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domenica 26 febbraio 2023

Emozioni Profonde : A caccia di relitti con Andrea Bada

 


La mia prima immersione come neobrevettato Open Water fu una sorpresa, ne ho già parlato qui sul blog qualche tempo fa, fu sul relitto della Eurobulker IV, un cargo carbonifero affondato al largo dell'isola di S.Pietro sopra una secca di 18 metri.

Chiunque si sia immerso su un relitto lo sa, si prova una sorta di suggestiva emozione, spesso perchè quei relitti sono anche l'ultima testimonianza di chi in mare vi ha perduto la vita.

C'è poi chi dell'esplorazione e della ricerca di questi relitti ne ha fatto la sua ragione di vita, non per denaro, o tesori, ma per vivere delle emozioni.

 


Sabato 25 Febbraio 2023, ad Empoli in Loc. Avane, presso LA VELA Area Margherita Hack, l'associazione G.E.A.S. ha organizzato un incontro con Andrea Bada , un sommozzatore professionista, che ha presentato alcuni filmati di relitti siti in immersioni profonde da lui e il suo Team, “Techdive Explorer Team” nel nostro Mediterraneo.

Sala piena, tante facce conosciute, e direttamente da quel di Calafuria, tra questi i nosti Salvatore, Yuri, Enrico (ancora bagnati dall'immersione del mattino)  e  Matteo , Michele e Pippo .

Ha aperto il pomeriggio Sandro Matteucci, presidente di G.E.A.S. Ricordando che prossimi al 35° anniversario della fondazione dell'associazione si è voluto dare lustro alla ricorrenza organizzando appuntamenti come questo.

Dopo è stata la volta Di Marco Lemme, Presidente F.I.A.S che ha ricordato come realtà associative come questa empolese, servono non solo a portare avanti i valori del nostro sport, ma anche a favorire una certa socialità e senso di appartenenza.


 

Dopo di lui è intervenuto Maurizio Bertini che si è adoperato per mettere in contatto Andrea Bada con l'associazione al fine di rendere possibile questo incontro con il pubblico.

Interessante tra gli altri l'intervento della Dottoressa Pamela Ciuffo in qualità di Psicologa del gruppo Techdive, che ha spiegato come il nemico peggiore di un sub, specie in queste imprese, sia l'ansia, come sia vitale riuscire ad elaborare e allenare non solo il fisico ma anche mente e stato emotivo, senza mezzi termini ha affermato che mentre per u immersione ricreativa un attacco di ansia può essere gestito, a 130 metri di profondità non c'è nulla da gestire se non si è fatto un certo lavoro prima, semplicemente “sei morto”. 


Prima dell'intervento dell'ospite della manifestazione, Umberto Giorgini del DAN, ha illustrato brevemente un caso in cui la tempestività nel soccorso ha fatto la differenza e come opera il Dan in questi casi, a cui ha seguito un intervento di elogio dell' Assessore allo Sport Fabrizio Biuzzi.

A questo punto rotto ogni indugio, ha preso la parola Andrea Bada, chiarendo subito alcuni punti.

Lasciate che vi dica alcune cose, forse anche a voi sarà capitato di andare a qualche conferenza e vedere qualcuno che si gigioneggia e a cui manca solo che apra la ruota come un pavone, ecco non aspettatevelo da questo ragazzo.


Per prima cosa ha tenuto a spiegare che per quello che fa non è assolutamente un superuomo, ma che anzi confrontarsi con il mare gli ha restituito un senso di grande umiltà, che malgrado le sue ricerche per forza di cose lo spingono a profondità elevate, non è per questo che lo fa e che la profondità è richiesta e definita dall'obiettivo che si intende raggiungere, sebbene un limite se lo sia autoimposto comunque, “solo...- 180 metri”, spiegando che questo limite operativo è dettato dall'impossibilità con un attrezzatura che non sia da palombaro di gestire un immersione con le sue finalità.

La preparazione atletica e mentale sono basilari come uno stile di vita sano e corretto.

Quali sono queste finalità? La ricerca, la riscoperta (ritrovamento) e l'identificazione dei relitti, cosa tutt'altro che semplice.


Prima ancora che entrare in acqua, il lavoro di ricerca è fatto di una minuziosa raccolta di documenti, testimonianze, fotografie, filmati, insomma tutto quello che può essere utile ad individuare le peculiarità del relitto che si ricerca, solo allora e solo dopo si inizia la ricerca vera e propria, che è fatta di tentativi mirati, ma pur sempre tentativi e di un lavoro di squadra in cui ogni ruolo ha un importanza cruciale, da chi fa assistenza in superficie a chi fa riprese e chi segue con un filo di Arianna chi sta documentando sul fondo con foto e video.

Questo Andrea lo ha ribadito più e più volte, come uno dei punti più importanti. 

TA-23 (ex R.N. IMPAVIDO)


Una volta trovato e documentato il relitto, si passa all'identificazione, ed è qui che entra in campo Claudio Grazioli, appassionato di Storia nel senso più genuino del termine, sulla base di schizzi, fotogrammi, posizione geografica tenta un identificazione del relitto, dando un nome a scafi che sono da decenni nell'oblio dato dalle profondità del mare.

Emblematico è stato il doppio racconto di Claudio e Andrea sul ritrovamento ed identificazione dell'aereo fantasma di Punta Manara, un P47 Thunderbolt alleato, abbattuto dalla contraerea tedesca e mai ritrovato sino alluglio del 2021 ( Vi invito a clickare sui link a fondo pagina).


Questo fanno Andrea Bada e il suo Team, restituiscono a noi in superficie, quello che il tempo e il mare hanno nascosto, documentando, e lasciando tutto così come lo hanno trovato con profondo rispetto.

Da anni il Team collabora con l'Istituto Idrografico Militare, joinventure che ha portato mutui benefici ad entrambe le parti, colmando spesso i buchi nella narrazione storica di molti eventi bellici.


