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giovedì 14 novembre 2024

Un argomento Delicato




Prima di cominciare ad affrontare questo nuovo argomento, vi avverto che quanto segue è una sorta di tabù per il mondo della subacquea, per molteplici ragioni che andremo via via a discutere, oggi parleremo di uno dei pericoli più insidiosi a cui un subacqueo si può trovare a dover fare fronte e ne parleremo sulla base dell'esperienza personale e senza pretesa alcuna di voler fornire delle soluzioni, ma tutt'alpiù di fornire uno spunto di riflessione e discussione.

Alcuni tra voi ricorderanno l'appuntamento dell'anno scorso portato avanti dal GEAS di Empoli dell'evento con Andrea Bada e le sue imprese subacquee, vi allego il link 


dell'articolo di seguito (http://subacqueodisuperficie.blogspot.com/2023/02/emozioni-profonde-caccia-di-relitti-con.html), in quell'occasione la Dottoressa Pamela Ciuffo che segue il gruppo Techdive in qualità di Psicologa, fece un affermazione piuttosto precisa: il nemico peggiore di un sub, specie in queste imprese, è l'ansia, e di come sia vitale riuscire ad elaborare e allenare non solo il fisico, ma anche mente e stato emotivo, ha affermato che mentre per un immersione ricreativa un attacco di ansia può essere gestito, a 130 metri di profondità non c'è nulla da gestire se non si è fatto un certo lavoro prima, semplicemente “sei morto”.  Non metto in dubbio la veridicità di queste affermazioni, anche perchè fatte da un terapeuta che ha esperienza sul campo, ma sulla questione della gestione anche a livello ricreativo (che per convenzione viene stabilito alla quota batimetrica massima di -40 m), ritengo non sia affatto così scontata.

 


 

Da quel che s , e qui vi invito se siete in grado ad integrare le mie conoscenze usando i commenti, non mi risulta che vi sia una didattica al momento che insegni a gestire un attacco d'ansia, o peggio, di panico in immersione. Anzi per essere più precisi non esiste neppure un segnale concordato per segnalarla, se fossi malizioso, potrei insinuare che persino parlarne sia un tabù.

Ela questione, che pure è riconosciuta come possibilità, viene affrontata solo nel rescue, come se nel percorso precedente a questa tappa non possa avvenire, un po' come se fosse una narcosi d'azoto che non si verifica prima dei 18 metri...niente di più falso.

Perchè ne parlo? Perchè mi è successo di dover affrontare questo tipo di problematica e non una volta sola, su di me e su altri. Ogni tanto qualcuno prova a parlarne, ma c'è una sorta di vergogna/ostracismo/superstizione come se potesse essere un fenomeno contagioso, ma di questo aspetto parleremo dopo.

Quello che posso raccontarvi è la mia personale esperienza, che ora andrò a raccontare. Avvenne durante un immersione invernale, un immersione che avevo già fatto almeno una cinquantina di volte, eravamo in tre, i miei due buddy sono subacquei piuttosto esperti (sebbene questo termine in subacquea può significare molto poco), acqua sui 15 gradi, visibilità a 5 m circa, condizioni piuttosto note a chi si immerge in quel di Livorno.

 

 


Tutto era iniziato bene, avevamo superato uno sperone di roccia, dove avevo segnalato ai miei compagni un aragosta in tana a circa trenta metri, avevamo proseguito entrando nel cono d'ombra creato dalla parete che diminuiva sensibilmente visibilità e luce, le torce avevano una scarsa penetrazione in profondità con i loro fasci, cosa per la quale stavamo ridossati alla parete stessa.

Fu a quel punto che accadde: improvvisamente prima una sgradevole, indefinita sensazione, poi via via i battiti nel petto cominciarono ad accellerare, ed il respiro con essi, nessuna ragione apparente. Mi guardai intorno, cercai con lo sguardo i miei compagni e individuai il più vicino a circa 3 metri sotto di me, controllai manometro e computer. Scesi su di lui cercando di controllarmi, ma arrivato vicino, diedi una bella “Bussata” sulla sua bombola.

 


 

Lui si girò a guardarmi, gli feci il classico segno con la mano di “Qualcosa non va” seguito da niente altro, come potevo spiegare quel peso sul petto che stava facendo galoppare il mio cuore e il respiro come un cavallo in corsa?, A lui bastò guardarmi. Semplicemente mi fece segno di alzarmi su di un po' e diede un occhiata al mio manometro, constatò che avevo aria in abbondanza.

Feci come mi aveva detto, e con entrambe le mani mi afferrai ad una sporgenza sulla parete, fissando lo sguardo su di essa, ricordo che dinanzi a me vi era un piccolo ciuffo di Parazoantus, le fissai arrivando a scomporre mentalmente ogni particolare a livello subatomico, nel contempo mi imposi di respirare con una cadenza ben precisa. Pensandoci a mente fredda la cosa che più mi stupisce oggi è che in quel momento l'erogatore in bocca lo vedevo irrazionalmente come un impedimento a respirare, l'istinto era di strapparmelo di bocca.

Passò qualche minuto, ma a me sembrò eterno, come era arrivata quella sensazione insinuante e sgradevole allo stesso modo scemò via ed io terminai l'immersione con gli altri senza ulteriori conseguenze.

Mi sono spesso chiesto che cosa abbia scatenato quell'attacco di ansia, e posso affermare con certezza che in quel momento percepii quell'oscurità e quell'acqua fredda come una situazione pericolosa, ostile, ma mi ero immerso almeno un centinaio di volte in quelle condizioni e forse anche peggio.

Attraversavo un forte periodo di stress sul lavoro e nella mia vita privata e la subacquea era la mia valvola di sfogo alla quale non ero disposto a rinunciare.

Purtroppo un piccolo problema fuori da''acqua portato sott'acqua può prendere dimensioni inaspettate e forse era proprio quello che avevo fatto io, non lasciando in superficie i miei problemi , me li ero portati con me e mi ero reso vulnerabile. 

