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venerdì 21 ottobre 2022

Capo d'Acqua: un momento congelato nel tempo

 Questo pezzo apre l'esordio di Matteo Stanzani che da questo inserto comincerà a collaborare con il Blog, non perdo altro tempo e lascio la parola a lui.

 


 

Salve a tutti oggi parliamo di una Location davvero unica nel suo genere in tutta la nostra penisola si trova nell'invaso idrico di Capo D'Acqua (Comune di Capestrano) in provincia dell'Aquila. Incastonato nel Parco nazionale del Gran Sasso, a circa un centinaio di chilometri da Roma, è possibile immergersi per ammirare i resti di due mulini medioevali. La ragione dell'opera idraulica trova necessità nel bisogno irriguo dei terreni circostanti. Nato tra le antiche linee di confine del regno Borbonico, Stato pontificio e Capestrano (per diverso tempo sotto la signoria di Firenze), la zona consta di 12 chiese edificate lungo la linea di transumanza degli allevatori, che si muovevano con il bestiame da e verso la Puglia. Tali opere furono realizzate dall'Ordine dei Cavalieri Templari, su disposizione del Papa Celestino V al fine di favorire lo scambio delle merci, offrire un riparo e mitigare gli scontri tra le popolazioni locali, piuttosto frequenti all'epoca.


 

L'immersione che ci si accinge a compiere sotto questo specchio d'acqua di un colore turchese, sarà nella fredda acqua sorgiva, che consente una trasparenza inimmaginabile. Pinneggiando si arriva al primo mulino (stando ben attenti a stare alla giusta distanza dal fondo). L'impatto visivo riesce ad impressionare anche i subacquei più girovaghi del mondo. La sensazione è quella di vagare nella Storia e nel Tempo! Il primo mulino è quello che si è conservato peggio, tuttavia si può agevolmente individuare tutto il perimetro della struttura e i muretti a secco. Passando al secondo si può notare gli archi di pietra e le pareti con un masso incastonato avente un foro passante, dove venivano legate le cavalcature. 


 Un percorso sicuramente suggestivo, un piede nella storia (o una pinna, fate voi), tanto che alla fine dell'immersione si continua a guardare e girellare nel sito nonostante il freddo, sospesi nell'atmosfera liquida di un posto magico.



Matteo “Masdepaz” Stanzani




 

 

 

 

 

                                                     


 

Per anni ero stato vittima della “Maledizione di Capo d'Acqua”, ogni volta che si programmava quel tuffo capitava qualcosa che mi impediva di andarci, il che era diventato un bel po' frustrante, al punto da metterci quasi, con una sorta di fatalistica rassegnazione, una pietra sopra.

Potete quindi capire quindi, quando a margine della stagione estiva, Matteo mi chiama al telefono e mi dice che si vorrebbe organizzare un uscita a Capo d'Acqua (AQ) e se la cosa poteva interessare qualcuno del nostro gruppo, non riuscì a terminare la frase che avevo etusiasticamente già accettato.


Ma cos'è Capo d'Acqua? Dovete sapere che nel parco nazionale del Gran Sasso, a 180 chilometri da Roma, e una quarantina dall'Aquila, c’è un piccolo lago artificiale che è entrato nella classifica dei migliori posti al mondo dove fare immersioni. Alle pendici occidentali del Monte Scarafano, le acque delle sorgenti di Capo d'Acqua sono invasate in un bacino artificiale collegato ad un sistema di irrigazione che alimenta una centrale idroelettrica che alimenta una stazione di pompaggio che convoglia le acque dell'invaso verso i Comuni siti a quote più alte per fini agricoli/irrigui. Le sue acque fredde e cristalline arrivano dalle fonti da cui prende il nome: sorgenti di Capo d’Acqua. Il bacino artificiale nasce nel 1965 dopo la realizzazione di una diga costruita per sbarrare il corso del Tirino e per convogliare l’acqua nei campi dove si coltivava il grano. La suddetta diga nata per sbarrare il corso superiore del Tirino, poco più a valle delle sue sorgenti, in prossimità della omonima frazione di Capestrano (Caput Aquae). Il bacino è alimentato da numerose sorgenti naturali immettono nel bacino continui flussi di acqua fresca e limpidissima che confluiscono a valle nel Tirino. Tuttavia questo da solo non spiega perchè questo piccolo lago di altura è stato definito nel panorama turistico internazionale, la “piccola Atlantide d’Abruzzo”.