Come l'affondamento del TA-23 (ex R.N. IMPAVIDO), unità italiana requisita il 16 settembre del 1943 e incorporata nella Kriegsmarine (Marina Militare tedesca) il 9 ottobre 1943, assunse il nome di TA 23. Nel gennaio 1944 la torpediniera fu dislocata a La Spezia, in seno alla X Flottiglia Torpediniere. Un destino molto comune a tanto naviglio catturato, riconvertito e impiegato dai tedeschi che avevano poco naviglio di superficie nel Mediterraneo. Il relitto della TA 23 giace su fondali di 70 metri, spezzato in tre tronconi, ad una decina di miglia da Cecina e ad una distanza circa doppia dalla Capraia. Il troncone poppiero, il più lungo (oltre metà della nave) giace in posizione capovolta, quello che include la plancia è adagiato su un fianco ed angolato di 90° rispetto al precedente, mentre il terzo troncone è costituito dall'estrema prua. Nello specifico Andrea e Claudio hanno spiegato come furono fondamentali l'identificazione delle bombe di profondità di chiara fattura tedesca e dell'armamento di bordo, per dare un nome a ciò che avevano ritrovato.


Durante la seconda guerra mondiale, prima e dopo l' 8 settembre 1943, i tedeschi requisirono e riconvertirono molto naviglio di superficie dai paesi occupati, Francia, Grecia ed Italia, il caso del UJ2206 (ex peschereccio francese Saint Martin Legasse, 14/02/43-03/11/43) è uno di questi, anche qui documentato, ritrovato e identificato dal team di Andrea Bada a nord delle Formiche di Grosseto.

Ultimo, ma non ultimo, il ritrovamento del sommergibile Velella che detiene il triste primato di essere stato l'ultimo sommergibile italiano perduto nella guerra contro gli Alleati: nell'ambito del «Piano Zeta», di contrasto al previsto sbarco anglo-americano in Calabria o Campania, lasciò Napoli il 7 settembre 1943, e da quel giorno non diede più notizie di sé. Il 13 maggio il 2003 il relitto del Velella è stato individuato a 8,9 miglia da Punta Licosa a circa 138 metri di profondità, ma dovremo aspettare sino all'agosto del 2022 perchè una spedizione di Andrea Bada ed il suo Team, riesca a raccogliere dati sufficienti per un identificazione certa del relitto. Sebbene intuibile dai rapporti sull'affondamento, oggi i familiari dei 55 marinai sanno dove riposano i loro cari, Il relitto del sommergibile Velella, con tutto il suo equipaggio, è adagiato sul fondo del mare a 140 metri di profondità .


Lo spazio per le domande è stato scarno, non tanto per il tempo a disposizione e men che mai per la disponibilità di Andrea e del suo Team a rispondere al pubblico, ma semplicemente, credo, che alcune immagini, ti lascino con un senso di assoluto stupore e ti fanno sentire infinitamente piccolo e annichichilito da quel “tanto, troppo” che si nasconde sotto la superficie e che il “Techdive Explorer Team” appena può scalfire...eppure tanto basta.

Io come molti altri di voi che leggete, non scenderò mai a queste profondità, accetto con umiltà i miei limiti, questo però non mi impedisce di ammirare, chi con preparazione adeguata scende e permette anche a me di vedere cosa cela il sesto continente.


Tuttavia l'Ospite ha chiarito che non è cosa per tutti, ci vuole molta dedizione, allenamento e spirito di sacrificio, ma sopratutto, tanta, tanta, tanta, tanta umiltà, ribadendo l'ovvio, il mare non è il nostro ambiente, ogni volta che scendiamo sotto, non importa quanto, commettiamo nei confronti del nostro corpo, una piccola violenza, essere consapevoli che siamo degli ospiti sta alla base del rispetto che dobbiamo avere per il mare.

Granzie ad Andrea Bada, G.E.A.S. e  il “Techdive Explorer Team” tutto per le emozioni che ci avete regalato in questo sabato pomeriggio. 



Chiudo con una News: Dopo aver vinto inaspettatamente il Paladino d'Oro nella 41esima edizione dello Sport Film Festival Internazionale di Palermo, a breve uscirà un lungometraggio di Andrea Bada sulla rete a pagamento Sky  e una serie sui cacciatori di relitti  in chiaro su Realtime, che vi invito a non perdervi.


Buone Bolle e buona visione!





Link :

https://it.wikipedia.org/wiki/Impavido_(torpediniera)

https://www.rainews.it/tgr/liguria/video/2021/12/lig-andrea-bada-63bf8bac-340d-4ae5-a890-5b0a73cfa82c.html

https://www.youtube.com/watch?v=0EZaIkDuOHU

https://www.anmicastellabate.it/wp/il-sommergibile-velella/

 https://www.underwatertales.net/2018/03/27/aereo-in-giardino-la-storia-del-caccia-p-47-thunderbolt-di-punta-manara/

Facebook: 

Andrea Bada : https://www.facebook.com/andrea.bada.7

Claudio Grazioli : https://www.facebook.com/claudio.grazioli.94

Techdive : https://www.facebook.com/profile.php?id=100057680430630


Fabrizio Gandino

“Subacqueodisuperficie”


 


venerdì 21 ottobre 2022

Capo d'Acqua: un momento congelato nel tempo

 Questo pezzo apre l'esordio di Matteo Stanzani che da questo inserto comincerà a collaborare con il Blog, non perdo altro tempo e lascio la parola a lui.

 


 

Salve a tutti oggi parliamo di una Location davvero unica nel suo genere in tutta la nostra penisola si trova nell'invaso idrico di Capo D'Acqua (Comune di Capestrano) in provincia dell'Aquila. Incastonato nel Parco nazionale del Gran Sasso, a circa un centinaio di chilometri da Roma, è possibile immergersi per ammirare i resti di due mulini medioevali. La ragione dell'opera idraulica trova necessità nel bisogno irriguo dei terreni circostanti. Nato tra le antiche linee di confine del regno Borbonico, Stato pontificio e Capestrano (per diverso tempo sotto la signoria di Firenze), la zona consta di 12 chiese edificate lungo la linea di transumanza degli allevatori, che si muovevano con il bestiame da e verso la Puglia. Tali opere furono realizzate dall'Ordine dei Cavalieri Templari, su disposizione del Papa Celestino V al fine di favorire lo scambio delle merci, offrire un riparo e mitigare gli scontri tra le popolazioni locali, piuttosto frequenti all'epoca.


