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domenica 26 febbraio 2023

Emozioni Profonde : A caccia di relitti con Andrea Bada

 


La mia prima immersione come neobrevettato Open Water fu una sorpresa, ne ho già parlato qui sul blog qualche tempo fa, fu sul relitto della Eurobulker IV, un cargo carbonifero affondato al largo dell'isola di S.Pietro sopra una secca di 18 metri.

Chiunque si sia immerso su un relitto lo sa, si prova una sorta di suggestiva emozione, spesso perchè quei relitti sono anche l'ultima testimonianza di chi in mare vi ha perduto la vita.

C'è poi chi dell'esplorazione e della ricerca di questi relitti ne ha fatto la sua ragione di vita, non per denaro, o tesori, ma per vivere delle emozioni.

 


Sabato 25 Febbraio 2023, ad Empoli in Loc. Avane, presso LA VELA Area Margherita Hack, l'associazione G.E.A.S. ha organizzato un incontro con Andrea Bada , un sommozzatore professionista, che ha presentato alcuni filmati di relitti siti in immersioni profonde da lui e il suo Team, “Techdive Explorer Team” nel nostro Mediterraneo.

Sala piena, tante facce conosciute, e direttamente da quel di Calafuria, tra questi i nosti Salvatore, Yuri, Enrico (ancora bagnati dall'immersione del mattino)  e  Matteo , Michele e Pippo .

Ha aperto il pomeriggio Sandro Matteucci, presidente di G.E.A.S. Ricordando che prossimi al 35° anniversario della fondazione dell'associazione si è voluto dare lustro alla ricorrenza organizzando appuntamenti come questo.

Dopo è stata la volta Di Marco Lemme, Presidente F.I.A.S che ha ricordato come realtà associative come questa empolese, servono non solo a portare avanti i valori del nostro sport, ma anche a favorire una certa socialità e senso di appartenenza.


 

Dopo di lui è intervenuto Maurizio Bertini che si è adoperato per mettere in contatto Andrea Bada con l'associazione al fine di rendere possibile questo incontro con il pubblico.

Interessante tra gli altri l'intervento della Dottoressa Pamela Ciuffo in qualità di Psicologa del gruppo Techdive, che ha spiegato come il nemico peggiore di un sub, specie in queste imprese, sia l'ansia, come sia vitale riuscire ad elaborare e allenare non solo il fisico ma anche mente e stato emotivo, senza mezzi termini ha affermato che mentre per u immersione ricreativa un attacco di ansia può essere gestito, a 130 metri di profondità non c'è nulla da gestire se non si è fatto un certo lavoro prima, semplicemente “sei morto”. 


Prima dell'intervento dell'ospite della manifestazione, Umberto Giorgini del DAN, ha illustrato brevemente un caso in cui la tempestività nel soccorso ha fatto la differenza e come opera il Dan in questi casi, a cui ha seguito un intervento di elogio dell' Assessore allo Sport Fabrizio Biuzzi.

A questo punto rotto ogni indugio, ha preso la parola Andrea Bada, chiarendo subito alcuni punti.

Lasciate che vi dica alcune cose, forse anche a voi sarà capitato di andare a qualche conferenza e vedere qualcuno che si gigioneggia e a cui manca solo che apra la ruota come un pavone, ecco non aspettatevelo da questo ragazzo.


Per prima cosa ha tenuto a spiegare che per quello che fa non è assolutamente un superuomo, ma che anzi confrontarsi con il mare gli ha restituito un senso di grande umiltà, che malgrado le sue ricerche per forza di cose lo spingono a profondità elevate, non è per questo che lo fa e che la profondità è richiesta e definita dall'obiettivo che si intende raggiungere, sebbene un limite se lo sia autoimposto comunque, “solo...- 180 metri”, spiegando che questo limite operativo è dettato dall'impossibilità con un attrezzatura che non sia da palombaro di gestire un immersione con le sue finalità.

La preparazione atletica e mentale sono basilari come uno stile di vita sano e corretto.

Quali sono queste finalità? La ricerca, la riscoperta (ritrovamento) e l'identificazione dei relitti, cosa tutt'altro che semplice.


Prima ancora che entrare in acqua, il lavoro di ricerca è fatto di una minuziosa raccolta di documenti, testimonianze, fotografie, filmati, insomma tutto quello che può essere utile ad individuare le peculiarità del relitto che si ricerca, solo allora e solo dopo si inizia la ricerca vera e propria, che è fatta di tentativi mirati, ma pur sempre tentativi e di un lavoro di squadra in cui ogni ruolo ha un importanza cruciale, da chi fa assistenza in superficie a chi fa riprese e chi segue con un filo di Arianna chi sta documentando sul fondo con foto e video.

Questo Andrea lo ha ribadito più e più volte, come uno dei punti più importanti. 

TA-23 (ex R.N. IMPAVIDO)


Una volta trovato e documentato il relitto, si passa all'identificazione, ed è qui che entra in campo Claudio Grazioli, appassionato di Storia nel senso più genuino del termine, sulla base di schizzi, fotogrammi, posizione geografica tenta un identificazione del relitto, dando un nome a scafi che sono da decenni nell'oblio dato dalle profondità del mare.

Emblematico è stato il doppio racconto di Claudio e Andrea sul ritrovamento ed identificazione dell'aereo fantasma di Punta Manara, un P47 Thunderbolt alleato, abbattuto dalla contraerea tedesca e mai ritrovato sino alluglio del 2021 ( Vi invito a clickare sui link a fondo pagina).


Questo fanno Andrea Bada e il suo Team, restituiscono a noi in superficie, quello che il tempo e il mare hanno nascosto, documentando, e lasciando tutto così come lo hanno trovato con profondo rispetto.

Da anni il Team collabora con l'Istituto Idrografico Militare, joinventure che ha portato mutui benefici ad entrambe le parti, colmando spesso i buchi nella narrazione storica di molti eventi bellici.