L'area era intorno al 1100' sotto l'influenza dei Medici, già signori di Firenze, nel sito dove oggi troviamo il Lago artificiale esisteva anticamente un mulino appartenuto alla famiglia Verlengia di Capestrano, e un colorificio costruiti in prossimità della sorgente di Capo d'Acqua. Il colorificio è oggi ancora visibile in superficie, mentre il mulino di circa 400 mq, in buono stato di conservazione, (salvo i danni riportati nel terremoto dell'Aquila che ha fatto crollare un arco) è completamente immerso nell’acqua cristallina del lago ed è caratterizzato dalle antiche tecniche murarie costruttive tradizionali. Di grande impatto sono i resti di due arcate murarie e le piattabande in legno di porte e finestre. Il complesso è costituito da due mulini distinti, realizzati in epoche differenti anche se relativamente vicine nel tempo. Più vicino alla sorgente è presente un altro mulino più piccolo, probabilmente un ampliamento dell’altro. Intatto è il selciato dei viottoli antichi che un tempo veniva percorso dai contadini con il loro carico di grano. Il sito sommerso, ha un che di affascinante e misterioso, la bassa temperatura delle acque, restando costante intorno ai dieci gradi tutto l’anno, impedisce il proliferare di alghe e piante lacustri e garantisce un'ottima visibilità, eccezione fatta per la strafificazione dei semi di salice che anno dopo anno affondando nell'acqua hanno creato una coltre sul fondo che è meglio non smuovere. Va detto però che anche quando questo malauguratamente accade si sedimenta piuttosto rapidamente.


La profondità massima è di circa 9 metri, la visibilità arriva anche a 70, il che aggiunge un senso di irrealtà a questo luogo che sembra congelato nel tempo. L'acqua cristallina e la realativa vicinanza delle rovine alla superficie, riflettendole in una sorta di cielo al contrario, mi ricordano alcuni lugometraggi di animazione di Hayao Miyazaki . L'immersione in sé dura poco più di 35/40 minuti, ma le emozioni che trasmette non vi abbandoneranno più. L'immersione è piuttosto semplice, ed è aperta a subacquei di qualsiasi livello purchè muniti di brevetto, ovviamente si deve avere l'accortezza di seguire le disposizioni dell guide rimanendo a debita distanza dalle rovine e dal fondo del lago. Per quel che riguarda l'attrezzatura io consiglio la muta stagna o una buona semistagna con sottomuta, sebbene Francesco e Francesca, del nostro gruppo abbiano coraggiosamente sfidato il lago in umida (era il 9 ottobre del corrente anno) senza riportare danni. Per quanto riguarda gli erogatori è sufficiente un 


Octopus, ma avere anche delle degli adattatori da Din a Int per l'attacco bombole non guasta.  Il mio consiglio è quello di organizzarvi un bel weekend che comprenda non solo l'immersione nel lago, ma anche nella spendida natura incontaminata che circonda questa piccola perla, fidatevi non rimarrete delusi dall'accoglienza e dalla cucina locale che è già da sola un esperienza positiva che non dimenticheremo facilmente (neppure le nostre mute). Questi luoghi erano l'ambientazione originale della storia di “Ladyhawke” e in parte da queste parti furono girate alcune scene del film del 1985 diretto da Richard Donner con Matthew Broderick, Rutger Hauer e Michelle Pfeiffer; vi segnalo inoltre che nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, immerso in una natura incontaminata vi è anche un grande patrimonio di vasto interesse archeologico (ricordiamo il GUERRIERO di Capestrano). 


 

Alla fine si riparte per tornare a casa con un esperienza in più e devo dire a malincuore vista l'accoglienza ed i luoghi che meriterebbero decisamente più tempo, ma è soltanto un arrivederci mi sa.





Buone Bolle!!!