 

 


Ho parlato con alcuni di questa mie esperienza oltre che con i presenti di quel giorno, avendo peraltro le reazioni più diverse.

Mentre alcuni (molto pochi) pensavano come me che fosse un argomento da affrontare, vi stupirà (o forse no) sapere che le reazioni della maggioranza furono ben altre.

Un istruttore mi disse che non era un argomento di cui parlare, che avrei fatto meglio a stare zitto e vendere tutto, perchè “se no con cavolo che un genitore sapendo di una cosa così gli avrebbe mai affidato un figlio per il corso Open Water”. Qualcun altro mi disse invece che non era opportuno parlarne, ma che il fatto di aver affrontato e superato questa situazione era come un rito di passaggio che avrebbe fatto di me un sub consapevole. Ora mi sia permessa una piccola osservazione, una crisi di ansia o panico sott'acqua può avere esiti non proprio transitori, e smettere l'attività di immersione potrebbe essere solo il più risibile dei problemi, non devo certo spiegare cosa può comportare una risalita senza controllo da 30 m in preda al panico, ma anche una di soli 5m senza rilasciare correttamente l'aria. Certo non è pensabile affrontare certi problemi se non con un supporto specializzato, ma insegnare come sopravvivere per affrontarli non mi sembra una così cattiva idea.

Tutto qui? No, il problema si ripresentò circa sei mesi dopo e li proprio abortii l'immersione, mi accorsi che qualcosa non andava, non me la sentii e non volli rovinare la festa a tutti. Perchè ne parlo oggi? Perchè nel frattempo ne ho parlato con altri amici sub ed ho scoperto di non essere il solo, ho assistito io stesso ad almeno un paio di episodi successi ad altri e ho letto il post di una giovane sub su Facebook, che parlava di un esperienza simile alla mia.

Capisco che ci possa essere una certa vergogna o superstizione nel parlare di questi episodi, ma è importante condividere le esperienze per aiutare gli altri a sentirsi meno soli e più preparati. Forse, creando uno spazio aperto e sicuro per discutere di questi temi, si può ridurre lo stigma associato.

 

 

Buone Bolle E buona discussione

 

Fabrizio Gandino

Subacqueodisuperficie

 


 

lunedì 4 novembre 2024

Rieccoci qui...dove eravamo rimasti?

 

Rieccoci qui


Son passati mesi dall'ultimo post fatto qui nel blog, tante cose sono successe, situazioni cambiate, la vita è un fiume che a volte scorre tra i sassi ed altre invece tutto copre e travolge, il tempo da dedicare si era rarefatto e detto anche onestamente vi era poco da raccontare che già non ribadisse quanto già scritto. L'ultima edizione dell'EUDI SHOW a Bologna, non ha riscosso assai probabilmente il successo che era nelle intenzioni degli organizzatori, diciamoci la verità, se di sabato giri tra gli stand senza spintonare o perderti in un ingorgo a piedi vuol dire che di gente ve n'è venuta poca. La prova del nove e stata lo spostamento della data ad Ottobre dell'anno successivo (2024, che avrebbe coinciso con il salone della Nautica, accumunando i più volti della passione per il mare) cancellando la data con un preavviso piuttosto discutibile e spostandola a Febbraio 2025. Anche la giustificazione di riavvicinare la data a quella usuale mi sembra più una foglia di fico.



La subacquea italiana è in crisi, Ma va! Davvero? Non se ne era accorto nessuno! Ci guardiamo tra noi nei Diving e le facce sono quasi sempre le stesse, certo non sono più i gloriosi anni 90-80', ma il ricambio generazionale langue...diamo la colpa ai tassi di de-natalità? Nel Frattempo Acqualung  chiude gli storici impianti di produzione in Liguria e lascia tutti a casa per trasferire la produzione altrove.



L'epidemia e le restrizioni date dall'Emergenza Covid-19 ha dato sicuramente una bella mazzata ma anche quello che è successo dopo non ha scherzato.

Faccio ampio riferimento ad un aumento smodato dei prezzi di prestazioni e materiali riguardanti non solo la subacquea, che ha fatto sì che raddoppiassero in alcuni casi quasi a voler recuperare i mesi precedenti di mancati introiti, subito dopo la crisi Ucraina e il caro energia, li ha fatti continuare a salire ulteriormente.


La spia della situazione, personalmente l'ho osservata sulle piattaforme di vendita seconda mano on-line dove un sacco di gente vuoi per fine entusiasmo, vuoi per altre priorità, vuoi per aumento di costi ha cominciato a disfarsi delle proprie attrezzature, parallelamente però anche i prezzi dell'usato, non sono scesi rispetto alla mole di quanto immesso sul mercato del riuso.

Altra cosa che ho notato è l'aumento dei sub tecnici nei siti di immersione da terra, che non prevedano ulteriori pagamenti a Diving o Barcaioli, sinceramente non ricordavo di averne visti così tanti in passato. 


Parate di Rover, Stage decompressivi, Bibo e Rebreather impensabili sino a qualche anno fa e si che ossigeno ed elio non li regalano di sicuro oggi

E la subacquea ricreativa? Quella fatta di mute umide, bombola e gav senza sacco posteriore e piombi in cintura? Che fine a fatto?. Anche qui qualche sparuta faccia nuova, ma molti di più di “Noi” con le nostre attrezzature consunte e l'aria stanca ma soddisfatta di quella strana eccitazione che non aspetta altro che la superficie per ridare voce alla parola, alla condivisione dell'esperienza.


In ferie, in Sardegna, ho potuto osservare in alcuni siti che la gente certo non mancava, ma, eh si c'è un “ma”, erano per lo più stranieri.