Come l'affondamento del TA-23 (ex R.N. IMPAVIDO), unità italiana requisita il 16 settembre del 1943 e incorporata nella Kriegsmarine (Marina Militare tedesca) il 9 ottobre 1943, assunse il nome di TA 23. Nel gennaio 1944 la torpediniera fu dislocata a La Spezia, in seno alla X Flottiglia Torpediniere. Un destino molto comune a tanto naviglio catturato, riconvertito e impiegato dai tedeschi che avevano poco naviglio di superficie nel Mediterraneo. Il relitto della TA 23 giace su fondali di 70 metri, spezzato in tre tronconi, ad una decina di miglia da Cecina e ad una distanza circa doppia dalla Capraia. Il troncone poppiero, il più lungo (oltre metà della nave) giace in posizione capovolta, quello che include la plancia è adagiato su un fianco ed angolato di 90° rispetto al precedente, mentre il terzo troncone è costituito dall'estrema prua. Nello specifico Andrea e Claudio hanno spiegato come furono fondamentali l'identificazione delle bombe di profondità di chiara fattura tedesca e dell'armamento di bordo, per dare un nome a ciò che avevano ritrovato.


Durante la seconda guerra mondiale, prima e dopo l' 8 settembre 1943, i tedeschi requisirono e riconvertirono molto naviglio di superficie dai paesi occupati, Francia, Grecia ed Italia, il caso del UJ2206 (ex peschereccio francese Saint Martin Legasse, 14/02/43-03/11/43) è uno di questi, anche qui documentato, ritrovato e identificato dal team di Andrea Bada a nord delle Formiche di Grosseto.

Ultimo, ma non ultimo, il ritrovamento del sommergibile Velella che detiene il triste primato di essere stato l'ultimo sommergibile italiano perduto nella guerra contro gli Alleati: nell'ambito del «Piano Zeta», di contrasto al previsto sbarco anglo-americano in Calabria o Campania, lasciò Napoli il 7 settembre 1943, e da quel giorno non diede più notizie di sé. Il 13 maggio il 2003 il relitto del Velella è stato individuato a 8,9 miglia da Punta Licosa a circa 138 metri di profondità, ma dovremo aspettare sino all'agosto del 2022 perchè una spedizione di Andrea Bada ed il suo Team, riesca a raccogliere dati sufficienti per un identificazione certa del relitto. Sebbene intuibile dai rapporti sull'affondamento, oggi i familiari dei 55 marinai sanno dove riposano i loro cari, Il relitto del sommergibile Velella, con tutto il suo equipaggio, è adagiato sul fondo del mare a 140 metri di profondità .


Lo spazio per le domande è stato scarno, non tanto per il tempo a disposizione e men che mai per la disponibilità di Andrea e del suo Team a rispondere al pubblico, ma semplicemente, credo, che alcune immagini, ti lascino con un senso di assoluto stupore e ti fanno sentire infinitamente piccolo e annichichilito da quel “tanto, troppo” che si nasconde sotto la superficie e che il “Techdive Explorer Team” appena può scalfire...eppure tanto basta.

Io come molti altri di voi che leggete, non scenderò mai a queste profondità, accetto con umiltà i miei limiti, questo però non mi impedisce di ammirare, chi con preparazione adeguata scende e permette anche a me di vedere cosa cela il sesto continente.


Tuttavia l'Ospite ha chiarito che non è cosa per tutti, ci vuole molta dedizione, allenamento e spirito di sacrificio, ma sopratutto, tanta, tanta, tanta, tanta umiltà, ribadendo l'ovvio, il mare non è il nostro ambiente, ogni volta che scendiamo sotto, non importa quanto, commettiamo nei confronti del nostro corpo, una piccola violenza, essere consapevoli che siamo degli ospiti sta alla base del rispetto che dobbiamo avere per il mare.

Granzie ad Andrea Bada, G.E.A.S. e  il “Techdive Explorer Team” tutto per le emozioni che ci avete regalato in questo sabato pomeriggio. 



Chiudo con una News: Dopo aver vinto inaspettatamente il Paladino d'Oro nella 41esima edizione dello Sport Film Festival Internazionale di Palermo, a breve uscirà un lungometraggio di Andrea Bada sulla rete a pagamento Sky  e una serie sui cacciatori di relitti  in chiaro su Realtime, che vi invito a non perdervi.


Buone Bolle e buona visione!





Link :

https://it.wikipedia.org/wiki/Impavido_(torpediniera)

https://www.rainews.it/tgr/liguria/video/2021/12/lig-andrea-bada-63bf8bac-340d-4ae5-a890-5b0a73cfa82c.html

https://www.youtube.com/watch?v=0EZaIkDuOHU

https://www.anmicastellabate.it/wp/il-sommergibile-velella/

 https://www.underwatertales.net/2018/03/27/aereo-in-giardino-la-storia-del-caccia-p-47-thunderbolt-di-punta-manara/

Facebook: 

Andrea Bada : https://www.facebook.com/andrea.bada.7

Claudio Grazioli : https://www.facebook.com/claudio.grazioli.94

Techdive : https://www.facebook.com/profile.php?id=100057680430630


Fabrizio Gandino

“Subacqueodisuperficie”


 


venerdì 21 ottobre 2022

Capo d'Acqua: un momento congelato nel tempo

 Questo pezzo apre l'esordio di Matteo Stanzani che da questo inserto comincerà a collaborare con il Blog, non perdo altro tempo e lascio la parola a lui.

 


 

Salve a tutti oggi parliamo di una Location davvero unica nel suo genere in tutta la nostra penisola si trova nell'invaso idrico di Capo D'Acqua (Comune di Capestrano) in provincia dell'Aquila. Incastonato nel Parco nazionale del Gran Sasso, a circa un centinaio di chilometri da Roma, è possibile immergersi per ammirare i resti di due mulini medioevali. La ragione dell'opera idraulica trova necessità nel bisogno irriguo dei terreni circostanti. Nato tra le antiche linee di confine del regno Borbonico, Stato pontificio e Capestrano (per diverso tempo sotto la signoria di Firenze), la zona consta di 12 chiese edificate lungo la linea di transumanza degli allevatori, che si muovevano con il bestiame da e verso la Puglia. Tali opere furono realizzate dall'Ordine dei Cavalieri Templari, su disposizione del Papa Celestino V al fine di favorire lo scambio delle merci, offrire un riparo e mitigare gli scontri tra le popolazioni locali, piuttosto frequenti all'epoca.


