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domenica 31 maggio 2020

Quando una Donzella si pavoneggia


Il nostro gruppo di subacquei si divide tra l'Appennino bolognese e quello pistoiese, differenze labili per chi vive dalle nostre parti, ma haimè i confini che sino a ieri ci sembravano inesistenti oggi ci pesano non poco; fatto sta che mentre oggi noi da questa parte della montagna, stiamo facendo la fine dello stoccafisso, guardiamo con invidia i nostri amici in Toscana andare a mettere l'attrezzatura e se stessi in ammollo, senza poter far nulla.
Non mi resta che scrivere, ricontrollare l'attrezzatura e sperare in tempi migliori, dove qualche torma di incoscienti, amanti della movida di gruppo e degli spritz a 10 cm di distanza, non ci faccia riaprire una quarantena, cosa per la quale non credo risponderei più delle mie azioni.
Fatto questo preambolo, scorrendo le riprese e rileggendo qualche pubblicazione di subacquea mi è capitato di tornare a parlare con alcuni amici di un incontro, che consideriamo “Oro comune”, ma che nella realtà non è così scontato.
Credo che tutti voi ormai sappiate cos'è una specie aliena, in un pezzo precedente Egidio Trainito ne ha ampiamente discorso, forse in un po' meno sanno cos'è una specie Lessepsiana.
La definizione deriva dal nome dell'ingegnere che progettò (Ferdinad de Lesseps) e seguì la realizzazione del Canale di Suez, che come ben saprete mette di fatto in comunicazione il Mar Mediterraneo con l'Oceano Indiano. Una grande conquista per l'ingegneria e la navigazione, un bel po' di meno per l'equilibrio dell'ecosistema marino del nostro mare.
Il Mar Mediterraneo non è un mare chiuso, il suo sbocco naturale sull'Oceano (Atlantico, nel nostro caso) è dato dallo stretto di Gibilterra, il che rende possibile a specie che lo abitano di uscire e rientrare in esso. E' possibile quindi anche una colonizzazione di specie atlantiche nell'Habitat Mediterraneo e viceversa, sempre che si trovino le condizioni favorevoli allo sviluppo, il che richiede tempo e cambiamenti che si quantificano in secoli spesso. Queste colonizzazioni possono avere un successo dirompente iniziale per poi regredire con la stessa velocità con cui sono iniziate, oppure divenire permanenti creando nuovi equilibri o compromettendone irrimediabilmente altri.
Scatto di Roberto Puzzarini

Nel caso del canale di Suez il discorso cambia quasi del tutto, in realtà oggi come oggi molte specie aliene, sono divenute residenti al punto che siamo talmente abituati a vederle, e si sono adattate così bene, che spesso siamo portati a credere che siano sempre state lì, autoctone insomma.
Come forse ho accennato in precedenza in altri pezzi del blog, la colonizzazione involontaria può avvenire attraverso due veicoli: in primis il Canale stesso con la sua continuità, nel secondo invece le specie aliene rimediano “un passaggio” nelle vasche di zavorra delle navi che si riempiono e si svuotano per aumentare la propria stabilità in mare.
Come ho detto, capita che alcune specie siano ormai così facilmente osservabili da pensare che siano sempre state qui, ma non è così.
Tutti conosciamo la Coris julis (Linnaeus 17589, comunemente nota come Donzella, credo che il nome tragga origine dalle splendide evoluzioni che questo pesce spesso compie dinanzi ai sub che la osservano guizzando repentinamente avanti ed indietro, poi c'è la Thalassoma pavo (Linnaeus, 1758) famiglia delle Labridae.
I suoi caratteristici colori cangianti che vanno dal giallo dorato al verde, i caratteristici reticoli sulla testa di colore blu, che vengono ripresi dalle righe poste sulla schiena, la rendono inconfondibile. La sua livrea in giovane età è quasi totalmente verde fatta eccezione per una chiazza nera che manterrà anche da adulta.
La bocca è piccola e dotata di una sola fila di denti nelle mascelle, con due denti uncinati centrali più grandi.
La pinna dorsale è unica è i suoi raggi sono quasi tutti della stessa altezza, (8 spinosi, 12-13 molli) la pinna anale è allungata e contrapposta a quella molle dorsale.
Le pinne pettorali sono utilizzate dai maschi durante il corteggiamento, le agitano vistosamente per scoraggiare altri pretendendi e rivendicare un territorio, non capita di rado che provi ad attaccare anche i Sub, insomma un pesce con molta fiducia nei suoi mezzi, decisamente inversamente proporzionale alla sua stazza, di solito tra i 20-25 cm al massimo.
Come a volte capita in natura tra i pesci, cambia sesso, nasce femmina ma poi in capo a qualche anno, diviene maschio e perde le bande blu e la macchia nera una volta completato lo sviluppo, questo fenomeno è noto come “Ermafrodito Proterogino”.
Scatto di Roberto Puzzarini

Si tratta di una specie Lessepsiana, proveniente dal Mar Rosso stabilizzatasi con successo da tempo nelle nostre acque, favorita, assai probabilmente, dall'inesorabile, progressivo fenomeno di tropicalizzazione del Mar Mediterraneo.
La sua dieta è costituita da crostacei e molluschi che trova smuovendo il sondo sabbioso o cacciando tra le praterie di Posidonia che è solita frequentare, tuttavia sono stati osservati esemplari giovani nutrirsi di parassiti di pesci molto più grandi.
Il suo nemico naturale è il Barracuda del Mediterraneo (Sphyraena viridensis - Cuvier, 1829), la sua riproduzione avviene tra giugno e luglio ed è un oviparo pelagico.
La sua livrea è una delle più belle e cangianti che si possano osservare nel nostro mare, la sua distribuzione ormai tocca da tempo quasi tutte le nostre coste nel Tirreno, ma viene avvistata ormai frequentemente anche in Adriatico, in fondali che vanno dai 20 ai 100 metri di profondità.
Al solito, si ringrazia, tra gli altri,  Marco Moretti e Roberto Puzzarini per i loro scatti.

