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domenica 28 aprile 2019

Subacquei gente seria - 7 : I corsi di specializzazione subacquea di cui non potrete fare a meno


Sfortunatamente per me ho iniziato a praticare subacquea un po’ tardi, ma quelli che hanno iniziato assai prima di me, avevano prerogative ben diverse, in acqua ci entravi solo se il tuo istruttore decideva che eri davvero pronto per farlo.
La moda di questi ultimi anni è tendenzialmente quella di dare i brevetti in una settimana all’interno di qualche resort e poi incoraggiare i sub a seguire i corsi di specializzazione sul tipo: assetto, profondità ecc.
In realtà spesso sia all’estero (oggi) che in Italia (In passato) in acque libere ti facevano immergere solo se avevi soddisfatto certi risultati, questo ha portato alla moltiplicazione di sotto-corsi, chiamati spesso “Specialità” dove il sospetto che il motivo didattico sia la scusa per uno pecuniario è assai forte.
Mi permetto di segnalare quindi sei di questi corsi basilari per chi vuole affrontare la subacquea ricreativa con un piglio dinamico:





1) Corso di “F.D.S” (Farting in Dry Suit): questo corso di specialità insegna come gestire la flatulenza in immersione, ragionando sulla gestione del metano, notoriamente più leggero dell’aria, che potrebbe portare ad imprevedibili pallonate, marcaggio delle mutande e pericolo di esplosioni, qualora uno si levasse la muta nelle vicinanze di fiamme libere o qualcuno che si sta fumando una sigaretta.




2) Corso di “B.R.” (Burp in the Regulator): questo corso è fondamentale per chi è solito festeggiare la sera prima di un immersioni con la bagnacaoda. Il corso insegna la rimozione in immersione delle caratteristiche stalattiti verdi che potrebbero formarsi nel secondo stadio durante l’immersione e ad un corretto uso dell’alka selzer allo scopo di non turbare l’ecosistema con le proprie esalazioni orofaringee nelle bolle.





3) Corso “Ride mount”: questa specializzazione è basilare per chi decide che portare una bombola sulla schiena sia troppo faticoso e il side mount troppo complicato. Durante il corso vi verrà insegnato come cavalcare la propria bombola con la classica entrata in acqua alla “Bersagliera” come alternativa al passo del gigante. In circa tre lezioni, se uomo, vi avvantaggerete di una maggiore vestibilità sul cavallo di qualsiasi muta vogliate indossare. Oltre a questo vi approprierete di nuove sonorità vocali da soprano.



4) Corso “P.D.S.” (piss in the dry suit): quanti di voi durante un full day sono stati compressi in gommoni striminziti o barche minuscole da gestori disonesti di diving? Questo corso vi aiuterà a farvi spazio nel momento più critico della riemersione, quando stanco da essa dovrete ritagliarvi un piccolo spazio per sedervi e riprendervi. Grazie ad un corretto uso del “ciclo dell’ammoniaca” naturale in tutti noi, qualche piccolo accorgimento e naturalmente aiutati dal calore corporeo sviluppato all’interno della muta, gli altri sulla barca si distanzieranno da voi, con la creazione subitanea di una zona confort.




5) Corso “Underwather Talking” : Grazie alle più avanzate tecniche di logopedia, imparerete a comunicare sott’acqua con le maschere tipo gran facciale. Comunicare per voi non sarà più un problema, imparerete a gestire I ritardi nelle comunicazioni riuscendo ad avere una risposta intelleggibile (ed una sola) ad un “Ciao come và?” prima che vi finisca la bombola e finiate in teleselezione.



6) Corso di specializzazione “S.U.D.” ("Shanghai" underwater descent): un corso irrinunciabile per il vero subacqueo. Grazie alle tecniche di origine cinese di cui vi approprierete durante questo corso di specializzazione, potrete mettere in pratica tutte le nozioni apprese nei corsi di “Ricerca e recupero”. Il corso di specializzazione S.U.D vi permetterà di scendere sul fondo senza dovervi preoccupare di finire addosso al vostro compagno o ad un altro membro del gruppo di immersione, mantenendo una distanza più che confortevole tra di voi.




P.S. Naturalmente I corsi in questione per fortuna non esistono (credo, sul 5 non sono sicuro), ad un buon subacqueo non credo serva un corso di autoironia.


Buone Bolle



Fabrizio Gandino
Subacqueodisuperficie”




martedì 23 aprile 2019

Cosa sta succedendo a Calafuria?