Link:

https://www.atlantidesub.com/33-Immersione-tra-i-mulini-sommersi.html


 
 
I mulini sommersi di "Capo d'Acqua"




Fabrizio Gandino

Subacqueodisuperficie”


 

domenica 12 luglio 2020

Il Mare nel secchiello, uno spunto per i giovani futuri sub

Delle attività che mi ha sempre dato maggiore soddisfazione, che il Casio Divers Group persegue, mi manca particolarmente quella di divulgazione con i bambini, sono delle spugne nel senso più completo del termine, e come molti, coltivo la speranza che potranno essere degli adulti migliori di noi. Ho sempre pensato che si finisce per distruggere per lo più per ignoranza, che se insegni ad apprezzare la bellezza, la complessità delle diverse e tante forme di vita non puoi rimanere indifferente. Lo so  è difficile mantenere quella curiosità tipica dei bambini, ma altresì lo trovo un esercizio stupendo per non rischiare di divenire indifferenti e dare per scontato qualsiasi cosa. L'educazione al rispetto dell'ambiente, nel nostro caso del mare nella fattispecie, è rispetto del mondo che ci circonda ed in prima ed ultima analisi rispetto per noi stessi.
Non vi tedio oltre e vi invito a leggere questo post di Marco Colombo, con curiosità e con quel sorriso che vi comparirà in volto ricordando le nostre prime esperienze con i piedi a bagno, quando la preoccupazione più grande era "cosa fare nelle tre ore dopo mangiato prima di poter fare il bagno".
Per converso però, pubblico anche un altro intervento di Lorenzo Brenna, con una diversissima scuola di pensiero, questo per par condicio e per dare ad ogniuno di voi la possibilità di formarsi una sua opinione.
Buona Lettura.

Fabrizio Gandino
"Subacqueodisuperficie"















Il Mare nel Secchiello


Come ogni anno, con l’arrivo della bella stagione rispunta la regolare diatriba tra chi lascia i bambini in spiaggia con secchiello e granchi, e chi invece condanna queste pratiche.
Di seguito vi racconterò il mio punto di vista, che spero possa ispirarvi e innescare una discussione costruttiva sull’argomento, ricco di sfaccettature.
Quello a cui mi riferisco non è ovviamente mettere le meduse a cuocere sugli scogli per “bonificare” il mare (un atto stupido).


Un caso tipico di scontro sono le stelle marine: nonostante alcune specie vivano, per esempio in Nuova Zelanda, nelle pozze di marea e sopravvivano regolarmente all’emersione (qui una bellissima foto: https://www.pinterest.it/pin/365706432217077511/), le specie mediterranee più vistose si rinvengono usualmente ad alcuni metri di profondità, e quindi portarle fuori dall’acqua anche temporaneamente potrebbe arrecare danni al loro sistema acquifero. L’invito è di non andare con maschera e pinne a raccattare animaletti in profondità per poi portarli in spiaggia, ma di concentrarsi nell’osservazione di ciò che vive nelle pozze di marea, nei primi centimetri d’acqua.
Gli animali delle pozze di marea, come granchi, gamberi, molluschi e piccoli pesci, sono dei veri eroi: vivono in uno degli ambienti più difficili del mondo.
Portale AMP Portofino
Pozza di marea

Bombardati dalle mareggiate, schiacciati da onde d’urto immani, sempre a contatto con rocce taglienti, cotti dal sole estivo o esasperati dalla salinità delle pozze, questi animali (e pure le alghe) sono stati selezionati dall’evoluzione per resistere a tutto.
In particolare:
- Alcune specie, come i granchi Pachygrapsus marmoratus ed Eriphia verrucosa, riescono a resistere tranquillamente a condizioni di salinità e temperatura molto elevate, legate all’evaporazione nel periodo estivo
- Molte specie, a causa dell’escursione delle maree, sono in grado di sopravvivere a lunghi periodi di emersione, trattenendo l’acqua al loro interno (es. il pomodoro di mare Actinia aequina) o comunque nella conchiglia (vari molluschi); certe alghe hanno apposite strutture di raccolta dell’acqua per mantenersi idratate e vive e sopravvivono anche per giorni all’asciutto
- La forma di conchiglie come quelle delle patelle permette loro di diminuire le turbolenze e resistere all’impatto delle onde senza farsi trascinare via; alcune alghe sono molto elastiche, per smorzare l’attrito e assecondare l’acqua, mentre certe spugne sono piatte, aderenti alla roccia, per non farsi strappare via
- I pesci delle pozze non hanno di solito vescica natatoria, dovendo rimanere vicino al fondo, inoltre il loro corpo è ricoperto di muco per diminuire le abrasioni contro le rocce; addirittura la bavosa Coryphoblennius galerita può uscire volutamente dall’acqua, di notte, per ripararsi dai predatori subacquei, e riposare appena sopra la superficie, su sporgenze di moli e rocce
È davvero quindi un maltrattamento mettere un granchio in un secchiello per guardarlo? Dipende solo dai genitori.