Nome Scientifico: Thalassoma pavo (Linnaeus, 1758)
Nome comune : Zingarella, Zita, Pizza di Re, Vecchia, pesce pettine, pappagallo, pisci urrej
Rischio di estinzione: Minima popolazione (Stabile)
Categoria Tassonomica: Specie
Ordine: Labridiformes
Classe: Actinoperygii
Classificazione superiore: Thalasso
Specie : T. pavo



Link:





Bibliografia:

Atlante di flora e fauna del Mediterraneo - Egidio Trainito, Rossella Baldracconi, ed Il Castello 2014
Pinneggiando nei mari italiani – Marco Bertolino, Maria Paola Ferranti, Hoelpi 2019
Guida della FAUNA MARINA COSTIERA DEL MEDITERRANEO” - Luther Fiedler – Franco Muzzio Editore


Buone Bolle!



Fabrizio Gandino
Subacqueodisuperficie”




giovedì 28 maggio 2020

Aree Marine Protette, tre casi a confronto




Un politico pensa alle prossime elezioni, uno statista alle prossime generazioni (James Freeman Clarke)



L'area naturale marina protetta, definita per comodità, anche a livello internazionale, generalmente e più brevemente solo come area marina protetta o AMP, è una zona di mare circoscritta, in genere di particolare pregio ambientale e paesaggistico, all'interno della quale è in vigore una normativa limitativa e protettiva dell'habitat, delle specie e dei luoghi, e relativa alla regolamentazione e gestione delle attività consentite. Rientrano nell'ambito delle aree naturali protette e spesso sono anche definite riserve; in alcune di esse viene consentita anche la pesca commerciale tradizionale, presumibilmente non distruttiva. “ (Wikipedia)

In Italia dopo un lunghissimo iter di studio e fattibilità, contrastato soprattutto da pescatori, persone e politici con interessi particolari soprattutto speculativi all'interno delle aree dove ne era prevista l'istituzione, un estenuante e acceso dibattito politico nonché un profondo ritardo nei confronti di tutti gli stati occidentali, è stata finalmente attuata una legge quadro ed infine nel giro di diversi anni sono state infine istituite nel tempo tutte le aree marine ora in esercizio. Una delle peculiarità delle regole dell AMP è quella di limitare le attività di pesca e prelievo con delle regolamentazioni specifiche, ma anche quella di promuovere ed effettuare dei programmi di studio, ricerca e ripopolamento abbinati a dei programmi didattici ed educativi che permettano la maggiore conoscenza e sensibilità nei confronti della natura. Chi può opporsi alla creazione di un’ Area Marina Protetta? Di solito persone che potrebbero subire una perdita economica, come i palazzinari che si vedono chiudere l’opportunità di nuove licenze edilizie, magari la costruzione di porti turistici, per l’imposizione di nuove e costose regole. Potrebbero opporsi i pescatori, che si vedono tagliar via un’area più o meno vasta dalle loro opportunità. Ma anche i diportisti che temono l’introduzione di nuove norme, come per esempio il divieto di dare ancora, e obbligo di ormeggio a boe designate, il che li escluderebbe dal poter pranzare in qualsiasi caletta a piacimento. Potrebbe opporsi chi teme l’introduzione di contingenti tra visitatori e natanti. 

A tal argomento si consiglia la consultazione del libro “Politiche europee per il paesaggio: proposte operative” (Adriana Ghersi, 2016) dove si parla delle forti resistenze per la nascita di un AMP a Portofino, che vedeva in primis a contrastare la proposta, diportisti, pescatori, portatori di diversi interessi politico/economici. E' incontestabile, le Aree Marine Protette svolgono un ruolo fondamentale nell’attirare turisti, certo non un turismo di massa alla riminese per intenderci, ma orientato soprattutto a persone interessate al territorio e alle economie locali, turisti che vengono sottratti a spiagge e fondali che non offrono le stesse garanzie paesaggistiche, di biodiversità, di qualità delle acque. Le aree marine protette, quindi, rendono tantissimo e vanno incentivate.
Vorrei parlarvi di tre realtà che conosco, in tre stadi differenti d'opera/evoluzione/nascita delle stersse, AMP di Portofino (GE), AMP di Livorno (LI), AMP (Non ancora nata) di Sant'Antioco, San Pietro.


L'area naturale marina protetta di Portofino è un' Area marina protetta istituita con decreto del Ministero dell'Ambiente il 26 aprile 1999, con sede a Santa Margherita Ligure, ed è situata nel territorio di levante della città metropolitana di Genovafra i comuni di Camogli, Santa Margherita Ligure e Portofino. L'area è stata dichiarata Area Specialmente Protetta di Interesse Mediterraneo. Attualmente è in vaglio, su espressiva richiesta degli stessi comuni della riserva, presso la Camera dei deputati la proposta di trasformare il Parco regione di Portofino in Area nazionale, accorpando nei nuovi confini territoriali anche l'Area marina protetta . La proposta, esposta alla Camera in una audizione del 24 gennaio 2007, ma già avanzata nel 2004, è stata accolta

positivamente dalle amministrazioni comunali e dagli altri enti interessati, specie dopo il recente consenso di Santa Margherita Ligure, sede dell'ente parco regionale e della riserva marina protetta. In ogni caso sono vietate le attività subacquee che richiedano un contatto con il fondale, e inoltre è vietato l'ancoraggio delle imbarcazioni. La zona A (Riserva Integrale) comprende il tratto di mare interno (Cala dell'Oro) delimitato dalla congiungente dei punti identificati in Punta Torretta e Punta del Buco. È il tratto di mare dove è fatto divieto assoluto di navigazione, sosta, accesso, balneazione, pesca sportiva o professionale, immersioni subacquee. Nella zona A l'ambiente è conservato