20 aprile 2019 la squadra approda a Calafuria dove ci attendono già Enrico e Carlo, per l’occasione, oltre a lui, ci siamo Massy, Cristiano (era un po’ che non lo si vedeva), l’immancabile nostro videomaker Salva ed io. Riusciamo anche a vedere Rachele che è già scesa in acqua e si sta cambiando, si sarà alzata tardi visto la sua propensione alle levatacce.

Scarico veloce dell’auto, per una volta abbiamo trovato parcheggio vicino, poi si vola a montare le attrezzature… ok stiamo ancora finendo si montare gli scuba che Carlo si materializza dalla Torre già vestito di tutto punto gav e bombola in spalla “as usual”.
Carlino e Cristiano
Ora io dico, ma quest’uomo è umano? Ho scelto la subcquea per rilassarmi, tutta la settimana mi metton fretta, non perdo nessuna barca... Subito inizia ad apostrofarci perché ci mettiamo troppo e sta morendo di caldo dentro la muta stagna, “Vai a bagnarti” gli risponde Salva, “Dopo ci ho freddo” risponde Carlo e si dilegua giù verso il golfetto per le scale.
Vi risparmierò tutte le solite battute e rituali di perculamento su: la scelta delle bombole, il colore del gav di Massy (Giallo canarino modello “Titty, mi è semblato di vedele un gatto”), le troppe videocamere di Salva, la mia bottiglietta per i campioni, il reel del pallone di Massy che si ingarbuglia regolarmente ecc.
Foto di Salvatore Fabiano
il nostro Cristiano Masini
Finalmente dopo varie peregrinazioni si entra in acqua, tra le rimostranze/sospiri semiseri di Carlo, a dire il vero tutti torti non li ha, l’abbraccio del mare è gelido, l’acqua è ancora a 15°c, le condizioni del mare sono buone, c’è poca onda, circa 20 cm tira una leggera corrente che spinge verso il Boccale.
L’obiettivo di oggi è una discesa sulla “benna”, per chi non fosse pratico di Calafuria, è un carrello da miniera che si trova all’interno di una gola di roccia aperta su un lato, poco distante c’è un grosso pneumatico da camion e un secchio sempre di quelli usati in miniera, nessuno è stato capace di spiegarci come sono finiti laggiù, la profondità in quel punto è di 33 metri, andando oltre c’è una parete interessante, il nostro vero obiettivo di oggi, visibilità 

Foto di Fabrizio Gandino
"La Benna" di Calafuria
permettendo.
Ed ecco, quest’ultima appunto, è buona, per i parametri di “Calafuria”, per cui la visibilità è lungi da assomigliare da quella cristallina del mio mare di Sardegna.
La discesa sul pallone avviene senza incidenti, la pesata che ho è buona e finalmente riesco a padroneggiare la stagna come si deve, ho giusto il tempo di avere questo pensiero, mentre cerco di regolarizzare il respiro, che mi guardo intorno.
La prima cosa che noto sono i diversi “gusci di riccio”, varietà Riccio di Prateria (Sphaerechius Granularis), sono tanti...troppi, sono abituato a vederli con

il primo di una serie di ricci morti
magari i gusci dei molluschi attaccati agli aculei, classico resto della merenda di qualche polpo, ma ora dei loro spini nessuna traccia. Sono fra i ricci più comuni del Mediterraneo lo Sphaerechinus granularis vive sui fondali rocciosi e praterie di Posidonia oceanica, ad una profondità che va dai 3 ai 30 metri . Il suo nome , "Riccio di prateria" non è casuale, molto spesso viene rinvenuto nelle praterie di posidonie. I ricci di mare sono voraci erbivori e trascorrono l'intera esistenza sul fondale marino a brucare le alche sui fondali marini, per questo rivestono una grande importanza nell'ecosistema marino, ad un punto tale che la loro diminuzione può riflettersi pesantemente sull'ambiente,
foto di Fabrizio Gandino
Gigli di mare
modificando la proliferazione delle alghe. A questo aggiungete il periodo prossimo, compreso tra maggio e giugno che  è quello deputato al fermo biologico per riproduzione di questa specie per capire le implicazioni.
Raggiungiamo la benna infine, i ragazzi vanno un po’ più giù, Massy ed io rimaniamo indietro, lui fatica un po’ perché porta il pallone, Salva si sofferma a filmare qualche flabellina, intravedo una piccola cernia che furtiva ci passa dietro, correndo ad infrattarsi subito tra gli scogli.