 

L'immersione che ci si accinge a compiere sotto questo specchio d'acqua di un colore turchese, sarà nella fredda acqua sorgiva, che consente una trasparenza inimmaginabile. Pinneggiando si arriva al primo mulino (stando ben attenti a stare alla giusta distanza dal fondo). L'impatto visivo riesce ad impressionare anche i subacquei più girovaghi del mondo. La sensazione è quella di vagare nella Storia e nel Tempo! Il primo mulino è quello che si è conservato peggio, tuttavia si può agevolmente individuare tutto il perimetro della struttura e i muretti a secco. Passando al secondo si può notare gli archi di pietra e le pareti con un masso incastonato avente un foro passante, dove venivano legate le cavalcature. 


 Un percorso sicuramente suggestivo, un piede nella storia (o una pinna, fate voi), tanto che alla fine dell'immersione si continua a guardare e girellare nel sito nonostante il freddo, sospesi nell'atmosfera liquida di un posto magico.



Matteo “Masdepaz” Stanzani




 

 

 

 

 

                                                     


 

Per anni ero stato vittima della “Maledizione di Capo d'Acqua”, ogni volta che si programmava quel tuffo capitava qualcosa che mi impediva di andarci, il che era diventato un bel po' frustrante, al punto da metterci quasi, con una sorta di fatalistica rassegnazione, una pietra sopra.

Potete quindi capire quindi, quando a margine della stagione estiva, Matteo mi chiama al telefono e mi dice che si vorrebbe organizzare un uscita a Capo d'Acqua (AQ) e se la cosa poteva interessare qualcuno del nostro gruppo, non riuscì a terminare la frase che avevo etusiasticamente già accettato.


Ma cos'è Capo d'Acqua? Dovete sapere che nel parco nazionale del Gran Sasso, a 180 chilometri da Roma, e una quarantina dall'Aquila, c’è un piccolo lago artificiale che è entrato nella classifica dei migliori posti al mondo dove fare immersioni. Alle pendici occidentali del Monte Scarafano, le acque delle sorgenti di Capo d'Acqua sono invasate in un bacino artificiale collegato ad un sistema di irrigazione che alimenta una centrale idroelettrica che alimenta una stazione di pompaggio che convoglia le acque dell'invaso verso i Comuni siti a quote più alte per fini agricoli/irrigui. Le sue acque fredde e cristalline arrivano dalle fonti da cui prende il nome: sorgenti di Capo d’Acqua. Il bacino artificiale nasce nel 1965 dopo la realizzazione di una diga costruita per sbarrare il corso del Tirino e per convogliare l’acqua nei campi dove si coltivava il grano. La suddetta diga nata per sbarrare il corso superiore del Tirino, poco più a valle delle sue sorgenti, in prossimità della omonima frazione di Capestrano (Caput Aquae). Il bacino è alimentato da numerose sorgenti naturali immettono nel bacino continui flussi di acqua fresca e limpidissima che confluiscono a valle nel Tirino. Tuttavia questo da solo non spiega perchè questo piccolo lago di altura è stato definito nel panorama turistico internazionale, la “piccola Atlantide d’Abruzzo”.


L'area era intorno al 1100' sotto l'influenza dei Medici, già signori di Firenze, nel sito dove oggi troviamo il Lago artificiale esisteva anticamente un mulino appartenuto alla famiglia Verlengia di Capestrano, e un colorificio costruiti in prossimità della sorgente di Capo d'Acqua. Il colorificio è oggi ancora visibile in superficie, mentre il mulino di circa 400 mq, in buono stato di conservazione, (salvo i danni riportati nel terremoto dell'Aquila che ha fatto crollare un arco) è completamente immerso nell’acqua cristallina del lago ed è caratterizzato dalle antiche tecniche murarie costruttive tradizionali. Di grande impatto sono i resti di due arcate murarie e le piattabande in legno di porte e finestre. Il complesso è costituito da due mulini distinti, realizzati in epoche differenti anche se relativamente vicine nel tempo. Più vicino alla sorgente è presente un altro mulino più piccolo, probabilmente un ampliamento dell’altro. Intatto è il selciato dei viottoli antichi che un tempo veniva percorso dai contadini con il loro carico di grano. Il sito sommerso, ha un che di affascinante e misterioso, la bassa temperatura delle acque, restando costante intorno ai dieci gradi tutto l’anno, impedisce il proliferare di alghe e piante lacustri e garantisce un'ottima visibilità, eccezione fatta per la strafificazione dei semi di salice che anno dopo anno affondando nell'acqua hanno creato una coltre sul fondo che è meglio non smuovere. Va detto però che anche quando questo malauguratamente accade si sedimenta piuttosto rapidamente.


La profondità massima è di circa 9 metri, la visibilità arriva anche a 70, il che aggiunge un senso di irrealtà a questo luogo che sembra congelato nel tempo. L'acqua cristallina e la realativa vicinanza delle rovine alla superficie, riflettendole in una sorta di cielo al contrario, mi ricordano alcuni lugometraggi di animazione di Hayao Miyazaki . L'immersione in sé dura poco più di 35/40 minuti, ma le emozioni che trasmette non vi abbandoneranno più. L'immersione è piuttosto semplice, ed è aperta a subacquei di qualsiasi livello purchè muniti di brevetto, ovviamente si deve avere l'accortezza di seguire le disposizioni dell guide rimanendo a debita distanza dalle rovine e dal fondo del lago. Per quel che riguarda l'attrezzatura io consiglio la muta stagna o una buona semistagna con sottomuta, sebbene Francesco e Francesca, del nostro gruppo abbiano coraggiosamente sfidato il lago in umida (era il 9 ottobre del corrente anno) senza riportare danni. Per quanto riguarda gli erogatori è sufficiente un 