 

L'immersione che ci si accinge a compiere sotto questo specchio d'acqua di un colore turchese, sarà nella fredda acqua sorgiva, che consente una trasparenza inimmaginabile. Pinneggiando si arriva al primo mulino (stando ben attenti a stare alla giusta distanza dal fondo). L'impatto visivo riesce ad impressionare anche i subacquei più girovaghi del mondo. La sensazione è quella di vagare nella Storia e nel Tempo! Il primo mulino è quello che si è conservato peggio, tuttavia si può agevolmente individuare tutto il perimetro della struttura e i muretti a secco. Passando al secondo si può notare gli archi di pietra e le pareti con un masso incastonato avente un foro passante, dove venivano legate le cavalcature. 


 Un percorso sicuramente suggestivo, un piede nella storia (o una pinna, fate voi), tanto che alla fine dell'immersione si continua a guardare e girellare nel sito nonostante il freddo, sospesi nell'atmosfera liquida di un posto magico.



Matteo “Masdepaz” Stanzani




 

 

 

 

 

                                                     


 

Per anni ero stato vittima della “Maledizione di Capo d'Acqua”, ogni volta che si programmava quel tuffo capitava qualcosa che mi impediva di andarci, il che era diventato un bel po' frustrante, al punto da metterci quasi, con una sorta di fatalistica rassegnazione, una pietra sopra.

Potete quindi capire quindi, quando a margine della stagione estiva, Matteo mi chiama al telefono e mi dice che si vorrebbe organizzare un uscita a Capo d'Acqua (AQ) e se la cosa poteva interessare qualcuno del nostro gruppo, non riuscì a terminare la frase che avevo etusiasticamente già accettato.


Ma cos'è Capo d'Acqua? Dovete sapere che nel parco nazionale del Gran Sasso, a 180 chilometri da Roma, e una quarantina dall'Aquila, c’è un piccolo lago artificiale che è entrato nella classifica dei migliori posti al mondo dove fare immersioni. Alle pendici occidentali del Monte Scarafano, le acque delle sorgenti di Capo d'Acqua sono invasate in un bacino artificiale collegato ad un sistema di irrigazione che alimenta una centrale idroelettrica che alimenta una stazione di pompaggio che convoglia le acque dell'invaso verso i Comuni siti a quote più alte per fini agricoli/irrigui. Le sue acque fredde e cristalline arrivano dalle fonti da cui prende il nome: sorgenti di Capo d’Acqua. Il bacino artificiale nasce nel 1965 dopo la realizzazione di una diga costruita per sbarrare il corso del Tirino e per convogliare l’acqua nei campi dove si coltivava il grano. La suddetta diga nata per sbarrare il corso superiore del Tirino, poco più a valle delle sue sorgenti, in prossimità della omonima frazione di Capestrano (Caput Aquae). Il bacino è alimentato da numerose sorgenti naturali immettono nel bacino continui flussi di acqua fresca e limpidissima che confluiscono a valle nel Tirino. Tuttavia questo da solo non spiega perchè questo piccolo lago di altura è stato definito nel panorama turistico internazionale, la “piccola Atlantide d’Abruzzo”.


L'area era intorno al 1100' sotto l'influenza dei Medici, già signori di Firenze, nel sito dove oggi troviamo il Lago artificiale esisteva anticamente un mulino appartenuto alla famiglia Verlengia di Capestrano, e un colorificio costruiti in prossimità della sorgente di Capo d'Acqua. Il colorificio è oggi ancora visibile in superficie, mentre il mulino di circa 400 mq, in buono stato di conservazione, (salvo i danni riportati nel terremoto dell'Aquila che ha fatto crollare un arco) è completamente immerso nell’acqua cristallina del lago ed è caratterizzato dalle antiche tecniche murarie costruttive tradizionali. Di grande impatto sono i resti di due arcate murarie e le piattabande in legno di porte e finestre. Il complesso è costituito da due mulini distinti, realizzati in epoche differenti anche se relativamente vicine nel tempo. Più vicino alla sorgente è presente un altro mulino più piccolo, probabilmente un ampliamento dell’altro. Intatto è il selciato dei viottoli antichi che un tempo veniva percorso dai contadini con il loro carico di grano. Il sito sommerso, ha un che di affascinante e misterioso, la bassa temperatura delle acque, restando costante intorno ai dieci gradi tutto l’anno, impedisce il proliferare di alghe e piante lacustri e garantisce un'ottima visibilità, eccezione fatta per la strafificazione dei semi di salice che anno dopo anno affondando nell'acqua hanno creato una coltre sul fondo che è meglio non smuovere. Va detto però che anche quando questo malauguratamente accade si sedimenta piuttosto rapidamente.


La profondità massima è di circa 9 metri, la visibilità arriva anche a 70, il che aggiunge un senso di irrealtà a questo luogo che sembra congelato nel tempo. L'acqua cristallina e la realativa vicinanza delle rovine alla superficie, riflettendole in una sorta di cielo al contrario, mi ricordano alcuni lugometraggi di animazione di Hayao Miyazaki . L'immersione in sé dura poco più di 35/40 minuti, ma le emozioni che trasmette non vi abbandoneranno più. L'immersione è piuttosto semplice, ed è aperta a subacquei di qualsiasi livello purchè muniti di brevetto, ovviamente si deve avere l'accortezza di seguire le disposizioni dell guide rimanendo a debita distanza dalle rovine e dal fondo del lago. Per quel che riguarda l'attrezzatura io consiglio la muta stagna o una buona semistagna con sottomuta, sebbene Francesco e Francesca, del nostro gruppo abbiano coraggiosamente sfidato il lago in umida (era il 9 ottobre del corrente anno) senza riportare danni. Per quanto riguarda gli erogatori è sufficiente un 


Octopus, ma avere anche delle degli adattatori da Din a Int per l'attacco bombole non guasta.  Il mio consiglio è quello di organizzarvi un bel weekend che comprenda non solo l'immersione nel lago, ma anche nella spendida natura incontaminata che circonda questa piccola perla, fidatevi non rimarrete delusi dall'accoglienza e dalla cucina locale che è già da sola un esperienza positiva che non dimenticheremo facilmente (neppure le nostre mute). Questi luoghi erano l'ambientazione originale della storia di “Ladyhawke” e in parte da queste parti furono girate alcune scene del film del 1985 diretto da Richard Donner con Matthew Broderick, Rutger Hauer e Michelle Pfeiffer; vi segnalo inoltre che nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, immerso in una natura incontaminata vi è anche un grande patrimonio di vasto interesse archeologico (ricordiamo il GUERRIERO di Capestrano). 