Scatto nell'AMP di Portofino
integralmente e sono consentite solo attività di soccorso e ricerca scientifica autorizzate dal soggetto gestore. La balneazione è vietata. La zona B (Riserva Generale) va dalla Punta del Faro di Portofino, sotto il comune di Portofino, sino a Punta Chiappa, sita nella frazione di San Rocco di camogli, fatto salvo il corridoio di accesso e la rada di San Fruttuoso. Tale zona è caratterizzata da vincoli più larghi: la pesca sportiva è consentita (regolamentata) solo ai residenti, l'immersione subacquea con autorespiratore ad aria è consentita ai diving center e ai privati autorizzati, mentre è liberamente consentita l'attività subacquea in apnea e la libera balneazione. Inoltre le immersioni subacquee da riva sono consentite solo presso Punta Chiappa, il Dragone e la Colombara. Questo tratto di mare è molto amato e visitato dai subacquei, attratti dal notevole valore naturalistico dei fondali ed in particolare dal trionfo delle gorgonie rosse e dalla ricchezza di fauna. È in questa zona che si trova il Cristo degli abissi .
Cernia a Portofino

La zona C (Riserva Parziale) si estende ai due lati del Promontorio di Portofino ed è famosa ed ammirata per le sue vaste praterie di Posidonia oceanica. Ulteriori attività sono consentite e l'attività subacquea e la balneazione è libera, a parte specifiche limitazioni per la salvaguardia dell'ambiente. La pesca sportiva è consentita (comunque regolamentata) ai residenti e non. La riserva riveste un grande interesse per la subacquea, con svariati punti di immersione di interesse naturalistico.
Nella zona A, a meno di permessi speciali, le immersioni sono proibite.
Nella zona B l'immersione subacquea è consentita ai diving center e ai privati autorizzati, mentre sono proibite, a meno di autorizzazione, le immersioni notturne.
Nella zona C vengono praticate ulteriori concessioni. Personalmente adoro Portofino, che non delude davvero mai, sembra davvero di nuotare in un acquario.



Ma veniamo a Livorno, in questo caso si parla delle Secche della Meloria, si tratta di un’ampia scogliera affiorante che si estende per circa 40 chilometri quadrati a 3 miglia dalla costa livornese; i suoi fondali variano da 3 a 12 metri e sono costituiti da una alternanza di ampie radure di sabbia, praterie di Poseidonia Oceanica e tipiche formazioni geologiche dette “catini”. La bellezza del paesaggio subacqueo, pieno di vita e di colori, e la ricchezza della biodiversità sono un’attrazione indimenticabile che affascina tanti visitatori; sui fondali si segnala la presenza di numerosi relitti e resti archeologici, testimoni dei naufragi di imbarcazioni che si dirigevano verso il porto pisano nel periodo romano e al tempo delle repubbliche marinare.

 Con Decreto 217/2009 il Ministero ha approvato il regolamento recante la disciplina delle attività consentite nelle diverse Zone dell’AMP “Secche della Meloria”.Con la Delibera della Regione Toscana 35/2011 le Secche della Meloria sono state designate un “Sito di Importanza Comunitaria” (SIC). Attualmente per andare alle secche, se non si è in possesso di un'imbarcazione occorre contattare le società locali adibite per il noleggio barche oppure se lo scopo è quello di organizzare delle visite guidate ed osservare da vicino gli organismi marini occorre contattare i diving della zona. L'Ente Gestore aprirà in un futuro prossimo il centro visite dell'Area Marina Protetta. 


Anche qui esiste una Zona A di riserva integrale comprende il tratto di mare immediatamente ad ovest della Torre della Meloria, una Zona B di riserva generale ed una Zona C di riserva parziale. I fondali di Livorno sono caratteristici per la presenza di corallo rosso, gorgonie, spugne, coloratissimi nudibranchi e numerose specie di pesci oltre ad una vegetazione marina molto varia. Per potersi immergere in questo sito è opportuno rivolgersi ai diving operanti in zona, siti a poche miglia dall'Area Marina Protetta. Da tempo però si caldeggia di annettere all'AMP la parte di costa denominata “Miglio magico”, braccio di mare, idealmente compresa tra il Castello del Boccale e quello di Sonnino, dove si trova Calafuria. A dire il vero nei giorni scorsi un fatto piuttosto grave è avvenuto, chi ci segue sa che tempo fa in un mio pezzo parlavo di una rete da pesca, perfettamente operante era stata probabilmente distesa nottetempo, da qualche pescatore dinanzi al golfetto sotto la Torre, in dispregio a distanze regolamentari e alla sicurezza di un sito arcinotamente frequentato dai subacquei durante tutto l'anno e a qualsiasi ora del giorno e della notte.


In sintesi la mattina di giovedì 17 agosto, i sommozzatori del V Nucleo della Guardia Costiera di Genova, sotto il coordinamento della Capitaneria di porto di Livorno, hanno recuperato una grossa rete da posta, lunga oltre 100 metri, abbandonata sul ciglio della scarpata, al largo di Calafuria. L’attrezzo, era stato segnalato nei giorni scorsi da una Associazione di subacquei labronica, era in parte ancora teso, per cui continuava a catturare pesci e altre specie, oltre a essere pericoloso per la sicurezza delle attività subacquee, in una zona molto frequentata dagli amanti delle immersioni. L’operazione non era semplice, richiedeva una precisione certosina per non danneggiare il fondale e la sua flora, ma grazie alla perizia degli operatori, si è conclusa con pieno successo. È stato così possibile preservare il prezioso corallo rosso, vero fiore all’occhiello del litorale livornese.