Octopus, ma avere anche delle degli adattatori da Din a Int per l'attacco bombole non guasta.  Il mio consiglio è quello di organizzarvi un bel weekend che comprenda non solo l'immersione nel lago, ma anche nella spendida natura incontaminata che circonda questa piccola perla, fidatevi non rimarrete delusi dall'accoglienza e dalla cucina locale che è già da sola un esperienza positiva che non dimenticheremo facilmente (neppure le nostre mute). Questi luoghi erano l'ambientazione originale della storia di “Ladyhawke” e in parte da queste parti furono girate alcune scene del film del 1985 diretto da Richard Donner con Matthew Broderick, Rutger Hauer e Michelle Pfeiffer; vi segnalo inoltre che nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, immerso in una natura incontaminata vi è anche un grande patrimonio di vasto interesse archeologico (ricordiamo il GUERRIERO di Capestrano). 


 

Alla fine si riparte per tornare a casa con un esperienza in più e devo dire a malincuore vista l'accoglienza ed i luoghi che meriterebbero decisamente più tempo, ma è soltanto un arrivederci mi sa.





Buone Bolle!!!



Link:

https://www.atlantidesub.com/33-Immersione-tra-i-mulini-sommersi.html


 
 
I mulini sommersi di "Capo d'Acqua"




Fabrizio Gandino

Subacqueodisuperficie”


 

domenica 25 settembre 2022

Un compleanno da ricordare : Secca di Chia

 


La fine di Agosto-inizio Settembre può essere ancora un ottimo periodo per fare qualche bella immersione nel Sud Sardegna, è il mio periodo preferito a dire il vero, finiti i grandi esodi turistici si respira un po' di quell'aria familiare che vivevo da bambino quando riuscivo a passare ben tre mesi di ferie dai nonni a Sant'Antioco.


 

Ho conosciuto il Diving Center di Chia qualche anno fa, quando in pieno periodo Covid, con poco tempo a disposizione, cercavo un Diving per fare qualche tuffo a fine stagione.

Sant'Antioco ormai non ha più Diving da qualche anno sull'isola, il che mi ha spinto a dovermi spostare sull'isola di San Pietro diverse volte, belle immersioni che ho anche documentato qui sul blog, ma per niente agevoli per me come trasferta, malgrado la distanza non certo grandissima, a causa dei collegamenti tra Calasetta e Carloforte, orari e disponibilità.

Sebbene Chia sia ad un ora di strada da Sant'Antioco, muovendomi in auto, mi rende decisamente più libero di gestirmi non dovendo sottostare ad orari e disponibilità dei traghetti che collegano le due isole.

Davide Morelli

Conobbi Davide Morelli, il titolare del "Diving Center Chia", circa tre anni fa e mi fece subito una buona impressione, nei due anni a succedere, sempre di corsa (nonostante le ferie) e il poco tempo, sono tornato a Chia per immergermi. (vi rimando al video editato su Youtube delle immersioni dell'anno scorso https://youtu.be/08hq-s_U00A).

Quest'anno ho deciso di festeggiare il mio compleanno e quale modo migliore di farlo se non con un immersione?

La giornata si presentava con un cielo tendente al coperto, ma con il vento quasi in bonaccia, cosa piuttosto rara da queste parti, quello che ancora non sapevo era che proprio questa condizione così perfetta mi avrebbe permesso un esperienza inaspettata.


 

Il sito dell'immersione era la Secca di Chia, prospiciente la spiaggia di Cala Cipolla, si tratta di un “cappello” sui 20 metri circa di profondità che digrada di poco intorno ai 25 metri.

Le immagini che vedete allegate sono estrapolate dai video della GoPro, visto che la custodia della macchina fotografica si è allagata.

Mi ero già immerso nelle acque di Chia altre volte come già detto in precedenza, ma nulla mi aveva preparato al volume di quello che avrei visto.


Neppure eravamo scesi sull'ancora, che la prima scena che si mostrò ai miei occhi fu un inseguimento, tra uno Scaro maschio (Parisoma Cretense) di grossa taglia e una Donzella pavonina (Thalassoma pavo) anch'essa adulta e maschio, ma come lo sguardo si distoglieva era un tripudio di vita. Non facevo in tempo a provare a riprendere qualcosa che Luca, la nostra guida, indicava qualcos'altro: Polpi (Octopus Vulgaris), banchi di sparidi di ogni tipo ( Sarago maggiore, Sarago fasciato, Occhiate, Orate, Dentici, solo per citarne alcuni), una murena (Murena helena), le onnipresenti Castagnole (Chromis chromis) sia nella loro forma adulta che si avanotti blue elettrico, Donzelle (Coris julis) e ancora perchie (Serranus cabrilla), Sciarrani (Scriarranus scriba), Tordo pavone (Symphodus tinca), Scorfano rosso (Scorpaena scrofa) .


 

Non potevano mancare ovviamente qualche Cernia bruna (Epynephelus marginatus).

Non credo di esagerare dicendo che un simile tripudio di vita l'ho trovato solo nell' AMP di Portofino; sebbene il mare fosse relativamente calmo si avvertiva comunque una debole risacca la sotto, mentre mi stavo spostando la mia attenzione da una grossa Vacchetta (Peltrodoris atromaculata) ad una piccola aragosta di cui avevo intravisto le antenne e smadonnando tra me e mè per il gesto istintivo di puntare la fotocamera, subito riportato dolorosamente alla realtà dall'acquario che c'era dentro lo scafandro, ho sentito uno strano rumore, come una specie di musichetta. Istintivamente ho portato lo sguardo al mio computer, ma lì era tutto tranquillo, ho cercato con lo sguardo intorno a me, ma non ero relativamente vicino a nessuno dei miei compagni.