Buone bolle a tutti

 

Subacqueodisuperficie

Fabrizio Gandino

 


 







Link:

https://apneaworld.com/eudi-show-slitta-da-dicembre-2024-a-febbraio-2025/

 https://www.genovatoday.it/economia/technisub-chiude.html

lunedì 1 agosto 2022

Meduse, facciamo un po' di chiarezza

 

"Le meduse compaiono soprattutto in estate, dopo la fioritura del fitoplancton a febbraio-marzo e quella dei crostacei a marzo-aprile. In ogni caso, quando ci sono si vedono, quindi evitarle è semplice: basta non fare il bagno! Ricordate che le meduse non attaccano l'uomo, siamo noi che andiamo loro addosso."

 


Tutte le estati ci dobbiamo rassegnare alle medesime scene, ma questa più di altre vuoi per le temperature decisamente sopra la norma e la siccità che sta cambiando letteralmente alcuni ecosistemi relativi all'alveo dei fiumi, sta tenendo banco l'argomento “Meduse”.

I giornali sempre a caccia di titoli sensazionalistici, ci marciano diffondendo panico ed un ingiusta fobia verso una specie animale solo in parte pericolosa, sarebbe come iniziare a sterminare i gatti perchè felini come Leoni e Tigri. Inoltre le meduse sono parte integrante della catena alimentare di molte specie ittiche che consumiamo abitualmente, come i tonni ad esempio. Da qui ad assistere a scene di "impavidi" genitori e relativi bambini per sentirsi degli eroi spiaggiano sotto il sole qualsiasi cosa galleggi, senza nessuna discriminazione conoscitiva è un attimo. Si ricorda inoltre che prelevare meduse dal mare e portarle in spiaggia per farle morire al sole senza nessun motivo è reato di maltrattamento di animali e si rischia una pesante multa o addirittura il carcere

 Il reato si configura come tortura, violazione del'articolo 544 ter del Codice Penale, ed è punito con la reclusione da tre mesi a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro.

Foto di Fabrizio Gandino 

 

Tanto per cominciare facciamo un po' di chiarezza, con “medusa” si definisce un animale planctonico, in prevalenza marino, appartenente al phylum degli Cnidari. Generalmente rappresenta uno stadio del ciclo vitale che si conclude dopo la riproduzione sessuata con la formazione di un polipo; assieme agli Ctenofori formavano una volta quelli che erano i Celenterati. Stiamo parlando infatti di organismi molto antichi, la cui memoria affonda nelle radici del tempo e dell'evoluzione stessa della vita sul nostro pianeta.

Eleganti e raffinate, innocue o terribilmente pericolose, che siano, le meduse sono presenti nei nostri mari da molto tempo. La loro esistenza si stima sia anteriore al Cambriano, esattamente con la forma e le funzionalità di adesso. Ciò significa che questi animali non si sono evoluti in un miliardo e mezzo di anni, e questo perché non né hanno avuto bisogno, erano già evolute quando si sono presentate nelle nostre acque. Le meduse sono presenti nei nostri mari solitamente in foltissimi branchi composti da centinaia se non migliaia di esemplari. Molte specie hanno un ciclo vitale “diverso”, cioè non vengono trasportate dalla corrente ma hanno una forma sessile, e passano parte della loro vita attaccate sul fondo, sotto forma di polipi.

Foto di Salvatore Fabiano 

 

Quest'ultimi vivono attaccati sul fondale, dove possono vivere diverso tempo senza riprodursi, poi grazie alla strobilazione, processo per cui lo stadio larvale della medusa si stacca dall’animale, la medusa passa dallo stato sessile a quello pelagico. La domanda che i biologi marini si stanno ponendo è: come mai nel mondo il numero di meduse aumenta ogni anno? Due parametri vengono valutati nello studio dell’aumento di tali animali: l’innalzamento globale della temperatura delle acque ed il depauperamento delle risorse ittiche, in particolare la pesca intensiva dei predatori naturali delle meduse. Centinaia di specie rappresentano questi animali, da quelle microscopiche a quelle gigantesche, con ombrelli che spesso superano i 3 metri di diametro.



Le meduse compaiono soprattutto in estate, dopo la fioritura del fitoplancton a febbraio-marzo e quella dei crostacei a marzo-aprile. In ogni caso, quando ci sono si vedono, quindi evitarle è semplice: basta non fare il bagno! Ricordate che le meduse non attaccano l'uomo, siamo noi che andiamo loro addosso. Recenti dati del CNR confermano che gli avvistamenti di meduse nel Mediterraneo sono decuplicati negli ultimi 10 anni. È un fenomeno che riguarda solo alcune zone del pianeta, tra cui i nostri mari: “L’analisi di metadati, su scala globale, ha permesso di stabilire che in altre zone del mondo le popolazioni di meduse sono stabili o sono addirittura diminuite. Nel Mediterraneo, invece, alcune specie hanno aumentato la propria densità”, spiega Mar Bosch-Belmar, biologa marina dell’Università del Salento. Ma andiamo a conoscere quelle più comuni, o che potremmo incontrare nel Mediterraneo.



Le specie più importanti di medusa presenti nel Mediterraneo

  1. Pelagia noctiluca

  2. Rhizostoma pulmo

  3. Aurelia aurita

  4. Velella velella

  5. Cothyloriza tubercolata

  6. Phyllorhiza punctata

  7. Chrysaora hysoscella

  8. Cassiopea andromeda

Meno frequenti ma ormai presenti

  1. Carybdea-Marsupialis

  2. Physalia-Physalis


  1. Pelagia noctiluca, chiamata da alcuni anche “medusina viola”, “Medusa luminosa” tra quelle urucanti è in assoluto la più comune nel Mediterraneo. E' una specie della famiglia Pelagiidae. Famosa perché considerata la medusa che si illumina di notte, la Pelagia noctiluca è comune nel Mar Mediterraneo e nell’Oceano Atlantico orientale fino al Mare del Nord, anche perché negli anni è diventata l’incubo dei bagnanti italiani. Viene definita la medusa luminosa notturna (noctiluca) perché la bioluminescenza, di colore verde, di cui è dotata la rende visibile anche di notte. Si nutre di plancton e di piccoli pesci che cattura tramite i tentacoli dotati di urticanti nematocisti.