Per Sant'Antioco e San Pietro il discorso sembra ancora lungi a venire, ricordo le mie discussioni con alcuni pescatori del posto, quelli favorevoli si esprimevano quasi di nascosto e a bassa voce. In questo caso l'area marina protetta che vorrebbero istituire dovrà essere compresa all'interno dell'area vasta di reperimento che all'incirca va da Buggerru fino a Teulada e che nelle leggi 979/82 art.31 e 394/91 art.36 avevano denominata "Isola di San Pietro". Precisazione necessaria per far capire che se tutti i Sindaci interessati da questo grande tratto di costa si attivano insieme ci sarebbe una grandissima opportunità di sviluppo per l'intero Sulcis e non solo per l'Isola di San Pietro.

Ovviamente ogni Sindaco interessato dovrebbe effettuare un primo studio puntuale relativo al suo territorio da presentare poi al Ministero al fine di inserirlo nel lungo iter procedurale. Qualche territorio negli anni passati aveva già fatto degli approfondimenti (Sant'Antioco per esempio). Purtroppo ad oggi pare che solo il Comune di Carloforte sta partecipando attivamente all'iterprocedurale del Ministero. Tuttavia, pur essendo stati offerti a Carloforte i fondi per attivarne l’istituzione, una parte degli isolani parrebbe fortemente ostile al progetto, e ha creato un comitato NoAMP, un’altra parte della popolazione ha quindi creato un comitato PROAMP. In questa situazione, quando il sindaco è andato al ministero il 13 Febbraio 2020 per accettare i finanziamenti e iniziare l’iter (che comunque durerebbe circa 4 anni), di fronte alla richiesta del Ministero di portare avanti gli studi per la realizzazione dell'AMP, avendo avuto comunicazione che, una volta dato il consenso e avviati gli studi dell'ISPRA, non si potrà tornare indietro, l'amministrazione ha richiesto una proroga (per non andare contro a quella parte della popolazione che era contraria).

 Il sindaco non ha firmato l'avvio degli studi e LA PROCEDURA PER L'ISTITUZIONE DELL'AMP è QUINDI, AL MOMENTO, SOSPESA; il sindaco ha poi invitato i due comitati, pro e contro AMP, ad agire con le proprie campagne informative per poi, una volta finite le campagne, prendere una decisione. Le campagne informative però, per via dell'emergenza Covid19 virus, non sono state fatte e dell’AMP non si è più parlato. Un politico pensa alle prossime elezioni, uno statista alle prossime generazioni (James Freeman Clarke) . Da quel che mi è dato sapere, un paio di grossi progetti edilizi, nel caso dell'istituzione di un Parco marino avrebbero forti problemi ad essere realizzati, sebbene già in passato bollati come ennesime “Cattedrali nel

deserto” e dalle dubbie sostenibilità ambientali, per non parlare delle effettive (reali) ricadute occupazionali tanto sbandierate. In tal senso durante una diretta Facebook ho avuto modo di interrogare, Egidio Trainito, personaggio che in quanto a mare non credo che abbia bisogno di ulteriori presentazioni a riguardo, riporto la mia domanda e la sintetica risposta.

Subacqueodisuperficie: “So che a Sant'Antioco si è proposto la costituzione di un AMP, purtroppo una parte della popolazione con dietro una certa politica è contro, se si fa un giro in porticciolo si vedono un sacco di barche al rientro vendere pesce sottotaglia e anno dopo anno sempre più piccole. In questo senso credo che le AMP intervallate lungo la costa siano non solo un bene ma qualcosa di necessario. Cosa ne pensate?”
Egidio Trainito: “Le AMP sono fondamentali per una inversione di tendenza, ma devono anche funzionare: AMP senza consenso oppure vuote di attività servono solo a dare qualche stipendio (pochi) ma non svolgono un vero ruolo di cambiamento.”



Devo ammettere che la risposta mi ha un attimo preso di sorpresa, non una spassionata difesa ad oltranza delle AMP ad ogni costo, ma un arguta riflessione direi. In sintesi il messaggio alla fine è piuttosto chiaro, le AMP servono, ma solo se, se ne comprende veramente il significato, se si percepisce quel mare non meramente come un mezzo di sostentamento/sfruttamento (pesca e turismo predatorio), ma come un patrimonio di cui le genti locali stesse fanno parte. Il ritorno in termini di turismo, maggiore tasso di riproduzione della fauna ittica, che comunque da quell'area poi fuoriesce, non sono argomenti contestabili. Non sono discorsi vuoti e retorici, chiunque sappia cos'è il fermo biologico per la pesca, sa di cosa parlo, in quel periodo il mare si rigenera, pensate soltanto a cosa è successo in questo periodo di lockdown in cui siamo dovuti starcene chiusi in caso, limitando le attività antropiche nell'ambiente. Non serve sempre sbarrare km di coste, ma alcuni brevi tratti e dare modo a quelle aree di divenire santuari.
La difesa stessa dei fondali, delle praterie di posidonia, che lo ricordiamo, è una pianta e non un alga, sono fondamentali per l'ossigenazione stessa dell'acqua e come nascondiglio per gli avanotti, come terreno di crescita per molti molluschi che costituiscono la biomassa alimentare di molti piccoli predatori. In questo senso garantire degli ancoraggi sostenibili, limitare un diportismo selvaggio e cafone, facendo rispettare i divieti che già ci sono sarebbe un primo passo nella giusta direzione.
Spero di avervi dato qualche spunto di riflessione.

Buone Bolle!