 

L'immersione continua, un orata con la coda smangiata da un morso mi passa poco lontano, Luca segnala nuovamente un avvistamento nel blu, mi avvicino per cercare di capire meglio ed allora li vedo, un grosso banco di Barracuda (Spyraena viridensis), si staglia nuotando placido; non credo cesserò mai di meravigliarmi dinanzi a simili spettacoli, ancora tiro giù qualche accidente per la macchina fotografica inservibile, provo a riprendere con la GoPro pur con i suoi limiti. Ed ancora torna quel suono mi guardo intorno, riguardo il computer, non mi sembra la classica musichetta di allarme di un computer da immersione.


 

L'immersione continua ancora e sulla strada del ritorno alla catena vedo una Musdea (Phycis phycis) in un anfratto e subito dopo alcune Corvine (Sciaena umbra), di nuovo quel rumore, quel suono con una sua armonia... guardo ancora il computer e mi guardo intorno, che sia in narcosi da azoto?

Siamo giunti sotto la barca ormai, ho terminato la sosta di sicurezza e mi dirigo verso la catena quando vedo una scena, che definire curiosa è poco.

Davide ha guidato un altro gruppo, quindi l'ho visto poco in immersione, è lontano da me circa una decina di metri, si sta agitando con intorno qualcosa di grosso e nero.

Mi avvicino per capire, non sono il solo, mi chiedo quale creatura abissale lo stia attaccando, ok prima i suoni e poi questa scena, comincio ad avere qualche dubbio sulle mie percezioni e sanità mentale.


Oh ragazzi! Davide ha trovato un giaccone di lana nero e sta provando ad indossarlo effettuando nel contempo una svestizione in acqua, da provetto sub quale egli è, vi riesce con qualche benevolo aiuto e le le risate che riecheggiano dentro gli erogatori degli astanti.

Ritornati in superficie e saliti sul gommone, sta piovigginando, il moto ondoso è in crescita e partiamo poco dopo. A bordo la soddisfazione è palpabile, è stata sicuramente una bella immersione, Luca, la nostra guida mostra un pezzo di lenza con grossi ami, il resto di un palamito, forse illegale che ha rinvenuto tra le rocce.


 

Davide al timone, dice di aver sentito come una specie di canto sott'acqua e che probabilmente si trattava di qualche mammifero marino, ma nessuno dei nostri sguardi nel blu ci hanno dato una risposta, beh almeno non sono ammattito. Il fatto di non aver visto chi li ha emessi non è poi così strano, visto che in acqua i canti dei mammiferi marini possono viaggiare anche per diversi chilometri.

E' stata sicuramente una bella immersione da ricordare, resa possibile dalle condizioni meteo estremamente favorevoli e non frequenti, per quel particolare sito, il modo migliore di festeggiare il 53esimo compleanno.


 

Qualche dato utile circa il sito di immersione:


Livello di Esperienza: Neofita/Intermedio
Profondità massima: 25 mt. circa
Profondità media: 15 mt.


Link:

https://www.chia.it/diving.htm

https://www.divemania.it/divesite/secca-di-chia


Buone Bolle!!!!




Fabrizio Gandino

"Subacqueodisuperficie"

 


 

lunedì 1 agosto 2022

Meduse, facciamo un po' di chiarezza

 

"Le meduse compaiono soprattutto in estate, dopo la fioritura del fitoplancton a febbraio-marzo e quella dei crostacei a marzo-aprile. In ogni caso, quando ci sono si vedono, quindi evitarle è semplice: basta non fare il bagno! Ricordate che le meduse non attaccano l'uomo, siamo noi che andiamo loro addosso."

 


Tutte le estati ci dobbiamo rassegnare alle medesime scene, ma questa più di altre vuoi per le temperature decisamente sopra la norma e la siccità che sta cambiando letteralmente alcuni ecosistemi relativi all'alveo dei fiumi, sta tenendo banco l'argomento “Meduse”.

I giornali sempre a caccia di titoli sensazionalistici, ci marciano diffondendo panico ed un ingiusta fobia verso una specie animale solo in parte pericolosa, sarebbe come iniziare a sterminare i gatti perchè felini come Leoni e Tigri. Inoltre le meduse sono parte integrante della catena alimentare di molte specie ittiche che consumiamo abitualmente, come i tonni ad esempio. Da qui ad assistere a scene di "impavidi" genitori e relativi bambini per sentirsi degli eroi spiaggiano sotto il sole qualsiasi cosa galleggi, senza nessuna discriminazione conoscitiva è un attimo. Si ricorda inoltre che prelevare meduse dal mare e portarle in spiaggia per farle morire al sole senza nessun motivo è reato di maltrattamento di animali e si rischia una pesante multa o addirittura il carcere

 Il reato si configura come tortura, violazione del'articolo 544 ter del Codice Penale, ed è punito con la reclusione da tre mesi a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro.

Foto di Fabrizio Gandino 

 

Tanto per cominciare facciamo un po' di chiarezza, con “medusa” si definisce un animale planctonico, in prevalenza marino, appartenente al phylum degli Cnidari. Generalmente rappresenta uno stadio del ciclo vitale che si conclude dopo la riproduzione sessuata con la formazione di un polipo; assieme agli Ctenofori formavano una volta quelli che erano i Celenterati. Stiamo parlando infatti di organismi molto antichi, la cui memoria affonda nelle radici del tempo e dell'evoluzione stessa della vita sul nostro pianeta.

Eleganti e raffinate, innocue o terribilmente pericolose, che siano, le meduse sono presenti nei nostri mari da molto tempo. La loro esistenza si stima sia anteriore al Cambriano, esattamente con la forma e le funzionalità di adesso. Ciò significa che questi animali non si sono evoluti in un miliardo e mezzo di anni, e questo perché non né hanno avuto bisogno, erano già evolute quando si sono presentate nelle nostre acque. Le meduse sono presenti nei nostri mari solitamente in foltissimi branchi composti da centinaia se non migliaia di esemplari. Molte specie hanno un ciclo vitale “diverso”, cioè non vengono trasportate dalla corrente ma hanno una forma sessile, e passano parte della loro vita attaccate sul fondo, sotto forma di polipi.