  1. Rhizostoma pulmo, medusa polmone di mare é una grande medusa di colore bianco riconoscibile da un orlo di colore blu nella parte inferiore dell’ombrello (o cappello). Il polmone di mare può pesare sino a 10 Kg e superare il metro  di diametro. Si tratta di una specie innocua, anche se il contatto con essa puo’ provocare pruriti, dermatiti ed arrossamenti a persone sensibili. Vive spesso in simbiosi con dei piccoli pesci come suri, piccole ricciole o piccole boghe (Boops boops) che si proteggono dai predatori nuotando all’interno dell’ombrello della medusa.  Puo’ essere parassitata dal piccolo creostaceo Hyperia galba. Il nome scientifico del polmone di mare è Rhizostoma pulmo. Le braccia orali del polmone di mare ospitano spesso alghe unicellulari fotosintetiche come le zooxantelle, che danno tonalità gialle, marroni o verdi. Presente praticamente in tutti i mari del pianeta, R. pulmo é una medusa planctonica che si muove lentamente in acque poco profonde. È comune nelle lagune e negli estuari.Il polmone di mare si nutre generalmente di plancton, le piccole prede vengono aspirate attraverso gli ostioli della bocca e quindi digerite all’interno della cavità gastrica. Prede più grandi, come i piccoli pesci, possono essere digerite sulla superficie stessa dei lobi della bocca ricoperti di cnidociti . Personalmente mi capita di vederle spesso con parti mancanti, come vistosi morsi.

  2. Aurelia Aurita, La medusa quadrifoglio è una delle meduse più note e diffuse appartenente al genere Aurelia. È facilmente riconoscibile dalla forma perfettamente sferica del suo ombrello, di un bianco diafano e trasparente, e soprattutto dalla presenza, sulla sommità dello stesso, di quattro strutture circolari, le gonadi, che formano una struttura a forma di quadrifoglio, da cui deriva il nome comune della specie. Possiede inoltre dei corti e sottili tentacoli urticanti, che scendono dal bordo dell'ombrello, dandogli un aspetto frastagliato, e quattro braccia più spesse che dipartono dal centro dell'ombrello, evidenti però solo negli individui più anziani. A. aurita viene predata da numerosi organismi marini di grandi dimensioni; i suoi principali predatori sono alcuni uccelli marini, pesci come il pesce luna (Mola mola)e rettili marini, prima fra tutti la tartaruga liuto (Dermochelys coriacea). Può essere predata anche da altri cnidari: in particolare idromeduse (come Acqueorea victoria)  e scifomeduse (come Phacellophora camtschatica). Anche l'uomo spesso caccia questa medusa: in particolare in Giappone, Cina, Indonesia e Filippine, le meduse di questa specie sono molto ricercate.

  3. Velella velella, (un piccolo idrozoo che spesso si trova spiaggiato dopo le tempeste) soprannominata la “barchetta di San Pietro” a causa di una  cresta di forma triangolare simile ad una vela, che le permette di muoversi sulla superficie dell’acqua tramite la spinta del vento. La Velella è in realtà una colonia formata da un individuo medusoide modificato che fa da vela e capta il vento per spostarsi mentre al di sotto del disco ci sono numerosi individui polipoidi che si occupano dell’alimentazione e della riproduzione.

  4. Cotylorhiza tuberculata, ha un aspetto bizzarro che ricorda quello di un grande uovo fritto o di un disco volante, ma è una splendida medusa. Stiamo parlando della Cotylorhiza tuberculata, meglio nota come medusa Cassiopea e vive nei nostri mari. Negli ultimi anni c’è stato un boom di avvistamenti nel Mediterraneo, ma niente paura. Se vi capita di notarla in acqua, non fatele del male e non catturatela. Nonostante le sue notevoli dimensioni, non è pericolosa visto che il suo potere urticante è davvero minimo. La medusa Cassiopea preferisce nuotare a pochi metri di profondità e non è affatto raro incontrarla sulle nostre coste, in particolare nel mar Adriatico. Spesso sotto il suo ombrello trovano ospitalità piccoli pesci, noti come sugherelli. Svolge un ruolo importante per i nostri mari perché funge da filtro per l’acqua e contribuisce al mantenimento della catena alimentare.

Foto di Filippo Neri 


  1. Phyllorhiza Punctata, chiamata anche colloquialmente medusa dalla bocca a pois, è molto simile alla specie Mastigias Papua, ma ha più macchie bianche sullo schermo. Il colore della tonalità varia tra il brunastro e il bluastro. L’area di distribuzione originale è l’oceano Pacifico e l’oceano Indiano. Da alcuni anni, però, è stato trovato anche come organismo invasivo nel Golfo del Messico ed ora anche in Italia. Specie alloctona originaria dell’Australia, segnalata la prima volta nell’estate del 2009 in Sardegna, nelle acque antistanti l’isola di Tavolara. E’ facilmente riconoscibile, per via delle tante macchie biancastre che ricoprono l’ombrello. Non è urticante.



  1. Chrysaora hysoscella è una medusa piuttosto diffusa nell'Oceano Pacifico ma avvistamenti vengono fatti regolarmente anche nel Mar Adriatico e nel Golfo di Trieste. Questa specie è comunemente conosciuta col nome di medusa bruna o medusa compasso, a causa delle sedici bande marroni a forma di V che ornano tutta la superficie dell'ombrella. Può arrivare sino a quaranta di diametro e i suoi ventiquattro tentacoli possono superare il metro di lunghezza, caratteristiche che, assieme all'inconfondibile colorazione, la rendono facilmente riconoscibile in acqua. Se incontrata, è bene rimanere a debita distanza: il contatto con i tentacoli può infatti provocare dermatiti, benché non sia tra le specie più urticanti in assoluto. La Chrysaora hysoscella è una specie che spesso viene allevata nei grandi acquari; alcuni esemplari sono ad esempio visibili in quello di Genova.