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Fabrizio Gandino
Subacqueodisuperficie”


venerdì 8 maggio 2020

Il cambiamento è qui ed ora... Cosa ci dice il mare? - Due chiacchere con Egidio Trainito





Domenica 3 maggio 2020 ore 18:00 altro incontro in diretta Facebook con Egidio Trainito. Per ogni fotografo subacqueo che si rispetti, biologo o semplice appassionato di fauna e flora marina questo è un nome che non si può non conoscere. Personalmente nella mia biblioteca ho due suoi testi di Malacologia e il suo leggendario “Atlante della Fauna e della flora del Mediterraneo”, insieme a tante altre pubblicazioni certo. Egidio Trainito padovano di nascita, vive e lavora in Sardegna dal 1985: si occupa principalmente di sviluppo compatibile del turismo e di progetti di conservazione in Aree Marine Protette. Svolge anche attività di consulente editoriale: ha curato la collana Coste e Mari d'Italia, ha collaborato a numerosi volumi sulle Aree Marine Protette italiane ed ha curato l'editing dell'edizione internazionale di “Le migliori immersioni del Mondo e Relitti”, “le migliori immersioni del mondo”. Ha pubblicato numerosi libri sugli ambienti marini e una raccolta di racconti di viaggio: “Il cercatore di esche”. Tra le edizioni più recenti, per il Castello ha pubblicato le guide illustrate “Conchiglie del Mediterraneo” e “Nudibranchi del Mediterraneo”. I suoi ultimi libri sono “Sardegna. Mare Protetto” e “Tavolara Guida all'AMP”. Il suo libro più importante, “Atlante di Flora e Fauna del Mediterraneo”, è giunto alla quarta edizione, ampliato e aggiornato. Dal 2005 è consulente della trasmissione Linea Blu di RAI 1. 



 
Insieme a lui Mario Romor, che io ricordavo come training Manager di Esa Worldwide (European Scuba Ageny).
L'incontro è organizzato da “Blue & Blue Diving” di Viterbo, nelle persone di Otello Litardi e l'aiuto tecnico di Muaro Baffo (Videosolution).
Il tema è spinoso, assai spinoso ed il titolo stesso di questo Happening virtuale è esplicativo : “Il cambiamento è qui ed ora..... cosa ci dice il mare?”.
Che le attività umane siano impattattanti sull'ambiente non è una novità; come abbiamo avuto modo di imparare da questo periodo di Lockdown (Domiciliari di dolorosa necessità), l'assenza forzata dell'uomo da determinate aree del pianeta, ha corrisposto ad una riappropriazione della fauna e della flora delle aree lasciate temporaneamente scoperte, ma non solo questo.
Purtroppo come dirà Trainito durante questo incontro, l'attivista ambientale svedese, Greta Thumberg non dice cavolate, il cambiamento è in atto ed ad una velocità impressionante ed in costante accelerazione.
Non si parla solo di riscaldamento globale, plastiche (quest' ultime trovate ormai anche a grandi profondità) e microplastiche, ma di una serie di mutamenti nell'ecosistema marino che avvengono in silenzio, e con una celerità sorprendente. Molti che si interessano alla subacquea e alla biologia marina hanno ben chiaro quale sia il problema rappresentato dalle specie aliene nel nostro Mar Mediterraneo.
Piccola parte dei titoli della mia biblioteca
A molti di voi è noto come specie non endemiche dei nostri mari come il Pesce palla, il Pesce coniglio, il vermocane, la Caulerpa cilindracea, alcune specie di meduse siano arrivate attraverso il Canale di Suez nei nostri mari, trovando condizioni sempre più favorevoli a causa del riscaldamento globale.
Si tratta di specie per lo più Lessepsiane, dal nome di Ferdinand de Lesseps l'ingegnere francese che ne ideò e curò la realizzazione nel decennio tra il 1859-69, tuttavia tra le altre abbiamo anche il Granchio corridore dell'atlantico che io ebbi modo di vedere circa cinque anni fa sull'isola di Sant'Antioco, precisamente sulla scogliera di Mangiabarche a Calasetta.
Il problema in realtà è molto maggiore della competizione daewiniana nella quale l'uomo ci ha messo il suo zampino grazie ad incaute introduzioni, opere ingegneristico/idrauliche, serbatoi di zavorra delle navi.



Trainito rimarca subito come ogni organismo visibile introdotto nell' ecosistema del Mediterraneo, veicola con sé altri organismi invisibili o parassiti che albergano nello stesso e si trasmettono attraverso la catena alimentari con effetti ed interazioni imprevedibili. Si pensi all'improvvisa moria della Pinna Nobilis (Egidio Trainito la dà per spacciata), a quella del Riccio di Prateria (Sphaerechinus granularis ) o a quello alimentare (Paracentrotus lividus). Appare chiaro quindi che episodi ormai divenuti norma come gli attacchi alla popolazioni dei bivalvi da parte della Rapana Venosa proveniente dal mare del Giappone ed ora presente in Adriatico, al Vermocane (Hermodice carunculata Pallas) ormai segnalato ovunque, non so9no che la punta dell'iceberg. Trainito fa notare come si stiano sviluppando nuove simbiosi tra le specie lessepsiane e quelle nostrane, con esiti tutt'altro che prevedibili e/o scontati, la natura si adatta e riequilibra, ma come al solito ci sono e saranno, vinti e vincitori. Ecco quindi che l'aragosta sta scomparendo da certe aree, lo stesso per le gorgonie rosse e tutta quella fauna che vive intorno, mentre il riscaldamento ha favorito una diffusione notevole in un primo tempo del barracuda del mediterraneo che poi si è ridimensionata per conto suo. Specie come la Cernia rossa( Mycteroperca rubra) , il Pesce flauto (Fistularia commersoni), il Pesce coniglio (Siganus luridus), cominciano a trovarsi spesso nelle reti ormai.