Se questi ultimi infatti sono assenti, non guidano i figli e non li educano, i bambini fanno un po’ a caso e possono, più o meno volontariamente, uccidere o maltrattare gli animaletti.
Genitori sensibili e presenti invece possono trasformare l’esperienza della spiaggia col secchiello in qualcosa di estremamente educativo e bello: quando ero piccolo passavo tutto il giorno sugli scogli alla ricerca di paguri, granchi, succiascogli e trivie.
Montale li avrebbe chiamati “Sugheri, alghe e asterie, le inutili macerie del mio abisso”, ma per me erano un microcosmo affascinante in cui perdermi: li guardavo nelle pozze, e a volte li mettevo nel secchiello (foto a sinistra, avevo 4 anni). Una volta ho addirittura salvato un cavalluccio marino da una mareggiata. Ho così imparato come respira un granchio, ho toccato con mano il piede della patella, ho ammirato i colori del nudibranco. Non ho mai torturato nessuno e tutti sono stati rilasciati illesi dopo pochissimo; se so tante cose oggi, è anche grazie a questa attività, che come unica controindicazione aveva tutte le cadute che mi sono fatto, con tagli colossali sulle gambe (vedi foto nel primo commento).
Come detto sopra, gli animaletti delle pozze di scogliera sono molto resistenti: non sono di certo pochi minuti in un secchiello a far loro del male.

Come praticare al meglio questa attività?
1) Educa i tuoi bambini al rispetto e all’empatia, controlla come si comportano nei confronti degli animaletti e guidali verso un atteggiamento corretto, gli animali non sono giocattoli
2) Portali al mattino e alla sera, quando il sole è meno forte, ad esplorare le pozze di marea, lasciando stare tutto ciò che vive a più di 50 cm di profondità e concentrandoti solo su animaletti mobili (non sessili)
3) Favorisci sempre la sola semplice osservazione nella pozza rispetto alla cattura
4) Se proprio devi mettere un animale nel secchiello, maneggialo con delicatezza, senza stringere, e senza lasciarlo dentro per ore (avranno anche i cazzi loro da fare no?); l’acqua nel secchiello deve essere fresca
5) Insegna ai tuoi figli che una volta osservati vanno immediatamente liberati nello stesso punto in cui li avete trovati
6) Mai provato la pedicure coi gamberi? Mettete i piedi in una pozza, i gamberetti del genere Palaemon vi solleticheranno per staccare piccoli pezzi di pelle con le loro chele. Provare per credere!
Concludendo, l’osservazione degli animali tra gli scogli è estremamente istruttiva e gratificante; qualora si tratti di specie mobili comuni e adattate alla marea, la manipolazione temporanea, senza maltrattamenti o essiccazione, non arreca danno sotto la supervisione di un adulto senziente.

Ma, soprattutto, iniziate i vostri bimbi alla bellezza del mare “oltre” la spiaggia: ho imparato a nuotare seguendo il papà con maschera e pinne (foto a destra), perché nella fretta di andare a vedere i pesci ho dimenticato i braccioli appena comprati per l’occasione. Il mare mi ha accolto nelle sue braccia, e da allora non mi ha mai abbandonato, e io cerco con la divulgazione e la sensibilizzazione di non abbandonare mai lui.
Quella linea dove il cielo incontra il mare da sempre mi chiama.
www.calosoma.it


Marco Colombo

Link dove troverete questo post in originale: https://www.facebook.com/search/top/?q=scubabiology&epa=SEARCH_BOX 


L’iniziativa Secchiello stop

Estate, tempo di vacanze e di giornate al mare, tempo di sole e di relax. Il clima spensierato non è però condiviso da tutti, da decine di secchielli si levano infatti mute grida d’aiuto emesse da una grande varietà di piccole creature marine. In quasi tutte le spiagge della penisola è possibile assistere alle medesima scena, un bambino che, armato di retino e secchiello, cattura qualsiasi cosa si muova, piccoli pesci, granchi, paguri, patelle, ricci di mare, meduse e oloturie. La fine di questi animali è quasi sempre la stessa: vengono lasciati ore e ore nel secchiello, sotto il sole, mentre l’acqua si scalda raggiungendo presto temperature insopportabili, condannando i prigionieri ad una lenta agonia.
Per contrastare questi comportamenti è stata lanciata in diversi comuni liguri l’iniziativa Secchiello stop, campagna di sensibilizzazione nata per educare i bambini, ma soprattutto i loro genitori, a rispettare gli animali marini. L’iniziativa, promossa dal Lions club di Diano Marina, coinvolge le spiagge della Riviera di Ponente, situata nella parte occidentale della Liguria, e mira a vietare la raccolta di animali marini per puro divertimento.