  2. Cassiopea andromeda, specie lessepsiana, è arrivata in Mediterraneo dal Canale di Suez, questa specie sta risalendo lungo le coste turche. All’inizio del 2010 è stata segnalata a Malta, e quindi è arrivata alle porte di casa nostra. Di solito si trova su fondi sabbiosi, ma può essere presente anche su quelli rocciosi. Piccola, massimo 30 cm, sta posata sul fondo marino. L’ombrello è rivolto verso il basso, mentre bocca e tentacoli verso l’alto: per questo Cassiopea viene chiamata in inglese “medusa al contrario”. Sta rivolta verso l’alto perché possiede alghe unicellulari come quelle dei coralli delle formazioni coralline che vivono in simbiosi con la medusa e che quest’ultima deve esporre alla luce che filtra nell’acqua. Per questo a volte ad una prima occhiata viene scambiata per un anemone, ma non lasciatevi ingannare, il muco di cui sono ricoperte è urticante, ciò dipende dal fatto che esso contiene numerose cellule mobili microscopiche (100-500 micron) di forma irregolare (chiamate cassiosomi) rivestite di nematocisti, le classiche cellule urticanti di tutti gli cnidari. Le nematocisti trasformano così i cassiosomi in potenti armi chimiche a base di composti tossici bioattivi capaci di uccidere all’istante eventuali piccoli crostacei planctonici con cui vengono a contatto. Da evitare il contatto.

  3. Carybdea marsupialis conosciuta anche come cubo é una cubomedusa tipica dell’Oceano Atlantico ma é anche presente in Mar Mediterraneo e nell’Oceano Indiano. La sua presenza in Mar Mediterraneo é stata documentata per la prima volta nel 1957. Si tratta di una medusa pelagica, la sola specie di cubomedusa ad oggi presente in Mediterraneo. Sebbene non letale come la sua cugina australiana è meglio evitarla. Una medusa piccola, che non supera i 4 cm di diametro dell’ombrella a forma di un cubo e trasparente. Sono presenti tentacoli lunghi 10 volte il corpo circondati da anelli rossi. A differenza di altre cubomeduse come ad esempio la vespa di mare (Chironex fleckeri)*, C. marsupialis possiede delle tossine meno potenti ma che sono sempre in grado di provocare ustioni nell’uomo. Le cnidocisti presenti nei tentacoli sono in grado di inoculare il veleno rapidamente. In caso di contatto la prima cosa da fare é di eliminare i tentacoli per evitare forti irritazioni e cicatrici. Curiosità, alcuni esemplari sono stati spiaggiati in questo weekend a Marina di Pisa (PI).

Foto di Alice Roventini


  1. Physalia physalis, comunemente nota come caravella portoghese. È lei la protagonista dell’estate 2022 che sta allarmando tanti bagnanti di tutt’Italia. Ma è davvero così pericolosa? Intanto, udite udite, non è una medusa anche se erroneamente chiamata così. Non è un mollusco, non è uno ctenoforo. Si tratta di uno Cnidaria come una medusa, in particolare di un idrozoo sifonoforo. Non è quindi un animale singolo, bensì una colonia di polipi (e non polpi!!) specializzati detto zoidi che hanno diverse funzioni: 1) La pneumatofora, ossia la grossa struttura piena di gas che permette il galleggiamento, 2) I dattilozoidi, lunghi tentacoli usati per catturare le prede e molto urticanti anche per l'essere umano. 3)Il gastrozoide, deputato alla digestione delle prede catturate 4) I gonozoidi, il cui scopo è la riproduzione. I soggetti allergici o con altre patologie devono fare attenzione, perché potrebbe rivelarsi anche fatale.In generale, la puntura è certamente dolorosa, ma non bisogna allarmarsi eccessivamente come si legge in questi giorni sui social. Ricordate che il veleno degli Cnidari è termolabile, quindi diminuisce il suo effetto con la temperatura. Il rimedio terapeutico in caso di ustione è l’utilizzo di acido acetico.Grazie alla sua pneumatofora, questo animale è ben visibile perché galleggia (anche se i tentacoli sono molto lunghi) quindi se si osserva è bene stargli distante e segnalarne la presenza al lido affinché possa prendere le dovute precauzioni per i bagnanti.

Da Fanpage 
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Prevenire


Sul lato sicurezza per i sub la prima difesa è la muta correttamente indossata, che fornisce di suo una buona protezione. Se le incontriamo in superficie prima di immergerci occhio a tenere gli erogatori il più puliti possibile, qualche filamento finito sul morso del boccaglio ha riservato brutte sorprese a ben più di un sub.

Ovviamente se ci siete passati in mezzo occhio a quando togliete la muta, guanti e cappuccio, alle rubinetterie stesse delle bombole, i filamenti urticanti potrebbero essersi fermati lì.

Per chi invece fa snorknell il consiglio invece è di girare sempre (manco a doverlo ripetere) con il pallone segnasub o una plancetta galleggiante. Il motivo è terribilmente pratico, se vi trovate in mezzo ad un banco di meduse o peggio ad una risalita dal fondo, aggrapparvi a quest'ultimo per rimanere a galla e tenere fuori almeno la testa e la parte superiore del corpo, vi permetterà di chiedere aiuto e anche doloranti non andare del tutto nel panico.




Curare


Ma ormai vi hanno beccato e siete doloranti, che fare?

Uscite dall’acqua senza farvi prendere dal panico e se occorre chiedete chiaramente aiuto. L’acqua salata aiuta nella rimozione dei tentacoli della medusa. Ma se ciò non dovesse essere sufficiente, non usate mai oggetti taglienti come lame di coltello o forbici. Il consiglio in questo caso è di ricorrere ad un oggetto rigido, ma non tagliente come la carta di credito, o comunque una tessera plastificata. Potete anche usare le dita, ma risciacquatele subito.