 
Mappa della diffusione e avvistamenti del Pesce Flauto

Ricorda come anni fa si si diede l'allrme per la diffusione della Caulerpa tersifoglia, ad opera di un incauto sversamento in mare delle acque dell'acquario del Principato di Monaco, la cosa richiese un grosso sforzo per arginare la diffusione dell'organo invasivo estraneo che arrivò sino in Liguria, ma inaspettatamente, dopo una diffusione rapida ebbe a ridimensionarsi rapidamente, per cause che ancora non comprendiamo del tutto, parallelamente oggi una sua parente, la Caulerpa Cilindracea, invece, si sta diffondendo senza peraltro dare segni di voler rallentare la sua radicazione ovunque.
Si è poi parlato del fatto che molti dei dati che vengono raccolti in realtà provengono da segnalazioni di sub che non praticano ricerca, ma fotografano e fanno avvistamenti fortuiti, in questo senso si auspica una maggiore partecipazione per la raccolta dei dati con particolare riferimento alla scomparsa/comparsa di specie vecchie/nuove negli abituali siti di immersioni frequentati.
Alla domanda cosa possiamo fare noi sub per aiutare, la risposta di Mario Romor è stata quella di mantenere un basso impatto ambientale fin da casa ogni giorno, e avere in mare una filosofia meno frenetica quindi più “Slow Divers”, Egidio Trainito è decisamente più pessimista a riguardo, sostenendo (come dargli torto) che fintanto che non capiremo che dovremo abbracciare una visione meno antropocentrica le cose non cambieranno.
Piccola nota personale: ne parlerò più avanti magari in un altro pezzo ma ho voluto la sua opinione circa la costituzione delle AMP, portando come esempio le resistenze portate avanti da alcuni comitati a Sant'Antioco, (ma anche a Livorno per Calafuria) . La tendenza è di assegnare alle AMP (questo a livello globale) il 10% del patrimonio costiero, ma si parla anche di conservare alcune aree in mare aperto; è un dato di fatto che il pianto del pescatore che pesca sotto taglia o non pesca affatto, è un cane che si morde la coda, le AMP funzionano da aria di ripopolamento naturale di pesce che poi va a colonizzare anche altre aree, è un fatto.
Questo periodo di fermo dalle immersioni è una dolorosa necessità, tuttavia eventi come questi sono utili non solo per noi appassionati del mare, ma sopratutto per diffondere una maggiore consapevolezza. Si ringrazia Blue & Blue Diving, per aver organizzato questa splendida chiaccherata.



Buone Bolle





Fabrizio Gandino
Subacqueodisuperficie”

lunedì 4 maggio 2020

Haven dal Paradiso all'Inferno - diretta web con gli autori



 “La Haven è il relitto visitabile più grande del Mediterraneo. L'immersione,viste le profondità in gioco, è ritenuta "impegnativa", ed è fortemente sconsigliata a subacquei "inesperti". Per l'immersione (fino a 40 mt) viene richiesta un brevetto advanced (con specialità deep) o un brevetto decompression diving (40-54 mt) / trimix (54-82mt). Inoltre vige una Ordinanza della Capitaneria di Porto di Genova (18/1999 e succ. 183/2003) che regolamenta le modalità di immersione sul relitto. “





11 aprile 1991 ore 12,40: nel tratto di mare davanti a Voltri (golfo di Genova), una colonna di fumo nero si leva densa e maleodorante, non si sono ancora spente le sirene per il disastro del traghetto Moby Prince il giorno precedente. Un incendio ha causato da una grande esplosione avvenuta a bordo della petroliera Haven. Tutto avviene dinanzi al porto petroli di Genova Multedo, durante un'operazione di travaso di greggio dalla stiva 1, a prua, alla stiva 3, a centro nave, si verifica un'esplosione a bordo. Tra i 36 componenti l'equipaggio si contano cinque morti, Ioannis Dafnis,
Domingo Taller, Gregorio Celda, Serapion Tubonggan e il comandante Petros Grigorakakis. Dopo la fase iniziale di incendio del combustibile versato in mare, la nave venne trainata al largo di Arenzano; per una fortunata serie di coincidenze (mare calmo, assenza di vento), la maggior parte del combustibile fu esaurito dalla combustione durata più giorni. Dalla prima esplosione al momento dell'affondamento si stima che siano bruciate almeno 90 mila tonnellate di petrolio. Le ottime condizioni meteo-marine evitarono che le colonne di fumo (alte fino a 300 m) raggiungessero le nostre coste. Come abbiamo detto in precedenza, durante la notte la nave in fiamme si spostò in direzione di Savona . Il giorno successivo fu trainata tra Cogoleto e Arenzano; durante l'inizio dell'operazione di traino, la parte prodiera, indebolita dalle esplosioni e con il metallo snervato dal forte calore generato, si staccò dal resto dello scafo. La parte distaccatasi, lunga 95 metri, si adagiò a 470 metri di profondità .
In seguito il relitto affondò, oggi si trova su un fondale di circa 85 metri nelle acque antistanti Arenzano in assetto di navigazione. Si tratta del più grande relitto visitabile da subacquei del Mediterraneo, e uno dei più grandi al mondo. L'affondamento causò la perdita di migliaia di tonnellate di petrolio che almeno in parte, nelle sue componenti più dense, ancora oggi permangono nei fondali marini antistanti Genova. E come dirà durante l'incontro sul web Dino Passeri, purtroppo perde ancora oggi, nonostante la bonifica.La Haven aveva diverse navi gemelle, che hanno avuto un analogo destino, rispettivamente: Amoco Cadiz, affondata il 16 marzo 1978 di fronte alle coste bretoni perdendo in mare 230.000 tonnellate di greggio, Maria Alejandra, esplosa l'11 marzo 1980 di fronte alle coste della Mauritania, Mycene, esplosa il 3 aprile del 1980 di fronte alle coste della Sierra Leone. “La Haven è il relitto visitabile più grande del Mediterraneo. L'immersione,viste le profondità in gioco, è ritenuta "impegnativa", ed è fortemente sconsigliata a subacquei "inesperti". 
Per l'immersione (fino a 40 mt) viene richiesta un brevetto advanced (con specialità deep) o un brevetto decompression diving (40-54 mt) / trimix (54-82mt). Inoltre vige una Ordinanza della Capitaneria di Porto di Genova (18/1999 e succ. 183/2003) che regolamenta le modalità di immersione sul relitto. “ (Cit.)