Tutt'intorno è pieno di gigli di mare, posati sulle rocce circostanti.
L’illuminatore della mia videocamera decide di essere stanco e di spegnersi, ero convinto di averlo ricaricato, ma si vede che mi sbagliavo.
I ragazzi ricompaiono da sopra una roccia, il gruppo si ricompatta e ricomincia la via del ritorno.

 
nel video la rete da pesca 

Qualche giorno fa (16 aprile), ci era stata segnalata la presenza di una rete da pesca, (documentata da un video) a dire il vero ve ne sono diverse ormai a brandelli incastrate contro la scogliera, ma questa era perfettamente integra e ben distesa per tutta la lunghezza, sinceramente riesce assai difficile pensare che sia andata persa, ma viste le sue ottime condizioni, distesa intenzionalmente, il che oltre ad essere in violazione ai divieti che riguardano Calafuria, è a dir poco criminale, visto che quell’area è frequentata regolarmente dai subacquei tutto l’anno. La rete in questione, stando alle informazioni ricevute, tagliava direttamente il letto del fiume cigliata di destra dalla profondità di 18,4 metri sino al capo di sinistra 16,8 metri, fortunatamente il giorno dell’avvistamento non c’era corrente, e una visibilità più che accettabile, il che rafforza l’idea che sia stata dispiegata intenzionalmente nottetempo. A questo proposito devo dire che non non l'abbiamo vista, non ci è dato sapere se rimossa da chi l'aveva persa/posata o dagli organismi competenti.


Il rientro avviene senza troppi incidenti seguendo il profilo della parete per rientrare nel golfetto, alla franata di sassi la sosta obbligatoria per la deco ed è proprio qui che li vediamo.
Sono dei filamenti attorcigliati lunghi non più di una decina di centimetri, li vediamo tutti, più tardi ipotizzeremo essere delle uova, sono a centinaia, in bastoncini trasparenti, che sembrano avere una doppia fila come di girini messi in fila allineati, provo a filmarli, ma la mia action cam non so quanto sia adatta a questo compito, spero che Salvatore ne abbia ripresa qualcuna.

Fuori dall’acqua, mentre attendiamo che il sole ci scaldi un po’ ne parliamo, della moria dei ricci, del poco pesce visto (il sospetto che la rete centri qualcosa è forte) , e di quegli strani filamenti trasparenti che abbiamo visto in acqua.
Al solito, arrivato a casa comincio a scartabellare i libri di biologia marina alla ricerca dell’identificazione di quegli strani filamenti, alla fine ecco la risposta: Salpa (Thalia Democratica, in altri testi Salpa maxima).
Attenzione niente a che vedere con la Sarpa Salpa, quei pesci argentei che vediamo brucare spesso in gruppi tra la posidonia, qui si tratta di un organismo appartenete ai Tunicati.
Le salpe sono tunicati planctonici (Macroplancton come l’Olindias phosphorica) con il corpo trasparente rivestito da una tunica gelatinosa. Queste sono sostanzialmente dei tubi digerenti fatti di gelatina trasparente. Si nutrono di minuscoli organismi planctonici filtrando l’acqua.
Ha il corpo a forma di barile e può essere solitaria o formare per gemmazione colonie di decine di individui che rimangono uniti fra loro a formare una catena.

Non essendo in grado di dirigere attivamente il loro movimento, vengono trasportati passivamente dalle correnti. In primavera si aggregano a formare delle catene lunghe decine di metri. Esse giocano un ruolo importante e benefico nel ciclo del carbonio. Non sono pericolose per l’uomo, il loro contatto non provoca irritazioni alla pelle, al contrario però sono assai apprezzate da delfini e tartarughe marine che se ne cibano.
Tornando a bomba invece sulla moria di ricci marini, di recente nelle aree marine protette di Tavolara e di Sinis (Sardegna), è stata riscontrata una moria impressionante di ricci di mare tale da far affermare a Simone Farina, ricercatore della Fondazione Imc di Torregrande :“ I primi segnali ci fanno pensare che si tratti di un'infezione batterica, ma al momento siamo nel campo delle ipotesi”.
Speriamo vivamente che non stia succedendo qui a Calafuria e sulla costa del livornese per i Ricci di mare, quello che sta accadendo un po’ in tutto il mediterraneo con la Pinna nobilis, vittima di un protozoo che ne sta compromettendo la sopravvivenza con tassi di mortalità assai elevati (96% di mortalità).

