvicinato, i Cartaginesi videro rapidamente affondare cinquanta navi e altre settanta furono catturate complete di equipaggio, pare 10.000 uomini. Un fortunato volgersi del vento permise alle superstiti, alzate nuovamente le vele, di sganciarsi e ritornare all'Isola Sacra, Marettimo. Venendo ai giorni nostri e alla serata in questione Fabio Portella, dopo gli inevitabili cenni storici di cui abbiamo appena letto, ci ha parlato del ritrovamento/recupero di 18 rostri in bronzo che vennero utilizzati sulle navi che si diedero battaglia quel giorno. 
Una spedizione, frutto di una collaborazione internazionale tra la Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana e la GUE. Il ritrovamento del primo rostro lo si deve al caso, un pescatore lo trovò impigliato, probabilmente in una rete a strascico e lo barattò con una dentiera! Si avete capito bene, il dentista in questione lo espose incautamente e la cosa arrivò alle orecchie del prof, Sebastiano Tusa, un pioniere in questa ricerca archeologica. I rostri servivano a speronare le navi avversarie con tecniche di ingaggio ben definite, tuttavia le scoperte recenti hanno sfatato una credenza diffusa solo fino a qualche anno fa, e cioè che i rostri fossero a “Perdere”. Vale a dire che, dopo che venivano conficcati nello scafo della nave avversaria, similmente ad un pungiglione sarebbero rimasti lì, il ritrovamento di alcuni rostri con ancora resti lignei all'interno e fissati da lunghi chiodi di bronzo sfata questa credenza, come Fabio Portella ama ripetere è la “Prova Provata” che il rostro nasceva e moriva con la nave.
Al momento ne sono stati ritrovati 18 durante le varie campagne, ad una profondità tra gli 85 e i 100 metri, recuperi onerosi, dal momento che il peso oscilla, a seconda dei modelli tra i 180-250 kg di ottimo bronzo. I romani vinsero questa battaglia, ma stranamente i rostri che vengono ritrovati sono per lo più romani, su 18 al momento 16 sono romani e solo due cartaginesi. Una spiegazione potrebbe essere che in precedenti battaglie i Punici avevano predato delle navi romane grazie alla loro schiacciante superiorità, e che questo naviglio fosse stato inglobato nella flotta Cartaginese, quindi i Romani alle Egadi si trovarono contro le loro stesse navi. Se ne parlerà ancora degli anni a questo proposito, ho linkato all'uopo alcuni filmati che raccontano ampiamente sia il fatto storico che la campagna di recupero. Buona visione!

Link:

Sicilia svelata - Mozia: rostri della battaglia delle Egadi


12°Rostro della Battaglia delle Egadi


Ritrovamento di un rostro Romano




Buone Bolle!


Fabrizio Gandino
Subacqueodisuperficie”


sabato 25 gennaio 2020

I subacquei di superficie incontrano la profondità – Incontro con Andrea “Murdock” Alpini