 

Alla fine si riparte per tornare a casa con un esperienza in più e devo dire a malincuore vista l'accoglienza ed i luoghi che meriterebbero decisamente più tempo, ma è soltanto un arrivederci mi sa.





Buone Bolle!!!



Link:

https://www.atlantidesub.com/33-Immersione-tra-i-mulini-sommersi.html


 
 
I mulini sommersi di "Capo d'Acqua"




Fabrizio Gandino

Subacqueodisuperficie”


 

giovedì 9 giugno 2022

Elba, "lo Scoglietto" che non delude mai

 



Questi ultimi due anni hanno penalizzato l'attività subacquea di diversi tra noi, solo ora a emergenza (si spera) finita si comincia a tirare un respiro di sollievo. Tutto è cominciato con Michele, che prima ancora di partire per il Mar Rosso a pinneggiare con i Longimanus, mi aveva convinto a partecipare al weekend sub all'isola d'Elba organizzato dalla nostra scuola. Sarò sincero, sto diventando un po' pigro, o forse sono solo un po' stanco e l'idea di sbattermi tra auto, traghetti e trasferte con le nostre attrezzature a spalla a piedi nella ressa di uno dei primi weekend caldi  non mi sorrideva moltissimo. Per contro la meta era l'isola d'Elba, con un più che probabile tuffo allo Scoglietto di Portofaerraio e le Cannelle, due full day che un subacqueo, qui nel Mediterraneo non può



ignorare. Ed eccoci così, che  Michele, Florin, Luca ed io ci troviamo in un affollatissimo terminal traghetti di Piombino per prendere l'aliscafo che ci depositerà a Cavo sull'isola.  Il diving scelto è quello di Valeria, la cui barca intravedo per primo dalla banchina di sbarco, distante (con gran sollievo delle nostre schiene) un tiro di schioppo. Il tempo di mollare sul ponte i nostri borsoni e definire gli orari di ritrovo e partenza e siamo liberi di andare a farci una doccia e procacciare la cena. Cavo assomiglia per alcuni versi, ad un luogo della mia infanzia, per chi è stato a S.Antioco probabilmente conoscerà il borgo di pescatori di Cussorgia, subendo probabilmente la medesima evoluzione, divenendo più popolato con gli anni e lasciando il posto a qualche locale caratteristico che farà animare il piccolo centro durante le ore serali. Le atmosfere sono quelle calme e rilassate di quei luoghi dove il tempo pare rallentare, fatto per chi apprezza isolarsi un po' dalle frenesie delle nostre vite, senza tuttavia rinunciare ai confort e ad un minimo di movida serale. 



La mattina arriva e ci trova riposati, colazione, salto in panetteria a ritirare un po' di "schiaccia" e via verso la barca. Io vado al molo a prendere Massimiliano e Marco in arrivo con il traghetto, Carlo ci raggiunge direttamente in barca insieme a Giovanni visto che sono qui da un paio di giorni prima. Il nostro vascello è quanto di più lontano possa assomigliare ad un moderno scafo da diving, ma ha il suo fascino che non è fuori luogo in un posto così. Tutto qui sembra dirti di dimenticarti quel che ti aspetta a casa e di goderti il lento scorrere del tempo. Come dicevo la barca è tozza e allegramente rossa, con il suo cefalopode ammiccante, comoda quanto basta e provvista di tutto l'essenziale, non manca nulla, ogni angolo dell'imbarcazione rivela il passaggio di chi prima di noi ha goduto del rilassante borbottio del motore diesel che ci sta portando allo Scoglietto di Porto Ferraio e delle amorevoli manutenzioni del papà di Valeria, si perché c'è anche lui con noi. C'è chi



prende il sole sul ponte, chi ricontrolla lo scuba, chi come Luca e me ascolta gli aneddoti della vita sull'isola dei tempi passati di Valeria e suo padre... e poi eccolo lì, lo scoglietto di Porto Ferraio. Alla discesa dell'ancora siamo ormai tutti vestiti e pronti ad indossare i GAV ormai, il breafing è rapido e conciso, il punto di discesa massimo previsto sarà intorno ai 40 mt, nel rispetto ovviamente dei brevetti in nostro possesso, il che ci porta a separarci in due gruppi. A quella profondità si trova un Cristo sommerso a circa -38 mt, si 



tratterà di un altorilievo in buona parte ricoperto di spugne gialle, raffigura un Cristo a braccia alzate ed aperte verso la superficie, come vuole l'iconografia di queste opere che hanno preso le mosse dal primo e più conosciuto di San Fruttuoso. Io ho optato per una muta semistagna da 6.5mm scelta della quale mi pentirò parzialmente nelle immersioni successive, visto il termoclimo dopo i venti metri. La discesa è tranquilla e graduale, la visibilità buona ci regala la vista di alcuni rami di gorgonia e negli anfratti individuiamo qualche piccola aragosta, ci sono anche alcuni dentici, che ...tacci loro! non si avvicineranno mai abbastanza per essere ripresi. Questa per me è un immersione nuova che non ho mai fatto. A poco più di 30 mt la luce è più fioca e laggiù dinanzi alla parete ecco la statua. Qua e là vedo le sfleshate di Marco. È il punto più basso della nostra immersione, da qui cominciamo la risalita verso la franata e la sosta di sicurezza. La riemersione è al solito un misto di eccitazione e desiderio di condividere le impressioni e i numerosi avvistamenti di fauna ittica che qui allo Scoglietto certo non manca. La sosta di superficie, più che necessaria trascorre tra lo sfottò tipico del nostro gruppo di teste matte, mentre sgranocchiamo focaccia in una sorta



di debriefing molto informale. Il secondo tuffo è per La Franata delle Cernie, che tiene pienamente fede al suo nome, ma ci regala anche murene, corvine, banchi di mennole, le onnipresenti castagnole (sia rosse che viola), saraghi di ogni foggia, donzelle pavonine, Sciarrani,  Sarpe ecc. Qua e là sul fondale mi tocca rilevare la presenza di diverse nacchere riverse sulla sabbia, mi avvicino speranzoso ad una delle rare ancora ritte, avvicino un dito nella vana speranza di vederla chiudersi, ma non avviene. Ricordo quando nella mia prima esperienza dieci anni fa, proprio qui avevo visto una delle colonie più floride di Pinne nobilis, ora tutto sembra essere andato perduto. Sulle pareti riesco a vedere anche alcuni esemplari di Spondylus, già noti in epoca romana per essere usati come monili.