Successivamente bagnate la zona interessata con acqua di mare. Se non avete a disposizione altri rimedi, potete andare in farmacia a richiedere una pomata apposita a base di cloruro d’alluminio. Spesso ho visto a Calafuria, i volontari delle Misericordie, tenere bidoncini di acqua di mare al sole con cui sciacquare gli sfortunati bagnanti, infatti il veleno delle meduse è termolabile. Evitate di usare l'acqua dolce che invece aiuterebbe a favorire la circolazione del veleno.

In alternativa è possibile utilizzare l'aceto bianco per cercare di diminuire il dolore e inibire il veleno (vedi però controindicazioni citate più avanti). Tra i rimedi naturali più adatti c'è poi l'aloe vera, apprezzata largamente per le sue proprietà cicatrizzanti, antibatteriche, rigeneranti e antinfiammatorie e la Calendula. Un altra soluzione a me sconosciuta sino ad ora, è un composto a base di olio essenziale di Tea Tree (olio dell'albero del the) e olio essenziale di lavanda, tenuto in una bottiglietta da portare con sé per usarla al momento del bisogno. Basta un piccolo spazio nella borsa del mare per riporre questo rimedio.

Acqua e bicarbonato. Preparate un composto cremoso mescolando il bicarbonato con un po’ d’acqua. Spalmatelo sulla ferita e lasciate agire per almeno 30 secondi. Il bicarbonato aiuta ad alleviare la sensazione di prurito.

Ottimi pare anche acqua e aceto e (da verificare) acqua leggermente zuccherata.


Luoghi comuni


No creme cortisoniche e creme antistaminiche perchè sono inefficaci contro le bruciature delle meduse perché entrano in azione solo dopo 30 minuti, cioè quando la reazione ha già raggiunto il picco massimo.

Tra i rimedi popolari per il trattamento delle punture di medusa troviamo l’applicazione di ammoniaca, alcol, aceto o urina. Si tratta di rimedi che non trovano l’accordo della comunità scientifica. Se non avete altro a disposizione, molto meglio affidarsi alla semplice acqua di mare. In particolare, l'uso dell'aceto sarebbe efficace solo per le meduse tropicali mentre per quelle mediterranee si rivelerebbe un accorgimento controindicato, in grado persino di acuirne il bruciore.


Clicka per allargare


Si ringraziano Alice Roventini, Filippo Neri, Marco Moretti e Salvatore Fabiano per le immagini.


Link:


https://www.ilgiornaledeimarinai.it/meduse-mediterraneo/

https://www.nautica.it/biologia-marina/mediterraneo-perche-ci-tante-meduse/

https://www.kodami.it/cose-da-sapere-sulle-meduse/

https://www.greenme.it/animali/medusa-cassiopea-uovo-fritto/

https://www.fanpage.it/innovazione/scienze/le-7-meduse-piu-pericolose-del-mediterraneo-come-riconoscerle/

https://www.greenme.it/salute-e-alimentazione/salute/meduse-punture-rimedi-naturali-consigli/

https://www.quicosenza.it/news/calabria/365716-togliere-le-meduse-dal-mare-e-lasciarle-morire-al-sole-e-reato




Buone Bolle e attenzione!




Fabrizio Gandino

Subacqueodisuperficie”


 

domenica 4 aprile 2021

Tre Numero Perfetto....


Immagine della diretta di Venerdi 19 marzo 2021


Prima di approfondire il titolo di questo Post, preciso che parliamo di subacquea ricreativa, d'altro canto queste sono “Cronache di Subacquei di Superficie” e quindi di questo si parla.

L'evento sul Web annunciato nel pezzo precedente ha avuto luogo regolarmente e ha avuto un buon successo, merito indiscusso di un un emozionatissimo Marco Moretti e di Riccardo Tognini che ha organizzato la diretta.


 

Si è parlato di subacquea, di fotografia subacquea, con qualche divagazione sulla videoripresa facendo alcuni distinguo e confronti (posti da Salvatore Fabiano), molte precisazioni grazie all'intervento di Stefano Gradi, fotografo subacqueo che non ha certo bisogno di ulteriori presentazioni.

Tra i vari punti toccati anche quello della sicurezza, non nego di essere stato io a lanciare la provocazione e mi ha fatto piacere comunque vedere che è stata raccolta con onestà dai presenti.

Non siamo pesci e non siamo nati con le branchie, ci muoviamo in un ambiente meraviglioso facendo esperienze straordinarie, ma potenzialmente ostile.

Con questo non voglio demonizzare la subacquea ricreativa, tutt'altro, personalmente a pedalare (ma anche solo correre) in una statale trafficata di mezzi pesanti e auto che sfrecciano rischio a parer mio molto di più, ed allora dove voglio andare a parare?
 



Facciamo un passo indietro: siete un sub provetto (o ritenete di esserlo), avete fatto tutti i sacrosanti corsi, sono anni che vi immergete, avete un attrezzatura subacquea collaudata e conoscete la vostra attrezzatura fotografica che potreste adoperarla quasi ad occhi chiusi.

Il vostro buddy vi segue come un ombra, è una sorta di monaco buddista sott'acqua dal momento che vi segue senza perdere la pazienza, nelle vostre interminabili soste su ogni soggetto che attira la vostra attenzione e vena artistica.

L'immersione va da Dio, è una bella giornata, il mare è calmo, la visibilità che sembra di guardare attraverso una bottiglia di acqua Levissima, l'acqua non è ne troppo calda ne troppo fredda e le creature marina di ogni famiglia, sottordine e specie sono tutte preda da una vena di esibizionismo e fanno la coda per farsi immortalare.