Foto di Salvatore Fabiano 

 

Quest'ultimi vivono attaccati sul fondale, dove possono vivere diverso tempo senza riprodursi, poi grazie alla strobilazione, processo per cui lo stadio larvale della medusa si stacca dall’animale, la medusa passa dallo stato sessile a quello pelagico. La domanda che i biologi marini si stanno ponendo è: come mai nel mondo il numero di meduse aumenta ogni anno? Due parametri vengono valutati nello studio dell’aumento di tali animali: l’innalzamento globale della temperatura delle acque ed il depauperamento delle risorse ittiche, in particolare la pesca intensiva dei predatori naturali delle meduse. Centinaia di specie rappresentano questi animali, da quelle microscopiche a quelle gigantesche, con ombrelli che spesso superano i 3 metri di diametro.



Le meduse compaiono soprattutto in estate, dopo la fioritura del fitoplancton a febbraio-marzo e quella dei crostacei a marzo-aprile. In ogni caso, quando ci sono si vedono, quindi evitarle è semplice: basta non fare il bagno! Ricordate che le meduse non attaccano l'uomo, siamo noi che andiamo loro addosso. Recenti dati del CNR confermano che gli avvistamenti di meduse nel Mediterraneo sono decuplicati negli ultimi 10 anni. È un fenomeno che riguarda solo alcune zone del pianeta, tra cui i nostri mari: “L’analisi di metadati, su scala globale, ha permesso di stabilire che in altre zone del mondo le popolazioni di meduse sono stabili o sono addirittura diminuite. Nel Mediterraneo, invece, alcune specie hanno aumentato la propria densità”, spiega Mar Bosch-Belmar, biologa marina dell’Università del Salento. Ma andiamo a conoscere quelle più comuni, o che potremmo incontrare nel Mediterraneo.



Le specie più importanti di medusa presenti nel Mediterraneo

  1. Pelagia noctiluca

  2. Rhizostoma pulmo

  3. Aurelia aurita

  4. Velella velella

  5. Cothyloriza tubercolata

  6. Phyllorhiza punctata

  7. Chrysaora hysoscella

  8. Cassiopea andromeda

Meno frequenti ma ormai presenti

  1. Carybdea-Marsupialis

  2. Physalia-Physalis


  1. Pelagia noctiluca, chiamata da alcuni anche “medusina viola”, “Medusa luminosa” tra quelle urucanti è in assoluto la più comune nel Mediterraneo. E' una specie della famiglia Pelagiidae. Famosa perché considerata la medusa che si illumina di notte, la Pelagia noctiluca è comune nel Mar Mediterraneo e nell’Oceano Atlantico orientale fino al Mare del Nord, anche perché negli anni è diventata l’incubo dei bagnanti italiani. Viene definita la medusa luminosa notturna (noctiluca) perché la bioluminescenza, di colore verde, di cui è dotata la rende visibile anche di notte. Si nutre di plancton e di piccoli pesci che cattura tramite i tentacoli dotati di urticanti nematocisti.



  1. Rhizostoma pulmo, medusa polmone di mare é una grande medusa di colore bianco riconoscibile da un orlo di colore blu nella parte inferiore dell’ombrello (o cappello). Il polmone di mare può pesare sino a 10 Kg e superare il metro  di diametro. Si tratta di una specie innocua, anche se il contatto con essa puo’ provocare pruriti, dermatiti ed arrossamenti a persone sensibili. Vive spesso in simbiosi con dei piccoli pesci come suri, piccole ricciole o piccole boghe (Boops boops) che si proteggono dai predatori nuotando all’interno dell’ombrello della medusa.  Puo’ essere parassitata dal piccolo creostaceo Hyperia galba. Il nome scientifico del polmone di mare è Rhizostoma pulmo. Le braccia orali del polmone di mare ospitano spesso alghe unicellulari fotosintetiche come le zooxantelle, che danno tonalità gialle, marroni o verdi. Presente praticamente in tutti i mari del pianeta, R. pulmo é una medusa planctonica che si muove lentamente in acque poco profonde. È comune nelle lagune e negli estuari.Il polmone di mare si nutre generalmente di plancton, le piccole prede vengono aspirate attraverso gli ostioli della bocca e quindi digerite all’interno della cavità gastrica. Prede più grandi, come i piccoli pesci, possono essere digerite sulla superficie stessa dei lobi della bocca ricoperti di cnidociti . Personalmente mi capita di vederle spesso con parti mancanti, come vistosi morsi.

  2. Aurelia Aurita, La medusa quadrifoglio è una delle meduse più note e diffuse appartenente al genere Aurelia. È facilmente riconoscibile dalla forma perfettamente sferica del suo ombrello, di un bianco diafano e trasparente, e soprattutto dalla presenza, sulla sommità dello stesso, di quattro strutture circolari, le gonadi, che formano una struttura a forma di quadrifoglio, da cui deriva il nome comune della specie. Possiede inoltre dei corti e sottili tentacoli urticanti, che scendono dal bordo dell'ombrello, dandogli un aspetto frastagliato, e quattro braccia più spesse che dipartono dal centro dell'ombrello, evidenti però solo negli individui più anziani. A. aurita viene predata da numerosi organismi marini di grandi dimensioni; i suoi principali predatori sono alcuni uccelli marini, pesci come il pesce luna (Mola mola)e rettili marini, prima fra tutti la tartaruga liuto (Dermochelys coriacea). Può essere predata anche da altri cnidari: in particolare idromeduse (come Acqueorea victoria)  e scifomeduse (come Phacellophora camtschatica). Anche l'uomo spesso caccia questa medusa: in particolare in Giappone, Cina, Indonesia e Filippine, le meduse di questa specie sono molto ricercate.