Il giorno seguente dovrebbe essere la volta delle Cannelle; Luca, Michele ed io ci siamo stati qualche anno fa, ma la corrente e la massiccia presenza della mucillagine funestarono quell'occasione impedendoci di godere appieno di un panettone di roccia riccamente ornato di gorgonie rosse a circa 30-35 mt. Quando si dice "non era destino", Valeria considerato un meteo assai contraddittorio ci informa che difficilmente l'immersione sarà fattibile.  Il tempo (atmosferico e non) le daranno largamente ragione, messa ai voti si deciderà di tornare allo Scoglietto, questa volta per due tuffi su Grottoni e di nuovo sulla franata. Come detto precedentemente la mia scelta della semistagna si rivelerà piuttosto infelice e patirò un po' di freddo, ma il tutto sarà largamente compensato dal tripudio di vita marina nel quale ci muoveremo entrambe le volte. Come ulteriore premio ecco fare la loro comparsa anche i barracuda, nella loro sinuosa eleganza tra i banchi di castagnole, che sicuramente speravano nella loro indifferenza. Lo Scoglietto di Portoferraio non delude mai, una certezza, la sua posizione permette un ancoraggio rimessato con quasi qualsiasi tempo e la vita sotto le acque antistanti il faro è prospera, varia ed abbondante. Purtroppo è l'ora di tornare



indietro e manco a farlo apposta il cielo si sgombra dalle nuvole quasi a volerci congedare con un tentativo di perdono. Il ritorno a Cavo è tranquillo e placido come il tempo che questa isola sembra aver congelato e ci dà il tempo di impacchettare le nostre attrezzature rese più pesanti (hai noi!) dall'acqua. Salutiamo Cavo e Valeria dalla banchina del molo, ma sicuramente questo è soltanto un Arrivederci.



Buone bolle!!!



Link utili:


http://www.cavodiving.it/


Fabrizio Gandino

"Subacqueodisuperficie"



sabato 30 aprile 2022

E luce sia!

 






E luce sia...!!!!

È inevitabile, la domanda più comune da chi non pratica immersioni subacquee è quasi sempre la solita :

Ma è vero che sott'acqua c'è buio e non si vede niente ??.Dopo la precisazione che non è assolutamente vero ma che ci sono alcuni colori che non sono più visibili da alcuni metri di profondità, 

 la mia più grande soddisfazione in quei momenti è semplicemente con il telefonino fargli vedere alcuni miei scatti fotografici, dove si vedono delle coloratissime pareti ricche di colori vivacissimi e ricche di vita, gorgonie rosse e gialle che si mescolano, il corallo che fortunatamente è sempre più vivo e presente nelle nostre zone,  spugne e nudibranchi di tutti i colori,  allora di conseguenza arriva la seconda domanda di routine: ma queste sono state fatte in qualche mare tropicale ?!?!? 

Macché, rispondo io. Sono tutte state scattate  nella nostra zona gli rispondo a tono, allora vedi lo stupore nei loro occhi e ti chiedono di vederne altre. È proprio in quel momento che si realizza per chi fa fotografia quella sensazione di soddisfazione e appagamento alle tante ore passate in acqua a cercare qualcosa di interessante da immortalare. 

Ma per rendere belle illuminate queste foto in realtà c'è un piccolo trucchetto, é vero che la definizione dell'immagine è dovuta dalla macchina fotografica che si adopera ma fondamentale è la luce a rendere una foto ben definita e incisa. 


L'illuminazione dei flash in acqua rende visibile tutti quei colori che inevitabilmente per effetto della densità dell'acqua  non fa arrivare la luce necessaria in profondità e così andrebbero persi. Facciamo un po' di chiarezza. Nella fotografia subacquea si adopera flash e non una torcia semplicemente perché la luce che emette un flash al momento dello scatto è superiore a quello di una pur potente torcia e copre una maggiore porzione di immagine, chiaramente la posizione dei flash è fondamentale al risultato, dobbiamo stare attenti a non avvicinare troppo avanti i flash e rischiare di sovraesporre la foto e mettere in evidenza la tanto odiata da noi fotografi sospensione, vale a dire tutte quelle piccole particelle non visibili a occhio nudo ma che illuminate fanno sembrare le nostre foto tutte piene di piccoli pallini bianchi che rendono la foto impastate e non belle. 


Cosa diversa é quando si vuole fotografare un piccolissimo soggetto come potrebbe essere un coloratissimo nudibranco, in quel caso è indispensabile avvicinarsi il più possibile al soggetto e di conseguenza avvicinare i flash all'oblo '.


Chiaramente fotografando sempre in manuale, perciò variando tempi e diaframmi. I parametri di una macchina fotografica terrestre in acqua chiaramente variano, perciò è importante trovare i settaggi giusti. Al momento dello scatto la luce emessa dal flash crea un vero e proprio cono di luce, quello è il nostro renge di lavoro più o meno su cui poter lavorare allontanandoci e avvicinandoci al soggetto da fotografare,

perciò: quando vedete un fotografo subacqueo in acqua  intento a allargare o ristringere i bracci dei propri flash, oppure che scatta una foto la guarda sul display  e si mette freneticamente a smanettare sulla custodia e riprende a fotografare per lungo tempo a volte aimè lunghissimo tempo... abbiate un po' di pazienza e comprensione per lui, é proprio in quei momenti che si cerca di realizzare lo scatto nel miglior modo

dedicandogli del tempo, riguardandolo, modificando le impostazioni, la posizione dei flash, tempi e diaframmi, ma poi il piacere che si prova nel realizzare una bella foto e vedere lo stupore negli occhi di chi la guarda  è troppo grande!! 