I protagonisti di queste scorribande tra spiagge e scogli sono i bambini, la responsabilità è però, chiaramente, da ascrivere ai genitori. Questi ultimi infatti chiudono un occhio (spesso entrambi) su tali passatempi dei figli, credendo che siano giochi innocenti e senza conseguenze. Le conseguenze ci sono invece, e sono “molto gravi – ha spiegato la biologa Monica Previati. – Il problema sta nei numeri: se tutti i bambini e i ragazzi e gli adulti, che ogni estate trascorrono le vacanze lungo le coste italiane, prendessero anche solo un piccolo animale al giorno, centinaia di migliaia di esemplari verrebbero uccisi per niente, solo per poter far trascorrere mezz’ora di gioco ai nostri figli e di relax a noi. Prendere un granchio o una stella marina e metterli nel secchiello equivale a una loro morte certa”. Oltre all’effettivo danno ambientale viene impartita una lezione discutibile al bambino, che impara che è possibile disporre a proprio piacimento delle creature più deboli e indifese


Oltre che immorale tale condotta è anche illegale, viene infatti violato l’articolo 544 del Codice penale che recita, “Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro”.
È possibile però soddisfare la naturale curiosità dei bambini senza nuocere agli animali, osservare gli animali nel loro habitat, immergendosi con la maschera o semplicemente camminando a ridosso delle scogliere, è estremamente più soddisfacente, osservando il vero comportamento di queste creature, non la loro morte in un secchiello di plastica.

 Lorenzo Brenna


Link dove troverete questo post in originale: https://www.lifegate.it/secchiello-stop-basta-animali-maltrattati-spiaggia
 

sabato 11 aprile 2020

Compensare con Federico Mana


Ero alla mia seconda immersione da neobrevettato, ci trovavamo allo Scoglietto, Isola d'Elba, dinanzi a Porto Ferraio, doveva essere un immersione semplice sui 15 metri. Con me c'era Michele, e Alessandro, un dive master che mi aveva seguito durante il corso insieme agli istruttori. Ero piuttosto ansioso di tornare in acqua, ed ero appena tornato dalla Sardegna. Avevo fatto la mia prima immersione da brevettato sul relitto della Eurobulker IV, e la seconda immersione era andata a farsi benedire, perchè la mattina il gommone aveva centrato un palo sommerso nel vecchio canale della laguna di S.Antioco, poi si era alzato il maestrale... più niente da fare. L'immersione era cominciata bene una discesa sui sette- otto metri, graduale, ma subito dopo qualcosa era cominciato ad andare storto, provavo a compensare ma non ci riuscivo efficacemente. Fu questione di istanti, eravamo sotto da non più di una ventina di minuti, quando un fastidioso dolore all'orecchio destro mi procurava dolori piuttosto fastidiosi. Feci quello che mi era stato insegnato, risalii un poco riprovai a compensare, ma se possibile la situazione peggiorava ulteriormente. Niente da fare insomma, risalimmo alla barca e gli altri due tornarono sotto, io con le pive nel sacco rimasi su per il resto del full-day, stagione conclusa. Mi recai dall'otorino per una visita spiegandogli l'accaduto, mi disse che avevo il setto nasale un po' deviato, o smettevo con la subacquea o mi dovevo far operare al setto nasale... superfluo dire che la “sentenza” non pi piacque neppure un po'. Un paio di settimane più tardi ci ritrovammo, con molti dei presenti al full-Day dello Scoglietto, a Lucca per un evento, mi chiesero com'era andata la visita. Raccontai che avevo il setto nasale deviato ecc, per tutta risposta chiamò altri tre ragazzi li presenti che si immergevano da anni, dicendomi che lui stesso e i tre in questione avevano il setto nasale deviato. Superfluo dire che la cosa mi rincuorò non poco; mi dissero che era una situazione piuttosto comune e che, dovevo imparare a conoscermi meglio e scendere compensando spesso o capire quando era necessario. L'occasione arrivò in primavera dell'anno successivo, al fine di ottenere performance ottimali ed evitare fastidiosi e pericolosi barotraumi, compensare è qualcosa di fondamentale sia per immersioni ARA che in apnea ed in