  3. Velella velella, (un piccolo idrozoo che spesso si trova spiaggiato dopo le tempeste) soprannominata la “barchetta di San Pietro” a causa di una  cresta di forma triangolare simile ad una vela, che le permette di muoversi sulla superficie dell’acqua tramite la spinta del vento. La Velella è in realtà una colonia formata da un individuo medusoide modificato che fa da vela e capta il vento per spostarsi mentre al di sotto del disco ci sono numerosi individui polipoidi che si occupano dell’alimentazione e della riproduzione.

  4. Cotylorhiza tuberculata, ha un aspetto bizzarro che ricorda quello di un grande uovo fritto o di un disco volante, ma è una splendida medusa. Stiamo parlando della Cotylorhiza tuberculata, meglio nota come medusa Cassiopea e vive nei nostri mari. Negli ultimi anni c’è stato un boom di avvistamenti nel Mediterraneo, ma niente paura. Se vi capita di notarla in acqua, non fatele del male e non catturatela. Nonostante le sue notevoli dimensioni, non è pericolosa visto che il suo potere urticante è davvero minimo. La medusa Cassiopea preferisce nuotare a pochi metri di profondità e non è affatto raro incontrarla sulle nostre coste, in particolare nel mar Adriatico. Spesso sotto il suo ombrello trovano ospitalità piccoli pesci, noti come sugherelli. Svolge un ruolo importante per i nostri mari perché funge da filtro per l’acqua e contribuisce al mantenimento della catena alimentare.

Foto di Filippo Neri 


  1. Phyllorhiza Punctata, chiamata anche colloquialmente medusa dalla bocca a pois, è molto simile alla specie Mastigias Papua, ma ha più macchie bianche sullo schermo. Il colore della tonalità varia tra il brunastro e il bluastro. L’area di distribuzione originale è l’oceano Pacifico e l’oceano Indiano. Da alcuni anni, però, è stato trovato anche come organismo invasivo nel Golfo del Messico ed ora anche in Italia. Specie alloctona originaria dell’Australia, segnalata la prima volta nell’estate del 2009 in Sardegna, nelle acque antistanti l’isola di Tavolara. E’ facilmente riconoscibile, per via delle tante macchie biancastre che ricoprono l’ombrello. Non è urticante.



  1. Chrysaora hysoscella è una medusa piuttosto diffusa nell'Oceano Pacifico ma avvistamenti vengono fatti regolarmente anche nel Mar Adriatico e nel Golfo di Trieste. Questa specie è comunemente conosciuta col nome di medusa bruna o medusa compasso, a causa delle sedici bande marroni a forma di V che ornano tutta la superficie dell'ombrella. Può arrivare sino a quaranta di diametro e i suoi ventiquattro tentacoli possono superare il metro di lunghezza, caratteristiche che, assieme all'inconfondibile colorazione, la rendono facilmente riconoscibile in acqua. Se incontrata, è bene rimanere a debita distanza: il contatto con i tentacoli può infatti provocare dermatiti, benché non sia tra le specie più urticanti in assoluto. La Chrysaora hysoscella è una specie che spesso viene allevata nei grandi acquari; alcuni esemplari sono ad esempio visibili in quello di Genova.

  2. Cassiopea andromeda, specie lessepsiana, è arrivata in Mediterraneo dal Canale di Suez, questa specie sta risalendo lungo le coste turche. All’inizio del 2010 è stata segnalata a Malta, e quindi è arrivata alle porte di casa nostra. Di solito si trova su fondi sabbiosi, ma può essere presente anche su quelli rocciosi. Piccola, massimo 30 cm, sta posata sul fondo marino. L’ombrello è rivolto verso il basso, mentre bocca e tentacoli verso l’alto: per questo Cassiopea viene chiamata in inglese “medusa al contrario”. Sta rivolta verso l’alto perché possiede alghe unicellulari come quelle dei coralli delle formazioni coralline che vivono in simbiosi con la medusa e che quest’ultima deve esporre alla luce che filtra nell’acqua. Per questo a volte ad una prima occhiata viene scambiata per un anemone, ma non lasciatevi ingannare, il muco di cui sono ricoperte è urticante, ciò dipende dal fatto che esso contiene numerose cellule mobili microscopiche (100-500 micron) di forma irregolare (chiamate cassiosomi) rivestite di nematocisti, le classiche cellule urticanti di tutti gli cnidari. Le nematocisti trasformano così i cassiosomi in potenti armi chimiche a base di composti tossici bioattivi capaci di uccidere all’istante eventuali piccoli crostacei planctonici con cui vengono a contatto. Da evitare il contatto.

  3. Carybdea marsupialis conosciuta anche come cubo é una cubomedusa tipica dell’Oceano Atlantico ma é anche presente in Mar Mediterraneo e nell’Oceano Indiano. La sua presenza in Mar Mediterraneo é stata documentata per la prima volta nel 1957. Si tratta di una medusa pelagica, la sola specie di cubomedusa ad oggi presente in Mediterraneo. Sebbene non letale come la sua cugina australiana è meglio evitarla. Una medusa piccola, che non supera i 4 cm di diametro dell’ombrella a forma di un cubo e trasparente. Sono presenti tentacoli lunghi 10 volte il corpo circondati da anelli rossi. A differenza di altre cubomeduse come ad esempio la vespa di mare (Chironex fleckeri)*, C. marsupialis possiede delle tossine meno potenti ma che sono sempre in grado di provocare ustioni nell’uomo. Le cnidocisti presenti nei tentacoli sono in grado di inoculare il veleno rapidamente. In caso di contatto la prima cosa da fare é di eliminare i tentacoli per evitare forti irritazioni e cicatrici. Curiosità, alcuni esemplari sono stati spiaggiati in questo weekend a Marina di Pisa (PI).