Venerdì 1 Maggio 2020, appuntamento in DIRETTA FACEBOOK organizzato dal Lorenzo Sub Fiumaretta (Sp).
Obbiettivo, alla scoperta del più grande relitto del Mediterraneo, quello della superpetroliera Haven, adagiata di fronte ad Arenzano (Ge). Gustosa occasione per una chiaccherata con i produttori del più completo documentario ad oggi prodotto dal titolo "Haven, dall'inferno al paradiso": Rino Sgorbani, Davide Boschi, Davide Briccolani e Dino Passeri ci accompagnano in una sorta di immersione virtuale.
Dino Passeri si definisce il palombaro più vecchio d'Italia, e forse ha ragione mi sa, persona di comprovata esperienza, fu chiamato dalle autorità per alcuni sopralluoghi e sopraintendere alle operazioni di bonifica della Haven nell'arco di diversi anni.

Rino Sgorbani è in acqua dal 1977 anno in cui consegue il primo brevetto FIPSAS, allievo di Duillio Marcante, negli anni 80' diventa istruttore CMAS e si consacra a quella che diverrà poi la sua passione: la fotografia Subacquea. Gli anni 90' segnano invece il suo passaggio alla attività di cineoperatore subacqueo che coltiverà insieme alla sua esperienza di subacqueo tecnico a circuito chiuso.Grande amico dell’acquese Giancarlo Borgio, 39 anni, rimasto ucciso sabato mentre esplorava una grotta subacquea in Svizzera, nella zona di Lugano. I due si erano conosciuti anni fa durante un’immersione nel relitto della Haven ad Arenzano e collaboreranno alla realizzazione del film documentario “Haven: Dal Paradiso all'Inferno”. Davide Boschi, Piacentino, sub di provata esperienza ed estensore di alcuni articoli di subacquea che ha curato i testi. A Davide “Brick” Briccolani si deve il montaggio delle riprese e dei modelli 3D della Haven, che permettono allo spettatore di capire in quale punto siano state effettuate le
riprese durante la visione del documentario. La serata di dipana piacevolmente, mentre gli intervenuti ci raccontano le difficoltà e gli aneddoti che hanno portato alla realizzazione del film. Sembra in realtà una rimpatriata tra vecchi amici, ad i quali mancano solo Oscar Corona, che non è riuscito a collegarsi e il compianto Giancarlo Borgio. Il tutto moderato in modo magistrale da Cesare Balzi. Le atmosfere sono suggestive, e la bravura dei sub fa sembrare tutto estremamente semplice, ma a quelle profondità nulla lo è. Curiosi i commenti di Passeri che disse che rimpiangeva di non poter aver avuto simili visibilità quando toccò a lui a poche ore dalla tragedia, e poi in altre occasioni riuscire a lavorare con quella visibilità.
Consiglio vivamente la visione del docufilm, in religioso silenzio eun grazie a Lorenzo Sub Fiumaretta (Sp) per aver organizzato questa gustosa occasione.

venerdì 1 maggio 2020

10 marzo 241 a.C. : Fabio Portella racconta




Giovedì 30 Aprile 2020, oltre cento persone collegate, una cosa consueta di questi tempi, partecipare ad una conferenza webinair, durante la quarantena che ci sta tenendo inchiodati tutti a casa. Anfitrione di questa serata è Fabio Portella del Diving Center “Capo Murro” (SI), Istruttore GUE (Global Underwater Explorers), sub di esperienza, grande quanto la sua modestia. Il tema della serata riguarda un evento storico di portata epocale: La Battaglia delle Isole Egadi. Lo scontro navale che ebbe come teatro il quadrilatero Drepanum (l'odierna Trapani), Aegussa (Favignana), Hiera (Marettimo), Phorbantia (Levanzo).
Fabio Portella

Fu la battaglia navale conclusiva della Prima guerra punica. Dopo oltre vent'anni di scontri navali e terrestri, con fortune alterne, Cartagine subì presso le Egadi una sconfitta pesante in termini di uomini e soprattutto di navi; economicamente allo stremo, dovette chiedere una pace onerosa a Roma. D'altra parte il conflitto protratto tra le due citta-stato per un ventennio aveva messo allo stremo le finanze di entrambe. Se da una parte Roma cominciava ad accusare qualche problema nel chiedere rinforzi ai socie a causa delle troppe spese per le battaglie navali e i naufragi (Le navi romane erano più vulnerabili alle tempeste a causa del "Corvo" una passerella usata per l'abbordaggio), l'erario non era in grado di allestire nessuna flotta degna di questo nome; solo cinque anni prima dalla sconfitta di Trapani e dall'immane successivo "naufragio di Camarina" che aveva distrutto quasi del tutto il naviglio militare, era stata costretta a cessare di rinforzare la flotta limitandola alle sole navi onerarie e gestire la difesa marittima con qualche superstite Nave da guerra. Cartagine non era messa meglio, anche se sul mare restava dominatrice, complice il fatto dell'essersi

impadronita di parte di quel che restava della flotta di Roma, si era però svenata nella gestione della flotta, i commerci erano rallentati. Infatti i marinai, contrariamente alle truppe di terra che erano in genere mercenarie, provenivano dalle forze dei cittadini-mercanti. E i mercanti, se non possono coltivare i loro mercati, finiscono per passare la mano alla concorrenza. I commerci di Cartagine languivano e non potevano generare la ricchezza necessaria a pagare le sempre più necessarie truppe mercenarie. Era una pericolosa spirale economico-militare che rischiava di avvitarsi su sé stessa. Fu Roma a decidersi a chiudere la partita una volta per tutte: chiesti finanziamenti ai privati e facoltosi cittadini , armò a tempo di record una nuova flotta.