Serata piovosa questa del 24 gennaio 2020, per i nostri sub del Casio Divers Group, ci muoviamo alla volta di Viareggio per un appuntamento patrocinato dagli amici del Gruppo Subacqueo Artiglio, di cui vi avevamo già parlato in precedenza.
Lo storico gruppo viareggino ha organizzato un evento presso il Club Nautico Versilia - Piazza dei Palombari dell'Artiglio, Viareggio.
Presenti all'evento , molte facce note del panorama subacqueo della Toscana che non possono essere ignorate da chi pratica questo nostro sport, la sala, manco a dirlo, gremita.
Ospite della serata Andrea “Murdock” Alpini, sinceramente non ho avuto l'ardire di chiedere al diretto interessato, se il “Murdock” sia solo un soprannome o parte del suo cognome dal momento che quelli della mia età ricorderanno sicuramente il personaggio
impersonato da Dwigth Shultz nella famosa serie TV “A-Team”. Parliamo di un autentica eccellenza della subacquea tecnica che nel corso della serata ha presento il suo libro "Andrea -Murdock- Alpini - DEEP BLUE: storie di relitti e luoghi sommersi", edito da Magenes, 2019 .
Il tema della pubblicazione riguarda l'attività del giovane video-maker subacqueo a spasso tra laghi e mari di tutto il mondo alla ricerca, non solo dei relitti, ma della loro storia e delle atmosfere e storie che ancora aspettano in massima parte di essere narrate.
La Biografia dell'autore è presto raccontata: Andrea “Murdock” Alpini è istruttore e subacqueo tecnico. Svolge questa attività da oltre vent'anni, ha iniziato nel 1997 con l’immersione a circuito aperto che ancora oggi pratica e studia negli aspetti decompressivi.
La cosa in sé è piuttosto singolare e in controtendenza, vista l'attitudine comune nella subacquea professionale, nel caso di lunghe permanenze sotto la superficie, di apparati di respirazione a circuito chiuso (rebreather) che lui ovviamente non impiega per scelta.
Quel che colpisce subito di Andrea è la passione che trasmette in modo genuino ed onesto nei suoi racconti e al suo pubblico della serata a cui servono non più di qualche minuto per pendere dalle sue labbra.
Lui si definisce un appassionato di storia navale e relitti profondi, s’immerge su scafi che giacciono in fondo al mare o ai laghi, documentandoli con immagini e report. Collabora con diverse riviste di settore su cui tiene rubriche dedicate alla subacquea tecnica e alla divulgazione della cultura dell’immersione profonda su relitti.
Socio dell’Historical Diving Society Italy, organizza spedizione su relitti e immersioni in luoghi insoliti., collaborando con PHY Diving Equipment e Giò Sub Illuminatori Subacquei, conduce attività di ricerca e documentazione dei relitti.
La serata parte con una breve presentazione dell'ospite, di un emozionata Barbara Lippi, presidente dell'Artiglio, il quale non perde tempo e passa subito ad illustrarci il primo dei suoi filmati: una gondola Lariana, opera dei maestri d'ascia del lago di Como affondata intorno alla metà del 1800, e adibita al trasporto sul lago di sacchi di calce idraulica, durante un fortunale sullo specchio lacustre, per proseguire con le immagini del piroscafo lacustre Plinio affondato nel lago di Mezzola.
In questo caso l'autore ci ha spiegato le difficoltà spesso insite in immersioni, che seppure non ad eccessiva profondità sono rese ostiche dalla temperatura e dalla visibilità spesso ridotta, che riduce notevolmente la percezione dello spazio e della propria posizione nello stesso.
Dopo è stata la volta della petroliera Haven, relitto che non ha certo bisogno di presentazioni per i sub, in questo caso abbiamo avuto una stupenda visione della penetrazione delle sue stive.
Poi è stata la volta di una bettolina fluviale armata, adibita dalla marina tedesca, al pattugliamento dei litorali italiani, durante il secondo conflitto mondiale, sita al largo di Finale Ligure, in località Capra Zoppa. Fondamentale in questo caso per l'identificazione, sono state le testimonianze dei pescatori del luogo.
Poi è stata la volta di un altra icona: l'U-boat 455, sommergibile affondato al largo di Punta Chiappa e ritrovato da Lorenzo del Veneziano nel 2005, con tutta probabilità ha al suo interno ancora l'intero equipaggio, normalmente composto da 54 uomini.
A distanza di mezzo secolo la missione che stava portando a termine, si trova nelle acque antistanti Portofino, la causa dell'affondamento rimangono un mistero; l'ultimo messaggio radio dell'U-455 venne inviato il 2 aprile 1944 quando il sommergibile lasciò la sua zona di pattugliamento a nord di Algeri diretto alla base di La Spezia.