Foto di Alice Roventini


  1. Physalia physalis, comunemente nota come caravella portoghese. È lei la protagonista dell’estate 2022 che sta allarmando tanti bagnanti di tutt’Italia. Ma è davvero così pericolosa? Intanto, udite udite, non è una medusa anche se erroneamente chiamata così. Non è un mollusco, non è uno ctenoforo. Si tratta di uno Cnidaria come una medusa, in particolare di un idrozoo sifonoforo. Non è quindi un animale singolo, bensì una colonia di polipi (e non polpi!!) specializzati detto zoidi che hanno diverse funzioni: 1) La pneumatofora, ossia la grossa struttura piena di gas che permette il galleggiamento, 2) I dattilozoidi, lunghi tentacoli usati per catturare le prede e molto urticanti anche per l'essere umano. 3)Il gastrozoide, deputato alla digestione delle prede catturate 4) I gonozoidi, il cui scopo è la riproduzione. I soggetti allergici o con altre patologie devono fare attenzione, perché potrebbe rivelarsi anche fatale.In generale, la puntura è certamente dolorosa, ma non bisogna allarmarsi eccessivamente come si legge in questi giorni sui social. Ricordate che il veleno degli Cnidari è termolabile, quindi diminuisce il suo effetto con la temperatura. Il rimedio terapeutico in caso di ustione è l’utilizzo di acido acetico.Grazie alla sua pneumatofora, questo animale è ben visibile perché galleggia (anche se i tentacoli sono molto lunghi) quindi se si osserva è bene stargli distante e segnalarne la presenza al lido affinché possa prendere le dovute precauzioni per i bagnanti.

Da Fanpage 
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Prevenire


Sul lato sicurezza per i sub la prima difesa è la muta correttamente indossata, che fornisce di suo una buona protezione. Se le incontriamo in superficie prima di immergerci occhio a tenere gli erogatori il più puliti possibile, qualche filamento finito sul morso del boccaglio ha riservato brutte sorprese a ben più di un sub.

Ovviamente se ci siete passati in mezzo occhio a quando togliete la muta, guanti e cappuccio, alle rubinetterie stesse delle bombole, i filamenti urticanti potrebbero essersi fermati lì.

Per chi invece fa snorknell il consiglio invece è di girare sempre (manco a doverlo ripetere) con il pallone segnasub o una plancetta galleggiante. Il motivo è terribilmente pratico, se vi trovate in mezzo ad un banco di meduse o peggio ad una risalita dal fondo, aggrapparvi a quest'ultimo per rimanere a galla e tenere fuori almeno la testa e la parte superiore del corpo, vi permetterà di chiedere aiuto e anche doloranti non andare del tutto nel panico.




Curare


Ma ormai vi hanno beccato e siete doloranti, che fare?

Uscite dall’acqua senza farvi prendere dal panico e se occorre chiedete chiaramente aiuto. L’acqua salata aiuta nella rimozione dei tentacoli della medusa. Ma se ciò non dovesse essere sufficiente, non usate mai oggetti taglienti come lame di coltello o forbici. Il consiglio in questo caso è di ricorrere ad un oggetto rigido, ma non tagliente come la carta di credito, o comunque una tessera plastificata. Potete anche usare le dita, ma risciacquatele subito.

Successivamente bagnate la zona interessata con acqua di mare. Se non avete a disposizione altri rimedi, potete andare in farmacia a richiedere una pomata apposita a base di cloruro d’alluminio. Spesso ho visto a Calafuria, i volontari delle Misericordie, tenere bidoncini di acqua di mare al sole con cui sciacquare gli sfortunati bagnanti, infatti il veleno delle meduse è termolabile. Evitate di usare l'acqua dolce che invece aiuterebbe a favorire la circolazione del veleno.

In alternativa è possibile utilizzare l'aceto bianco per cercare di diminuire il dolore e inibire il veleno (vedi però controindicazioni citate più avanti). Tra i rimedi naturali più adatti c'è poi l'aloe vera, apprezzata largamente per le sue proprietà cicatrizzanti, antibatteriche, rigeneranti e antinfiammatorie e la Calendula. Un altra soluzione a me sconosciuta sino ad ora, è un composto a base di olio essenziale di Tea Tree (olio dell'albero del the) e olio essenziale di lavanda, tenuto in una bottiglietta da portare con sé per usarla al momento del bisogno. Basta un piccolo spazio nella borsa del mare per riporre questo rimedio.

Acqua e bicarbonato. Preparate un composto cremoso mescolando il bicarbonato con un po’ d’acqua. Spalmatelo sulla ferita e lasciate agire per almeno 30 secondi. Il bicarbonato aiuta ad alleviare la sensazione di prurito.

Ottimi pare anche acqua e aceto e (da verificare) acqua leggermente zuccherata.


Luoghi comuni


No creme cortisoniche e creme antistaminiche perchè sono inefficaci contro le bruciature delle meduse perché entrano in azione solo dopo 30 minuti, cioè quando la reazione ha già raggiunto il picco massimo.

Tra i rimedi popolari per il trattamento delle punture di medusa troviamo l’applicazione di ammoniaca, alcol, aceto o urina. Si tratta di rimedi che non trovano l’accordo della comunità scientifica. Se non avete altro a disposizione, molto meglio affidarsi alla semplice acqua di mare. In particolare, l'uso dell'aceto sarebbe efficace solo per le meduse tropicali mentre per quelle mediterranee si rivelerebbe un accorgimento controindicato, in grado persino di acuirne il bruciore.


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Si ringraziano Alice Roventini, Filippo Neri, Marco Moretti e Salvatore Fabiano per le immagini.


Link:


https://www.ilgiornaledeimarinai.it/meduse-mediterraneo/

https://www.nautica.it/biologia-marina/mediterraneo-perche-ci-tante-meduse/

https://www.kodami.it/cose-da-sapere-sulle-meduse/

https://www.greenme.it/animali/medusa-cassiopea-uovo-fritto/

https://www.fanpage.it/innovazione/scienze/le-7-meduse-piu-pericolose-del-mediterraneo-come-riconoscerle/

https://www.greenme.it/salute-e-alimentazione/salute/meduse-punture-rimedi-naturali-consigli/

https://www.quicosenza.it/news/calabria/365716-togliere-le-meduse-dal-mare-e-lasciarle-morire-al-sole-e-reato




Buone Bolle e attenzione!




Fabrizio Gandino

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