Buone bolle e soprattutto buona luce fotografi!!! 


Marco Moretti



 

mercoledì 16 febbraio 2022

Inconti nel mare d’inverno: Elysia timida

 Un’immersione come altre, questa volta  nei pressi di Quercianella località Calafuria, compagni di avventura, Ale e Brigida.

L'immersione si stava svolgendo regolarmente a circa 42 metri di profondità, in una zona ricca di grotte e scogli. Eravamo alla ricerca di un relitto di cui ci avevano parlato: una benna di una motopala che  Ale ricordava di avere visto tempo addietro.(ma questa è un altra storia).

Il fondale di quella zona é ricco di corallo , gorgonie e tantissimi colori sugli scogli …

Lasciate che vi spieghi come ci si sente ad essere lì. È come se, immersi nella realtà di un mondo che non ci appartiene e di cui siamo solo spettatori, l’animo umano ritrovasse la sua genuinità e scomparisse quel senso di egoismo e apparenza che ci si è cucito addosso, dalle regole del comportamento sociale. Uno stato di grazia, che purtroppo termina finita l’ora d’aria, alla fine della quale torniamo in superficie, alla realtà. 

Se mi è consentita una citazione fantascientifica , quello specchio d’acqua, a cui volgiamo gli occhi tornando alla superficie, tornando alla realtà è come una sorta di Star-gate. 

Ma tornando a noi, l'immersione volgeva al termine, eravamo lì nella nostra sosta di sicurezza a sei metri di profondità, più esposti alla risacca, che sopportavamo con stoica pazienza, quando mi sono imbattuto in un mollusco che non vedevo da quest’estate dall'interessante e particolare la storia  evolutiva .

Andare sott'acqua ha nutrito la mia curiosità, stuzzicando la mia necessità di arricchire le mie personali conoscenze subacquee, con flora e fauna di cui, prima di allora, non conoscevo neanche l’esistenza.

Elysia timida (Risso. 1818)


l’Elysia timida (Risso, 1818) rientra tra questi, si tratta di un esempio di simbiosi obligatoria tra questa lumaca e una cellula appartenente a un tipo di alga. L’ Elysia timida è un Mollusco Gasteropode Heterobranchia appartenente all’ordine dei Sacoglossi.

Dalla nascita di questa coppia simbiotica si svolge la fotosintesi . permettendo cosi la trasformazione di anidride carbonica  in carbuidrati (zuccheri)  e ossigenazione nell’acqua. Infatti nelle alette dorsali del organismo si puo’ notare un colore verde appartenente a queste cellule vegetali. 

La simbiosi sembra si sia sviluppata negl’anni con la fagocitazione di un tipo di alghe da parte del mollusco. Fagogitate ma non digerite .le protuberanze dorsali si aprirebbero alla presenza di raggi solari. Gli Heterobranchia, alla quale l'Elysia appartiene, sono i gasteropodi con conchiglia ridotta al minimo e nella più parte delle specie assente.



Privo di appendici dorsali e dotato di estensioni laterali del corpo simili ad ali (parapodi). Nel periodo estivo è facile rinvenire Elysia timida mentre si aggira tra gli ombrellini dell'alga verde Acetabularia acetabulum di cui abitualmente si nutre.

Il nome “sacoglossi” deriva dal fatto che le specie appartenenti a questo ordine, hanno bocca sprovvista di mandibola.

Essendo per lo più erbivori l’alimentazione avviene succhiando il contenuto delle cellule vegetali, stilettate dalla radula presente nella bocca.

Il tempo di qualche scatto ed i minuti della sosta volano, è tempo di risalire, ma è solo un arrivederci.



Libri:

 “ il regno dei nudibranchi” guida ai molluschi opistobranchi della Riviera del Conero - Federico Betti - Editrice La Mandragora - (2021)




Link:

https://www.biologiamarina.org/elisia-timida/

https://it.m.wikipedia.org/wiki/Elysia_timida

https://www.marinespecies.org/aphia.php?p=taxdetails&id=411959

http://www.aiamitalia.it/index.php?option=com_schede&view=scheda&genere=Elysia&specie=timida&Itemid=84



Matteo Stanzani

"Masdepaz"



venerdì 11 febbraio 2022

Andrea Izzotti: un fotografo tra i giganti delle Azzorre




La pandemia da Covid19 ha fermato o rallentato le vite della maggioranza di noi, ma questo pare non sia valso per Andrea Izzotti.

Questi due anni lo hanno visto produrre pubblicazioni sia in ambito fotografico, faccio ampio riferimento vai suoi book tematici, di cui tra poco spero vorrà parlarci, sia narrativa con "Zena, storia di un orca" ed infine con "Capodogli - i giganti delle Azzorre - Storie di Balene e balenieri", che ha un taglio decisamente più divulgativo.


Comincio subito col dire che i libri di Andrea Izzotti hanno in comune un sentimento che è impossibile soffocare, che malgrado la sua non lusinghiera accezione comune, lui nobilita: quel sentimento è l'Invidia. 

Si Invidia di quella buona, di quella che ti porta a desiderare di vivere le stesse esperienze dell'autore, che da quell'inguaribile entusiasta che è, riesce anche in questa sua ultima fatica, a prendere per mano il lettore portandolo con sé nelle sue avventure. 

Fotografo provetto, subacqueo, whale watcher, lui non vi dirà nella sua modestia, che magari quell'immagine su un puzzle di una nota casa specializzata è un suo scatto, oppure ometterà di dirvi che alcune delle sue foto hanno avuto l'onore delle cronache nei notiziari nazionali in prima serata (infatti lo faccio io, per il solo gusto di vederlo arrossire un po'😁), quindi passiamo a lui la palla e lo invito a parlarci dei suoi ultimi progetti ed in particolare della sua ultima pubblicazione: "Capodogli - i giganti delle Azzorre - Storie di Balene e balenieri".


Intanto, bentornato Andrea sulle pagine del nostro Blog.

Subacqueodisuperficie: Leggendo il tuo libro, emerge in modo chiaro come la tua esperienza alle Azzorre ti sia rimasta dentro, quando si è fatta strada nella tua testa l'idea di scrivere questo libro?