quest'ottica il 18 di Aprile 2013 presso il il Circolo Nautico Marina di Carrara “LA NUOVA ROTTA ASSOCIAZIONE SPORTIVA DILETTANTISTICA CARRARA “ aveva organizzato una serata formativa. Presenti all'appuntamento per il C.S.D. Eravamo Sammy Colaizzi, Michele Moffa ed io. La serata in oggetto costituiva il primo step formativo per permettere agli apneisti di avvicinarsi alle manovre di compensazione più evolute. Ci trovammo al solito punto d'incontro con gli altri ragazzi dell'Apnea Academy a Chiesina Uzzanese e poi, organizzati, partimmo alla volta di Carrarra. Docente d'eccezione, è il caso di dirlo, era Federico Mana campione italiano di apnea profonda, il primo italiano ad essere sceso a -100 metri. La sala era gremita e all'ingresso tutti ricevemmo una curiosa confezione con un palloncino. 

Si trattava dell' Otovent, un palloncino in lattice per uso medicale, che deve essere gonfiato con il naso per normalizzare la ventilazione dell’orecchio medio venuta meno per cause flogistiche, fisiche o degenerative. L’incontro era di carattere teorico pratico e non prevedeva sessioni in acqua. L'atmosfera era rilassata e distesa, la nostra anfitrione, Cristina, non perdette tempo e ci introdusse il nostro docente. Il campione italiano iniziò subito marcando le differenze tra i tre sistemi di compensazione più conosciuti: la manovra di Valsalva, la manovra di Frenzel e per ultima, il gotha di ogni apneista, la Hands free. Quello che colpì subito gli astanti fu senz'altro l'approccio dinamico dell'esposizione che mise tutti a proprio agio, neofiti come apneisti più scafati. La manovra classica, detta di Valsalva, (dal 

nome dell'anatomista Antonio Valsalva che la utilizzava per curare l'otite purulenta) prevede che il subacqueo chiuda le narici con le dita e soffi contro la resistenza dovuta alla chiusura del naso. In questo modo l'aria viene sospinta verso le tube di Eustachio e, attraverso queste, nell'orecchio medio dove equilibrerà la pressione idrostatica esercitata dall'acqua presente all'esterno del timpano. Come evidenzia subito Federico, questa manovra richiede uno sforzo notevole che la rende inefficace durante un immersione in apnea a testa in giù, per un subacqueo, risulta più emplice sotto questo aspetto grazie alla scorta d'aria. Più efficace se correttamente eseguita, è di la manovra di Marcante-Odaglia, nota nel mondo come Manovra di Frenzel, tecnica che prevede che il subacqueo chiuda il naso con le dita e poi sollevi la lingua in alto e indietro (non la punta ma la parte posteriore) in modo da sospingere l'aria contenuta nella bocca verso le tube di Eustachio. Infine la hands free che invece consiste nel riuscire ad aprire l'ostio 

delle tube tramite movimenti dei muscoli faringei per consentire all'aria di defluire, senza l'utilizzo delle mani, cosa che pochi fortunati riescono ad eseguire in automatico, grazie alla conformazione delle tube. Da una rapida indagine in sala apprendiamo che il 90% degli astanti applica la Valsalva correntemente...o meglio pensa di applicarla. Ci viene spiegato che la compensazione solitamente avviene in modo innato ed istintivo, pertanto impadronirsi della tecnica e del controllo delle strutture deputate alla compensazione non è soltanto una questione di predisposizione fisica ma anche di tecnica ed educazione alla conoscenza del nostro corpo e dei meravigliosi meccanismi che lo regolano. La serata proseguì con il supporto di mezzi audiovisivi volti ad evidenziare sia gli errori commessi che le abilità manifestate. Fondamentali gli esercizi per raggiungere una “capacità compensatoria fine”, gli esercizi con 

il protocollo OTOVENT; normalmente il Metodo Otovent integra il piano terapeutico farmacologico, chirurgico, termale ed il programma di rieducazione tubarica impostati dallo specialista.
Otovent è calibrato per esercitare una pressione fisiologica sufficiente a ventilare l’orecchio medio attraverso la
Tuba di Eustachio. Il nostro uso durante la serata servì ad evidenziare come spesso istintivamente riusciamo a controllare, bloccare l'aria all'interno delle nostre vie aeree superiori veicolandola in modo più o meno consapevole per estroflettere la membrana timpanica attraverso le Tube di Eustachio. Il concetto ribadito da Federico Mana, si basa sulla sua esperienza personale fatta anche di diversi barotraumi all'inizio della sua carriera, è che il controllo delle proprie vie aeree si può acquisire con esercizi che ci rendano consapevoli del nostro corpo. Gli esempi e gli esercizi si susseguirono, con episodi di vere e proprie 