Buone Bolle (speriamo)

https://www.biologiamarina.org/taliaceo-salpa-maggiore/
Salpa Maxima



Bibliografia:

Guida della fauna Marina Costiera del Mediterraneo (Luther/Fidler)
Flora e Fauna marina della costa livornese (Gianni Neto)
Atlante di flora e fauna del Mediterraneo (Egidio Trainito, Rossella Baldacconi)


Attrezzature:

Computer: PUK Mares
Gav: Acquatica Tek Side Smart Twenty
Octopus: Primo stadio MR2 Mares, M5 Oceanic,  Secondi stadi Mares Rebel – Seacsub
Muta : muta stagna CHALLENGER DiveSystem
Pinne : Mares Avanti 4
Maschera: Italica Seac Sub
Immersione da terra - Calafuria (LI)
Temp. Acqua: 15 C°

Momenti di Relax post-immersione




Fabrizio Gandino
Subacqueodisuperficie”


domenica 14 aprile 2019

EUDI Show 2019 - L'Artiglio Ritrovato






 «L'uomo deve rappresentare l'occhio che osserva per guidare l'opera - diceva - assurdo pretendere che a 70 metri, bloccato da pressioni esterne sproporzionate, egli possa usare le mani e le gambe. Assurdo e sbagliato...»


L’edizione dell’EUDI Show di Bologna 2019 ha ospitato la mostra sull’Artiglio, per chi non sapesse di cosa stiamo parlando, dirò brevemente che l’Artiglio e il suo equipaggio, furono l’orgoglio della pionieristica subacquea/Palombari/recuperi italiana e mondiale del secolo scorso.
Erano gli anni 30’ quando un esplosione , precisamente domenica 7 dicembre 1930, travolse ed affondò l'Artiglio, mentre era impegnato nella demolizione del piroscafo "Florence", il nome di Viareggio e dell'Artiglio occupò tristemente le prime pagine di tutti i giornali del mondo.

I nomi dei palombari Alberto Gianni, Aristide Franceschi, Alberto Bargellini ed il marinaio Romualdo Cortopassi, tutti di Viareggio, tornarono ad occupare le colonne dei giornali per l’ultima volta.
Erano stati i protagonisti di imprese ritenute sino a quel momento impossibili: Alberto Gianni fu un precursore, palombaro già famoso nel 1914 addetto alla marina da guerra come palombaro, studiò ed inventò nuove attrezzature, come la Torretta da osservazione, e primo fra tutti tra gli utilizzatori che abbandonarono gli scafandri in gomma per passare a quelli in acciaio di fabbricazione tedesca.