 

Voi siete tranquilli e comunque il vostro fido buddy vi tiene d'occhio, e tiene d'occhio il manometro ed il computer (badando che non si carichi troppa deco) mentre voi assorti da tanto ben di Poseidone, macinate scatti su scatti, giocate sui tempi di esposizione, posizionate i flash ecc.

Una situazione idilliaca vero? State una serie di scatti ad una aragosta in tana, che agita le sue antenne che sembra cercare il segnale di Mediaset, quando vi prende una spiacevole sensazione. vi girate, non vedete il vostro buddy, allora cercate di ricordare in che posizione era l'ultima volta che lo avete visto, vi guardate intorno e non lo vedete, oppure vi girate e lo trovate, è in difficoltà.

Che fare? Manco a dirlo! Bisogna aiutarlo! E' la base del “sistema di coppia”...ma...si c'è un “Ma”: avete in mano qualche migliaio di euro di attrezzatura fotografica, piuttosto ingombrante, dovete avere le mani libere per aiutarlo...come fate? Esitate, è umano, negarlo sarebbe da ipocriti.

Ok Fabrizio hai detto la tua, ma che si fa non si scattano più foto in acqua? La mia opinione è che se si è in un range molto basso 5-6 metri si può anche andare in due (Buddy più fotografo o cineoperatore), ed anche così a parer mio siamo al limite, oltre no.

Ed allora!?


 

Tre numero perfetto” cantava Marina Massironi nello spettacolo “Tel chi el telun” di Aldo, Giovanni e Giacomo, quindi un operatore foto/video e due buddy oppure operatore + modella/o + buddy.

Possiamo raccontarcela finchè ci pare, ma il “sistema di coppia” sulla quale si basa la subacquea ricreativa fa affidamento sulla mutua vigilanza/assistenza reciproca, se la si vuole praticare in sicurezza.

Meditate gente...meditate!


Buone Bolle! E Buoni scatti!




Fabrizio Gandino


Subacqueodisuperficie”

 


 

 


 

mercoledì 10 marzo 2021

La Maledizione della "Rete Fantasma"