regressioni infantili tra l'ilarità generale......date ad un adulto un palloncino e ….. Non tutti riescono ad eseguire correttamente gli esercizi, cosa che sembrerebbe confermare le dichiarazioni del campione, che sostiene che quello che per alcuni è innato può essere raggiunto da altri attraverso l'esercizio e la concentrazione fino a renderlo un automatismo. In conclusione posso dire che la serata è stata utile ed istruttiva ed ha mantenuto le sue premesse:vale a dire gettare le basi per i presupposti di una nuova consapevolezza: Certo la strada era lunga, ma possibile. Vivamente consigliata la lettura del libro La compensazione evoluta. Dalla compensazione oltre il limite respiratorio alla manovra hands free” di Federico Mana ed una visita ai link riportati di seguito. Un aneddoto: il Mana ci raccontò che al terzo barotrauma, l'Otorino che lo visitò lo esortò ad abbandonare l'apnea come sport, perchè non adatta a lui, mi pare che i record smentiscano questa affermazione...non credete?



Youtube:
http://www.federicomana.com/eventilist.asp

Buone Bolle!


Fabrizio Gandino
Subacqueodisuperficie”

giovedì 9 aprile 2020

San Pietro: la grotta della Porcellana


Ero ancora un bambino, allora i canali televisivi disponibili si contavano sul palmo di una mano e avanzava pure un dito, l'offerta televisiva era fatta di spettacoli di varietà qualche film, qualche telefilm e i documentari. La nostra TV era una Philips in bianco e nero, i colori te li dovevi immaginare. I documentari dicevo prima, quelli di Folco Quilici e le avventure di Jacques Cousteau, abbastanza per far sognare un bambino, che non sapeva neppure nuotare all'epoca.


Un giorno, guardando un documentario proprio di Folco Quilici, si parlava di alcune popolazioni del corno d'Africa credo, scene di vita normale a spasso per i mercati all'aperto, le merci stese a terra su stuoie, Grandi canestri di canne e vimini intrecciati, le donne che li portavano in equilibrio sulla testa. Le contrattazioni e il denaro... si ma non erano soldi, o meglio lo erano, ma quelle erano conochiglie non monete! Avrete capito che quello che mi aveva stupito così tanto era quella strana valuta: le Cipree Moneta (Monetaria Caputserpentis – Linnè 1758). Di questi animali, le cipree, se ne conoscono circa 250 specie e molte altre ne verrasnno scoperte. Sono diffusi in tutti i mari caldi del globo e sono presenti sulla Terra da circa 100 milioni di anni.

 Le cipree sono particolarmente abbondanti nell’Oceano Indiano, nelle Maldive, Sri Lanka, Borneo e sulle coste africane, dalla Somalia al Mozambico, ma sono presenti anche nel Mar Mediterraneo, come la specie protetta Cypraea lurida di cui parleremo più avanti. Le conchiglie delle cipree, come per esempio Cypraea Moneta e Cypraea annulus, sono state un mezzo di pagamento per lungo tempo in Oceania, Africa e Asia ma anche in Europa, a partire dal XIII secolo; in alcuni luoghi questo costume continuò fino al XX secolo. Nella scrittura cinese alcuni termini di carattere monetario fanno ancora riferimento alla conchiglia delle cipree; questi diventarono un mezzo di scambio non solo per la loro bellezza, ma anche perché resistenti alla manipolazione e facili da trasportare e riconoscere. Le cipree hanno da sempre attratto la curiosità degli esseri umani in ogni angolo della Terra, dalle epoche preistoriche fino ai giorni nostri. L’uso delle cipree come ornamento è antichissimo. Sono infatti molti i popoli che hanno utilizzato i gusci di questi animali per confezionare monili, collane e bracciali; utilizzati per arricchire l’abbigliamento e per mostrare lo status sociale. Ma le cipree hanno assunto, nel corso dei secoli, anche il significato di oggetto simbolico e propiziatorio; per questo, presso vari popoli, questi gasteropodi erano diffusi come talismani e amuleti. Le cipree prendono il nome proprio, per la loro bellezza, da Venere, che della bellezza e' il simbolo classico. La Cypraea tigris infatti era chiamata conchiglia di Venere, si dice che quando Linneo dovette decidere su un nome da dare a queste meraviglie, decise di chiamarle Cipree in onore della Dea. Le conchiglie delle cipree erano viste dai popoli antichi come un guscio protettivo per la vita stessa e quindi collegate alla 