Poi la motonave “Viminale”, affondata al largo di Palmi (RC) , nota a molti come “Il Titanic Italiano” , fu un piroscafo di lusso varato nel 1925 per conto del Loyd Triestino. Si trattava di un transatlantico che faceva rotta fino ai porti del Giappone e venne silurata, al largo della costa di Palmi , il 25 luglio1943 da un motosilurante americano, mentre era trainata dal porto di Palermo a quello di Napoli per alcune riparazioni.
Le successive riprese ci spostano nel mare d'Irlanda alla volta del relitto della RMS Justicia, un transatlantico da 32.000 di proprietà della White Star (la stessa compagnia che costruì il Titanic) tonnellate riconvertito a trasporto truppe e affondato durante la prima guerra mondiale ad opera del sommergibile tedesco UB 64 il 19 luglio 1918.
Successivamente l' Audacious affondato al largo di Scapa Flow (Scozia) nelle inquiete acque dell'Oceano Atlantico. L'autore ha rimarcato, come in questo genere di immersioni, l'incognita visibilità e la certezza invece di forti correnti, costringano ad una pianificazione molto meticolosa dell'immersione.
Sempre nelle stesse acque, abbiamo visto le riprese della SMS Markgraf, servì nella Marina del
Kaiser durante il primo conflitto mondiale. Commissionata nel novembre 1911, fu varata il 4 giugno 1913.
Alla fine della guerra, la Markgraf fu condotta insieme alla maggior parte della squadra navale presso la base di Scapa Flow mentre venivano discusse le clausole del Trattato di Versailles. Il 21 giugno 1919 il contrammiraglio Ludwig von Reuter preferì ordinare l'autoaffondamento dell'incrociatore pesante e di altre unità, piuttosto che far cadere la flotta in mani britanniche. Al contrario di molte altre navi che sono state recuperate per essere demolite, il relitto della Markgraf giace, rovesciato, sul fondo della baia.
Per concludere i relitti è stata la volta del sommergibile tedesco UB 116, della marina imperiale tedesca durante la prima guerra mondiale. La storia di questo mezzo è interessante: UB-116 fu durante un tentativo di sbarco nella base di Scapa Flow, ancora oggi non si sa se per diserzione o per un ultima disperata offensiva /sabotaggio per attaccare le unità della grande flotta britannica ivi ormeggiata,  fu affondato da una mina telecomandata al largo delle Orcadi. Ormai ferito a morte ed incapace di navigare, l'UB 116 fu colpito successivamente da cariche di profondità, condannando definitivamente all'inevitabile destino i 36 marinai di equipaggio.
Serata terminata? Manco per sogno! Andrea “Murdock” Alpini, a questo punto ci ha mostrato i filmati della sua spedizione nella Thundra siberiana, “Russia Orda Cave”, i panorami mozzafiato, anche se in acqua dolce della Russia meno conosciuta, temperature esterne di – 20° e l'acqua “calda” a + 4C°. La grotta dell'Orda è una grotta di cristallo di gesso trovata sotto i monti Urali occidentali. La foce è vicino alla riva del fiume Kungur appena fuori Orda, Perm Krai in Russia. Il sistema di grotte si estende per 5,1 chilometri con circa 4,8 chilometri per tutta la lunghezza sott'acqua. Anche qui visioni spettacolari nel candore della roccia che a volte si sfalda sotto il gorgogliare delle bolle dell'erogatore. Ultima cosa, un gustoso assaggio, qualche accenno dell'ultima impresa di Andrea: un sistema di grotte nel paese di Vlad Tepes, “Isverna Cave” in Transilvania, ma per questo dovremo tenerci tutti la curiosità sino a Febbraio dove lo presenterà a Bologna durante l'Eudi Show del 2019. Foto d'obbligo con l'autore e acquisto del suo libro magnifico pieno di immagini e sopratutto di storia ed emozioni. Che dire!? Sono in massima parte immersioni nel quale non mi cimenterò mai, ma nonostante questo non posso dire non esercitino un fascino su ognuno di noi. I viareggini dell'Artiglio non sbagliano mai un colpo, e noi non vediamo l'ora di essere ancora con loro ad un evento.



Link:
Andrea “Murdock” Alpini - http://www.giosub.com/website/index.php/andrea-murdock-alpini
Piroscafo fluviale “Plinio” : https://www.scubaportal.it/relitto-plinio.html
MV “Viminale” - https://www.scubaportal.it/motonave-viminale-sogno-italiano-2019.html
RMS Justicia - https://en.wikipedia.org/wiki/SS_Justicia
HMS Audacious - https://en.wikipedia.org/wiki/HMS_Audacious_(1912)
SMS Markgraf - https://it.wikipedia.org/wiki/SMS_Markgraf
Orda Cave - https://www.submagazine.it/orda-cave-nel-gelo-della-russia/


Fabrizio Gandino
Subacqueodisuperficie”