Era l’Agosto del 1984, quando insieme ad altri milioni di telespettatori, seguii in diretta internazionale le scene dell’apertura post-recupero di una delle casseforti dell’Andrea Doria ad opera di Peter Gimbel. La settimana fu pregna di repliche dell’avvenimento e dei video dei sommozzatori che effettuarono quest’impresa usando apparecchiature avveniristiche per allora ed un nutrito impiego di miscele Trimix. Una delle cose che colpì la mia fantasia di ragazzino, fu la presenza di enormi pezzi di rete incastrati sul relitto che giace su un fianco, pezzi di rete che continuavano a intrappolare dei pesci, rimaste li probabilmente come incidente di chi non aveva valutato correttamente la posizione del relitto. Quello è il mio primo ricordo di “Reti Fantasma” allora non le chiamavano ancora così, e a ben ripensarci da bambino e anche in tempi più recenti, mi capitava di fare dei giretti a piedi lungo il litorale di S.Antioco in località “Sa barra” di trovarne a riva complete di galleggianti e piombi e di ritrovarle, anno dopo anno sempre dove le avevo intraviste la prima volta. Le reti Fantasma però sono molto di più di un semplice rifiuto abbandonato, brutto da vedere e non biodegradabile, ma un problema assai serio, con cui ormai, ogni Nazione che si affacci sul mare deve farci i conti. Si calcola che ogni anno vengono disperse in mare almeno 640mila tonnellate di reti e altri attrezzi da pesca che, se non recuperati, continuano a “pescare” per moltissimi anni, ogni giorno , tutti i giorni dall’alba al tramonto. Si Calcola che da Luglio 2019 a Settembre 2020 siano state recuperate dai fondali italiani con meno di sei tonnellate di reti fantasma (L’equivalente di 200.000 bottiglie di plastica), avviate poi successivamente alla distruzione. C’é pure chi ritiene che questa sia la punta dell’Iceberg e che in realtà ci sia ancora moltissimo da fare dal momento che le stime ci dicono che le attrezzature da pesca disperse nei mari del pianeta, di cui le reti costituiscono la massa critica siano di 640 Tonnellate all’anno nel solo Mediterraneo, che si vanno a cumulare a quelle delle annate precedenti. L’Unione Europea stima che il 20% delle attrezzature da pesca usate in Europa vengano disperse in mare: oltre 11mila tonnellate ogni anno. Nel solo golfo di Venezia la stima è di 60 mila reti finite sui fondali.
Parliamo di numeri, alcuni li abbiamo già visti prima: Più di 800 le specie minacciate, compresi gli organismi bentonici (coralligeno) 136.000 foche, leoni marini e grandi balene vengono uccise ogni anno dalle reti fantasma 870 reti sono state recuperate solo nello stato di Washington con oltre 32.000 animali marini intrappolati all’interno 11 grandi balene impigliate in reti fantasma ogni anno solo lungo la costa occidentale degli Stati Uniti 600 anni, il tempo che serve ad una rete di nylon per decomporsi (e trasformarsi haimè in microplastiche) 95 organizzazioni in sei continenti tra aziende, compagnie, associazioni e 14 governi anche europei come Regno Unito, Belgio, Paesi Bassi e Svezia (non ancora l’Italia!) sotto l’egida della “World Animal Protection” 20% di tutti i rifiuti marini, secondo quanto stimato prudentemente, tuttavia, studi recenti hanno suggerito che potrebbero rappresentare dal 46% al 70% di tutta la macro plastica nei nostri oceani in base al peso 27% dei rifiuti che deturpano le spiagge siano riconducibili ad attrezzatura da pesca dispersi, questo nella sola Unione Europea 8 milioni di tonnellate la plastica abbandonata nei mari di tutto il mondo di cui le attrezzature da pesca ne sono parte rilevante
Gli stessi pescatori ormai sono parte in causa e non solo perché responsabili, ma perché i loro stessi guadagni e la pescosità dei mari è in drastica diminuzione, non di rado infatti sono proprio loro a fornire indicazioni alla Guardia costiera circa questo triste fenomeno. Sono loro stessi a riconoscere il bisogno di un cambio di rotta, Antonio, pescatore di Castro, piccolo villaggio di pescatori in provincia di Lecce lo sostiene, "Perché - dice - è materiale plastico o sintetico, ed è causa di inquinamento sui fondali marini. E questo è un danno anche per noi pescatori. Per noi pescatori e per tutti, perché andiamo a mangiare il pesce inquinato che ha mangiato plastica, una parte di rete”. Eppure qualcosa di muove, in tutto il litorale italiano gruppi di volontari e piccoli progetti hanno preso piede al fine di limitare i danni. E’ il caso di un iniziativa che sta avendo luogo in Puglia e che vede coinvolte anche le istituzioni di Albania e Montenegro, in un progetto chiamato “Adrinet”. L’iniziativa è finanziata dalla Comunità Europea all’85% il restante 15% è in carico ai tre Paesi facenti parte del progetto, per un importo di poco superiore al milione di Euro. In questo caso specifico una delle soluzioni che si è scelto di percorrere passa per l’applicazione di tecnologie GPS per favorire il recupero; obbligo di segnalazione e recupero in caso di perdita (in Europa è già obbligatorio); nella fattispecie un microchip che fissato alle reti ne consente rapidamente il ritrovamento e l’identificazione del proprietario. Si agisce su vari fronti, il riciclo delle reti recuperate ad esempio, l’azienda italiana Aquafil utilizza reti abbandonate e altri rifiuti in plastica per produrre costumi da bagno e abbigliamento sportivo. Un’altra azienda spagnola, la Ecoalf, ha realizzato una linea di maglioni realizzati con attrezzatura da pesca recuperata. Il fenomeno ormai sta riscuotendo un certo clamore, in parte per una rinnovata coscienza ecologica, alla quale le nuove generazioni cominciano ad essere più interessate, questo non poteva passare inosservato dai Network televisivi, faccio ampio riferimento al canale tematico DMAX, che ha inserito nel suo palinsesto un reality che parla delle gesta di un gruppo di subacquei volontari che operano nel mare di Sicilia alla bonifica delle reti fantasma. Nel mio piccolo durante le immersioni a Calafuria mi è capitato di verderne alcune e direi che sono lì da diverso tempo, sebbene in tempi recenti ne sono state avvistate di nuove (Vi rimando al link di un altro post che ne parlava (https://subacqueodisuperficie.blogspot.com/2019/04/cosa-sta-succedendo-calafuria.html)
Quindi che si fa ci si infila la muta e si scende sotto a tirare via delle reti ...ma proprio no! Tanto per cominciare si tratta di un tipo di operazione che comporta diversi rischi, che richiede esperienza, sangue freddo ed una serie di competenze. Bisogna avere assetto e acquaticità perfetti, avere le giuste attrezzature (Palloni di sollevamento e quant’altro), saper valutare correttamente le diverse situazioni (quando conviene staccare una rete dalla roccia e quando invece è più opportuno lasciarla lì, magari dopo averla messa in sicurezza. A volte infatti la rete è talmente vecchia che, staccandola, rischiamo di peggiorare la situazione e danneggiare gli organismi bentonici ), saper lavorare in squadra e dulcis in fundo, non guasta affatto avere pratica ed essere abilitati all’utilizzo di un reatheber e/o miscele decompressive. NON CI SI IMPROVVISA CHIARO! “Ma allora, io semplice sub ricreativo, che posso fare?”, la risposta è “Molto”, il mare è grande e tanto per cominciare rilevando la posizione e dando alla Guardia Costiera e/o Capitaneria di Porto, tutte le informazioni necessarie al ritrovamento ed ad una successiva bonifica, per la quale “Loro” sono perfettamente attrezzati e addestrati. Reti, tramagli lenze fisse e lenze a traina: un altro fattore estremamente rischioso e sottovalutato è il potenziale pericolo indotto da reti e lenze dei pescatori. Prima di tutto si consiglia di immergersi lontano dalle tratte segnalate; in secondo luogo è opportuno fare attenzione a quelle abusive e di munirsi ALMENO di un coltello ben affilato (meglio due) da tenere alla caviglia, al braccio o alla cintura. Impigliarsi in una di quelle durante l'immersione potrebbe determinare l'impossibilità di riemergere. Buone bolle!!
Link: “Ghost Fishing” https://www.ghostfishing.org/ “Life-ghost” http://www.life-ghost.eu/index.php/it/ “Global Ghost Gear Initiative” https://www.ghostgear.org/ “FAO” http://www.fao.org/news/story/en/item/19353/icode/
Fabrizio Gandino “Subacqueodisuperficie”

giovedì 31 dicembre 2020

Finisce un altro anno

 


 

 

Salve a tutti, ebbene sì abbiamo tutti latitato un po', certo non è stato un anno semplice, non credo sia un mistero. Le immersioni sono state molte di meno, causa le varie limitazioni negli spostamenti e i normali impoedimenti della vita di ogni giorno, resa più complicata da questo Covid 19.

Tra zone gialle, Arancioni e Rosse ormai ce ne hanno fatto dAvvero vedere di tutti i colori e non è ancora finita. Quello che voglio fare con questo ultimo Upload e fare gli auguri a voi che non avete mai smesso di seguirci e a quelli che ci hanno scoperto 5 minuti fa.

Ecco qui di seguito due cortometraggi di Salvatore Fabiano e Marco Moretti che con simpatia e bellezza ci ricordano per cosa vale la pena di tornare la fuori.



Salvatore Fabiano

 

Marco Moretti
 


Auguriamo a tutti voi un anno sereno, e una ritrovata serenità, il mare ci aspetta e noi aspettiamo di poter tornare a lui.

Buone Bolle 2021 Subbi!



Fabrizio Gandino

"Subacqueodisuperficie"