Andrea Izzotti: L’idea è nata lo scorso anno, quando ho finito di leggere il libro di Maddalena Jahoda, Balene Salvateci! (che ha poi scritto la prefazione dei Giganti delle Azzorre. La sua esperienza alle Azzorre, raccontata magistralmente, mi ha fatto scattare l’idea di entrare in acqua con questi placidi animali. Con l’aiuto di Maddalena ho contattato Enrico Villa di CWAzores, esperta nel fornire appoggio anche professionisti. Enrico mi ha indirizzato verso la giusta direzione nella redazione delle richieste di autorizzazione ad immergermi con i capodogli. Ho presentato un progetto che prevedeva la realizzazione di un libro su questi mammiferi marini, ma quando sono stato alle Azzorre il progetto si è espanso sino a coinvolgere le diverse tematiche affrontate nel libro.

Subacqueodisuperficie: Hai fatto un gran lavoro di ricerca bibliografica, quello che colpisce sono i numeri, la maggioranza della mattanza, un vero e proprio olocausto marino (mi rendo conto che il termine è un po' forte, specie perché evoca altri orrori), è avvenuta con arpioni a mano, per questo le cifre riportate sembrano anche più incredibili.

Andrea Izzotti: Non ho usato la parola olocausto nel libro, per rispetto a quello che rappresenta questo termine con riferimento agli umani. In realtà se è vero che temporalmente gettare arpioni a mano nel corpo degli animali è avvenuto per un numero considerevole di anni, la vera mattanza di animali con numeri incredibili si colloca tra gli anni 50 e gli anni 80 del secolo scorso, dietro l’angolo. L’uso dei cannoni per sparare gli arpioni ha purtroppo trasformato la caccia in un eccidio.

Subacqueodisuperficie: Nel tuo libro ad un certo punto affronti il delicato rapporto tra i cetacei/mammiferi marini e l'uomo contestualizzandolo nelle varie epoche, perché questo distinguo per te era necessario?

Andrea Izzotti: Perché anche io sono emotivamente coinvolto e l’ira non lascia ragionare. Era necessario comprendere le ragioni storiche dell’inizio e dello sviluppo della caccia ai cetacei per evitare di cadere in facili estremismi. Proprio la mia esperienza alle Azzorre, dove questo equilibrio tra esigenze di sopravvivenza umana e di quelli che simpaticamente chiamo i “testoloni neri” ha subito una trasformazione radicale in pochissimo tempo, mi ha aiutato a comprendere dove cercare il punto di equilibrio.

Subacqueodisuperficie: Quanti libri hai pubblicato sino ad ora?

Andrea Izzotti: Il mio primo libro è “Racconti dal blu e altri colori” dedicato a ricordi di viaggi

Ho poi pubblicato “Zena, storia di un orca” ( vi rimando al post in cui ne parlammo https://subacqueodisuperficie.blogspot.com/2020/06/zena-storia-di-un-orca-intervista.html), dove porto il lettore, come hai scritto tu a scendere in acqua con questi animali, a “orchizzarsi” per dirla alla Gandino

Durante la pandemia ho dato fondo ai miei archivi e ho pubblicato una collana di libri fotografici “nati per essere liberi”, sono 20 libri dedicati ad animali marini e terrestri, con l’ultimo dedicato a zoo e circhi. Per ogni uscita ho fatto una diretta facebook con esperti degli argomenti trattati.






Subacqueodisuperficie: Ritieni che Moby Dick di Melville sia stato per il pubblico, un po' per i suoi tempi, come "Lo squalo" di Steven Spielberg, ai nostri?

Andrea Izzotti: E’ un’ottima domanda, visto quello che lo squalo ha provocato. Indubbiamente come leggerai nel libro, la balena è stata vista come un mostro per centinaia di anni e Melville ha portato questo mostro al punto più alto dal punto di vista letterario. La differenza sta nei mezzi di comunicazione. Lo squalo ha portato la paura dentro ciascuno di noi a livello concreto. Ogni volta che sono entrato in acqua dopo quel film avevo il timore che mascelle potentissime mi afferrassero e mi trascinassero negli abissi. Su Moby Dick, a cui è dedicato l’ultimo capitolo de I giganti delle Azzorre, sono stati scritti fiumi di parole e decine se non centinaia di libri. Si va da quelli classici che analizzano testo e significato a quelli che vedono allegorie alle quali, a mio avviso, Melville non aveva minimamente pensato. Vi è un testo ad esempio che vede in Moby Dick, l’allegoria dello schiavismo. Pensa: i capodogli sono normalmente neri, ma Moby Dick… è bianco.

Tornando alla tua domanda e proseguendo nella risposta devo dire che anche a livello concreto l’immediatezza del pericolo de lo squalo è più palpabile, al di là del centinaio di anni tra Moby Dick e il film Lo squalo: tutti quelli che fanno il bagno in mare immaginano più un incontro con uno squalo che con una balena, alla fine dell’800 non solo vi erano milioni di balene ma anche centinaia di milioni di squali in più, rispetto ai giorni nostri, dove queste specie sono minacciate dall’estinzione.

Il pubblico che leggeva Melville probabilmente non ha mai visto una balena viva, mentre chi ha “visto” lo squalo ha avuto un racconto per immagini, molto più immediato e “terrificante”

Subacqueodisuperficie: come verrà distribuito il tuo libro?




Andrea Izzotti: Come gli altri miei libri è un’auto-produzione stampata e distribuita da Amazon. Questo è interamente a colori e contiene ben 77 tra immagini e fotografie, quasi tutte scattate da me.

Il libro è in tre versione copertina morbida, copertina rigida e Ebook.

https://www.amazon.it/dp/B09S1ZVXGF/

Subacqueodisuperficie: se qualcuno volesse, incuriosito dal tuo libro, vivere l'esperienza del whale whatching?

Andrea Izzotti: Si può fare whale watching in Italia con possibilità di avvistamento clamorosamente alte (intorno al 98%). Io vado in Liguria con gli amici di Golfo Paradiso Whale Watching; l’altra società che opera è il Consorzio Liguria Via Mare. La stagione va da Aprile a Ottobre e sui siti degli operatori vi sono tutte le informazioni necessarie.