Si trattava di scafandri rigidi e articolati, costruiti dalla Neufeldt und Kuhnkeforniti di gambe e braccia terminanti con artigli metallici in grado di afferrare utensili. Il palombaro attraverso degli oblò poteva osservare l’esterno e comunicava con la superficie attraverso un cavo telefonico.
Balzò inoltre alle cronache per il recupero dell'aereo Idrocorsa Savoia-Marchetti S65 del corpo del suo pilota, l'asso della Regia Aviazione, il Maresciallo pilota Tommaso Dal Molin nel Lago di Garda il 30 gennaio 1930
In un epoca che si può definire tranquillamente “eroica” per la subacquea ed i recuperi in profondità, l’equipaggio dell’Artiglio fece parlare di sé prima con quello quello del piroscafo inglese Washington, che faceva parte di un convoglio proveniente dagli USA, affondato da un sommergibile tedesco che lo colpì con un siluro. Successivamente fu la volta dei piroscafi Ravenna, Umberto 1º, Eyloniam, Monte Bianco e Stromboli e dei loro preziosi carichi, ed infine il loro successo più grande: la localizzazione e recupero del carico dell’ Egypt.
Il piroscafo era affondato il 20 maggio 1922, in seguito alla collisione dell’Egypt con un mercantile francese, il Seine, in un punto dell’Atlantico a circa 50 chilometri dalla costa bretone.
c'è persino un marinaio che fuma
La Società armatrice dell’Artiglio, la So.ri.ma. Venne a conoscenza dei carichi contenuti nei relitti sul fondo dell'oceano, creando le premesse per la più grande impresa mai affrontata: il recupero del carico dell'Egypt, piroscafo, affondato in un punto imprecisato del canale della Manica, si seppe poi che conservava, ad una profondità di 130 metri un vero e proprio tesoro: 5 tonnellate e mezzo di oro e 43 tonnellate di argento, per un valore di 5 milioni e mezzo di dollari di allora! Una cifra principesca.
Quel successo diede fama e gloria ai palombari italiani, proiettando le loro imprese nell’immaginario di tutto il mondo, generando ammirazione e rispetto in ogni marineria dell’epoca.
In realtà l’impresa fu portata a termine dall’Artiglio II, grazie agli sforzi e alla preparazione dell’equipaggio dell’Artiglio. Cos’era successo?
Il commendatore Giovanni Quaglia, uomo dotato di grande capacità imprenditoriale e lungimiranza, nonché armatore della So.ri.ma. armò una seconda nave, originariamente iscritta con il nome Maurétanie, e rinominandola con lo stesso nome Artiglio, la quale venne tuttavia, per distinguerlo, sempre chiamata "Artiglio II". Con questa nave, riarmata e ristrutturata dall'equipaggio della So.ri.ma., in gran parte attrezzata con il materiale recuperato dall'Artiglio riuscì nell’impresa (questo nel giugno del 1932).
Era successo che a causa del maltempo invernale, l’equipaggio dell’ Artiglio aveva dovuto interrompere le operazioni di recupero, posticipandolo primavera successiva. Nel frattempo quindi l'Artiglio fu destinato l'isola di Bele Ile, in Francia con lo scopo di effettuare il recupero della nave Florence carica di un cospicuo quantitativo di esplosivi, il recupero era particolarmente necessario in quanto la nave, affondata durante il primo conflitto Mondiale, di trovava davanti al porto ostruendone il passaggio.
Il resto è storia: durante le fasi di demolizione della Florence, furono commessi degli errori: alcuni dicono che si suppose che l'esplosivo, immerso da più di 13 anni, non fosse reattivo, altri che che ne fosse stata sottostimata l’effettivo quantitativo.
Oggi gli artificieri direbbero che l’equipaggio dell’Artiglio, al fine di disinnescare le cariche presenti sul relitto predisposero accidentalmente un “esplosione per simpatia”, si fa detonare una carica minore in modo da innescare l’esplosione
del carico esplosivo al fine di neutralizzarlo da un esplosione accidentale, qualora fosse rimasto lì.
Questa però non era la loro intenzione, l’esplosivo doveva servire solo ad entrare nel relitto, che però innescò la detonazione del carico bellico che la nave conteneva esplose. La nave Artiglio, impreparata a questa eventualità si trovava troppo vicina venendo a sua volta distrutta dall'esplosione e trascinata sul fondo. In questo tragico incidente morì gran parte dell'equipaggio, tra cui i palombari Alberto Gianni, Aristide Franceschi e Alberto Bargellini tutti originari di Viareggio.
Nel 1983 alcuni subacquei francesi si immergono nelle fredde acque della baia di Quiberon. Sono alla ricerca del relitto di una nave esplosa in aria ed affondata negli anni ‘30, la Florence H.
Nei suoi pressi, su un fondale poco profondo trovano i resti di un altro scafo che appare in condizioni ancora buone. Sembra un vecchio piroscafo ancora con lo scafo chiodato; certo i suoi ponti e le sovrastrutture sono collassati, ma tra il fango si riescono ancora a distinguere i vecchi locali interni. La prima cosa che viene in mente a quei subacquei è che possa essere il relitto del mitico Artiglio, affondato nel 1930 proprio mentre stava operando sul Florence, ci vuole del tempo per l'identificazione,  ma quello è proprio il relitto dell' Artiglio.
A distanza di quasi novant’anni da quei fatti all’ Eudi Show 2019 di Bologna, abbiamo potuto vedere la mostra “L’Artiglio ritrovato”.
Una collezione di cimeli recuperati dal fondo del mare della gloriosa nave da recupero, un sacco di oggetti di uso comune, ma anche attrezzature dell’epoca originali utilizzate dai membri dell’equipaggio.
Tutto come congelato in un istante nel tempo, gli oggetti ci parlano della vita di bordo, dei passatempi, del modo di lavorare dell'equipaggio, tutto un attimo prima che l'esplosione della Florence cancellasse tutto, consegnando l'Artiglio e i suoi dodici uomini di equipaggio agli abissi per sempre.
Credo ci volesse un coraggio fuori dal comune, per infilarsi dentro quelle attrezzature così pesanti e primitive, lo stesso Gianni, aveva dichiarato all’epoca che: «L'uomo deve rappresentare l'occhio che osserva per guidare l'opera - diceva - assurdo pretendere che a 70 metri, bloccato da pressioni esterne sproporzionate, egli possa usare le mani e le gambe. Assurdo e sbagliato...».


Credo che le immagini parlino da sole, meglio di ogni altro mio commento, rendendo onore al ricordo di quegli audaci precursori .


Fabrizio Gandino
"Subacqueodisuperficie"