 A questo proposito esiste un interessante retroscena, qualche tempo prima era riuscita ad impadronirsi di due quadrireme Cartaginesi, che regolarmente forzavano il blocco navale dell'assedio di Lilibeo, nottetempo. Studiate le navi nemiche ne progettarono di nuove e migliori in gran segreto, nel contempo addestrarono un sostanzioso contingente da imbarcare per dare battaglia. Era in gioco la sopravvivenza stessa di Roma, come cita Polibio nei suoi scritti: «L'impresa fu, essenzialmente, una lotta per la vita. Nell'erario, infatti, non c'erano più risorse per sostenere quanto si erano proposti.». Il 10 marzo del 241 a.C. , scatta la trappola, la flotta romana è alla fonda ridossata sulla costa orientale di Levanzo, il comandante romano, Gaio Lutazio Catulo vide che la flotta cartaginese avrebbe avuto un forte vento da ovest a favore e che questo avrebbe reso più difficile far salpare la flotta romana.

 Dapprima incerto, riflettendo si rese conto che se avesse attaccato subito avrebbe avuto di fronte degli scafi ancora carichi e quindi più lenti e che questi avrebbero avuto a bordo solo forze di marina. Se avesse permesso lo scarico delle merci e l'imbarco degli uomini di Amilcare la situazione anche col vento in poppa non sarebbe stata altrettanto favorevole. Oggi sappiamo dal ritrovamento di diverse ancore romane, trovate in fila ordinata, proprio sul fondale di Levanzo, che la decisione dell'attacco fu repentina e fulminea, tale da richiedere il taglio delle gomene degli ancoraggi. Il resto è storia: la flotta romana si distese su una sola linea come per formare un muro contro le navi cartaginesi che veleggiavano verso la costa del Monte Erice. I Cartaginesi accettarono la battaglia; ammainarono le vele per avere maggiore mobilità e attaccarono i Romani.

Anche in questo caso Polibio ci racconta con i suoi scritti come la situazione pendesse sin dalle prime battute a favore dei romani:
«Poiché i preparativi per gli uni e per gli altri venivano regolati in modo opposto rispetto allo scontro navale svoltosi presso Drepana, anche l'esito della battaglia, com'è naturale, risultò opposto per gli uni e per gli altri.» . Ed ancora riferendosi ad i cartaginesi : «gli equipaggi erano completamente privi di addestramento ed erano imbarcati per l'occasione, e i soldati di marina erano appena arruolati e sperimentavano per la prima volta ogni sofferenza e rischio.» . Un errore di valutazione dei Cartaginesi , che ritenevano i Romani, a seguito della serie di sconfitte e di naufragi, fossero incapaci di governare le navi. Una combinazione disastrosa di errori. Inferiori nella manovra e nel combattimento ravvicinato, i Cartaginesi videro rapidamente affondare cinquanta navi e altre settanta furono catturate complete di equipaggio, pare 10.000 uomini. Un fortunato volgersi del vento permise alle superstiti, alzate nuovamente le vele, di sganciarsi e ritornare all'Isola Sacra, Marettimo. Venendo ai giorni nostri e alla serata in questione Fabio Portella, dopo gli inevitabili cenni storici di cui abbiamo appena letto, ci ha parlato del ritrovamento/recupero di 18 rostri in bronzo che vennero utilizzati sulle navi che si diedero battaglia quel giorno. 
Una spedizione, frutto di una collaborazione internazionale tra la Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana e la GUE. Il ritrovamento del primo rostro lo si deve al caso, un pescatore lo trovò impigliato, probabilmente in una rete a strascico e lo barattò con una dentiera! Si avete capito bene, il dentista in questione lo espose incautamente e la cosa arrivò alle orecchie del prof, Sebastiano Tusa, un pioniere in questa ricerca archeologica. I rostri servivano a speronare le navi avversarie con tecniche di ingaggio ben definite, tuttavia le scoperte recenti hanno sfatato una credenza diffusa solo fino a qualche anno fa, e cioè che i rostri fossero a “Perdere”. Vale a dire che, dopo che venivano conficcati nello scafo della nave avversaria, similmente ad un pungiglione sarebbero rimasti lì, il ritrovamento di alcuni rostri con ancora resti lignei all'interno e fissati da lunghi chiodi di bronzo sfata questa credenza, come Fabio Portella ama ripetere è la “Prova Provata” che il rostro nasceva e moriva con la nave.
Al momento ne sono stati ritrovati 18 durante le varie campagne, ad una profondità tra gli 85 e i 100 metri, recuperi onerosi, dal momento che il peso oscilla, a seconda dei modelli tra i 180-250 kg di ottimo bronzo. I romani vinsero questa battaglia, ma stranamente i rostri che vengono ritrovati sono per lo più romani, su 18 al momento 16 sono romani e solo due cartaginesi. Una spiegazione potrebbe essere che in precedenti battaglie i Punici avevano predato delle navi romane grazie alla loro schiacciante superiorità, e che questo naviglio fosse stato inglobato nella flotta Cartaginese, quindi i Romani alle Egadi si trovarono contro le loro stesse navi. Se ne parlerà ancora degli anni a questo proposito, ho linkato all'uopo alcuni filmati che raccontano ampiamente sia il fatto storico che la campagna di recupero. Buona visione!

Link:

Sicilia svelata - Mozia: rostri della battaglia delle Egadi


12°Rostro della Battaglia delle Egadi


Ritrovamento di un rostro Romano




Buone Bolle!


Fabrizio Gandino
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