Subacqueodisuperficie: ti ringrazio ancora una volta per averci fatto visita.

Andrea Izzotti: Un ringraziamento lo faccio a te Fabrizio. E’ grazie a persone che hanno un cuore e una testa come la tua, che sono fiducioso per la direzione che dobbiamo intraprendere in futuro per garantire ai nostri figli e ai figli dei nostri figli di poter godere degli spettacoli naturali ai quali ho avuto la meravigliosa fortuna di assistere. Mentre ero in acqua con un capodoglio davanti a me ho pensato… ma quanti nel mondo hanno fatto questa cosa folle che sto facendo? 

Subacqueodisuperficie: Chiudo con una dedica personale che credo in pochi potranno davvero coglierne la citazione: Caro Andrea, sono sicuro che George e Grace avrebbero ringraziato e apprezzato il tuo impegno.

Andrea Izzotti: Ci ho messo un po’ ad arrivarci…è una citazione cinematografica dotta. Chi leggerà il libro comprenderà l’importanza del film a cui tu fai riferimento (Star Trek IV – Rotta Verso la terra) che è del 1986, un anno importantissimo per le balene.


Questo lavoro è stato eseguito sotto l'autorizzazione SAI-DRAM/2021/857 SGC0060/2021/4539 Proc. 120.12.02/124 rilasciata dal Governo del Portogallo il 16 giugno 2021. Tutte le precauzioni indicate nel progetto sono state prese dai professionisti per evitare il disturbo agli animali durante l'esecuzione delle operazioni. Secondo la legislazione regionale il nuoto con balene e altri cetacei che non siano delfini è vietato nelle Azzorre.


Buone bolle, buoni "spruzzi" e buona lettura


Link:

https://www.andreaizzotti.it/

https://www.instagram.com/andrea_izzotti/?hl=en

https://www.amazon.it/dp/B09S1ZVXGF/


Fabrizio Gandino

"Subacqueodisuperficie"




domenica 4 aprile 2021

Tre Numero Perfetto....


Immagine della diretta di Venerdi 19 marzo 2021


Prima di approfondire il titolo di questo Post, preciso che parliamo di subacquea ricreativa, d'altro canto queste sono “Cronache di Subacquei di Superficie” e quindi di questo si parla.

L'evento sul Web annunciato nel pezzo precedente ha avuto luogo regolarmente e ha avuto un buon successo, merito indiscusso di un un emozionatissimo Marco Moretti e di Riccardo Tognini che ha organizzato la diretta.


 

Si è parlato di subacquea, di fotografia subacquea, con qualche divagazione sulla videoripresa facendo alcuni distinguo e confronti (posti da Salvatore Fabiano), molte precisazioni grazie all'intervento di Stefano Gradi, fotografo subacqueo che non ha certo bisogno di ulteriori presentazioni.

Tra i vari punti toccati anche quello della sicurezza, non nego di essere stato io a lanciare la provocazione e mi ha fatto piacere comunque vedere che è stata raccolta con onestà dai presenti.

Non siamo pesci e non siamo nati con le branchie, ci muoviamo in un ambiente meraviglioso facendo esperienze straordinarie, ma potenzialmente ostile.

Con questo non voglio demonizzare la subacquea ricreativa, tutt'altro, personalmente a pedalare (ma anche solo correre) in una statale trafficata di mezzi pesanti e auto che sfrecciano rischio a parer mio molto di più, ed allora dove voglio andare a parare?
 



Facciamo un passo indietro: siete un sub provetto (o ritenete di esserlo), avete fatto tutti i sacrosanti corsi, sono anni che vi immergete, avete un attrezzatura subacquea collaudata e conoscete la vostra attrezzatura fotografica che potreste adoperarla quasi ad occhi chiusi.

Il vostro buddy vi segue come un ombra, è una sorta di monaco buddista sott'acqua dal momento che vi segue senza perdere la pazienza, nelle vostre interminabili soste su ogni soggetto che attira la vostra attenzione e vena artistica.

L'immersione va da Dio, è una bella giornata, il mare è calmo, la visibilità che sembra di guardare attraverso una bottiglia di acqua Levissima, l'acqua non è ne troppo calda ne troppo fredda e le creature marina di ogni famiglia, sottordine e specie sono tutte preda da una vena di esibizionismo e fanno la coda per farsi immortalare.


 

Voi siete tranquilli e comunque il vostro fido buddy vi tiene d'occhio, e tiene d'occhio il manometro ed il computer (badando che non si carichi troppa deco) mentre voi assorti da tanto ben di Poseidone, macinate scatti su scatti, giocate sui tempi di esposizione, posizionate i flash ecc.

Una situazione idilliaca vero? State una serie di scatti ad una aragosta in tana, che agita le sue antenne che sembra cercare il segnale di Mediaset, quando vi prende una spiacevole sensazione. vi girate, non vedete il vostro buddy, allora cercate di ricordare in che posizione era l'ultima volta che lo avete visto, vi guardate intorno e non lo vedete, oppure vi girate e lo trovate, è in difficoltà.

Che fare? Manco a dirlo! Bisogna aiutarlo! E' la base del “sistema di coppia”...ma...si c'è un “Ma”: avete in mano qualche migliaio di euro di attrezzatura fotografica, piuttosto ingombrante, dovete avere le mani libere per aiutarlo...come fate? Esitate, è umano, negarlo sarebbe da ipocriti.

Ok Fabrizio hai detto la tua, ma che si fa non si scattano più foto in acqua? La mia opinione è che se si è in un range molto basso 5-6 metri si può anche andare in due (Buddy più fotografo o cineoperatore), ed anche così a parer mio siamo al limite, oltre no.

Ed allora!?


 

Tre numero perfetto” cantava Marina Massironi nello spettacolo “Tel chi el telun” di Aldo, Giovanni e Giacomo, quindi un operatore foto/video e due buddy oppure operatore + modella/o + buddy.

Possiamo raccontarcela finchè ci pare, ma il “sistema di coppia” sulla quale si basa la subacquea ricreativa fa affidamento sulla mutua vigilanza/assistenza reciproca, se la si vuole praticare in sicurezza.

Meditate gente...meditate!


Buone Bolle! E Buoni scatti!




Fabrizio Gandino


Subacqueodisuperficie”