riproduzione e alla fecondità; spesso le donne portavano ornamenti confezionati con cipree per scongiurare l’infertilità; in Giappone la Cyprea Tigris viene chiamata koyasu-gai, (コヤスガイ) l'etimologia del suo nome deriva da una credenza: Facilitare il parto. Pensate, ancora oggi viene tenuta in mano dalle partorienti dell’isola di Ryukyu, per propiziarsi un parto esente da difficoltà. Un appunto personale: credo che questa sia la ciprea più famosa che tutti noi conosciamo, visto che siamo soliti trovarle sulle bancarelle e nei negozietti di souvenirs, peccato che questa splendida conchiglia non abbia nulla a che vedere con il nostro Mar Mediterraneo. Tornando a noi invece voglio parlare di una specie endemica dei nostri mari : la Luria lurida (Linnè, 1758), nota anche come Ciprea porcellana. “Porcellana” era il termine con il quale anticamente ci si riferiva alle cipree, proprio per la loro brillantezza e lucidità, così simili al materiale ceramico. Tuttavia pare che l'origine di questo antico nome avesse curiosamente risvolti un po' meno nobili secondo alcuni. C'è chi sostiene che la parola porcellana deriva da "porculum", porcello, anzi, porcella. Perche' le Cipree in vista ventrale ricorderebbe gli organi sessuali esterni della femmina del maiale, la scrofa. 


Tornando a noi, il suo ambiente di vita ideale, è la costa rocciosa o corallina, ricca di anfratti, spugne, alghe ed incrostazioni, nonché molti nascondigli utili a questi animali tipicamente notturni o crepuscolari. Caratteristica piuttosto evidente è la conchiglia, globosa, lucida e porcellanacea, con apertura denticolata che si diparte longitudinalmente, alla base. La peculiare lucidità della conchiglia è dovuta al fatto che quando l'animale è attivo, questa è ricoperta da un sottile strato epiteliale (mantello) che la preserva dagli attacchi incrostanti. A questo avviso infatti vi posso confermare che a differenza dei murici, ad esempio, non mi è mai successo di trovare una Ciprea viva con il guscio incrostato, mentre negli esemplari privi dell'inquilino, è piuttosto frequente. 
 
Diffusione della Ciprea Porcellana (Luria Lurida)
L'ampio mantello, quando è completamente estroflesso, avvolge con i suoi lobi laterali la conchiglia e secerne da apposite ghiandole le sostanze carbonatiche che costruiscono la conchiglia stessa. Presenta in alcuni casi colore diverso del piede e caratteristiche ornamentazioni di vario genere (papille), ridotte a semplici protuberanze o aventi spesso fogge vistose e colori vivaci. Se colpita da un fascio di luce si ritrae assai rapidamente. 

 
Tutte le specie sono a sessi separati e depongono numerose uova in anfratti come gusci di conchiglie vuote o sassi capovolti. La femmina staziona sulle uova per lungo tempo, ricoprendole con il piede per proteggerle. Dopo la schiusa, si sviluppa una larva planctonica (veliger) che si lascia trasportare dalla corrente. Parlando invece dell'alimentazione, sono ghiotte di spugne, ma non disdegnano, talune specie, una dieta mista di alghe, antozoi, ecc. Il nutrimento viene asportato dal substrato per mezzo della radula, struttura comune a tutti i gasteropodi. Non mi era mai capitato di vederne esemplari vivi, sino ad allora avevo trovato qualche esemplare morto, spesso incrostato ed in pessime condizioni, sia a Calafuria che nel mare antistante l'Isola di sant'Antioco, in questo caso un Erosaria spurca.  


E' giusto ricordare che sia la Luria lurida che l' Erosaria spurca sono specie protette e ne è proibita tassativamente la raccolta di esemplari vivi. Mi trovavo in Sardegna, presso la casa materna a Sant'Antioco,era la vigilia di Ferragosto del 2017, mi ero dovuto alzare di buon ora per andare a Calasetta a prendere il traghetto per Carloforte, il maggiore centro urbano dell'Isola di S.Pietro. Avevo appuntamento per le nove con i titolari dell' Isla Diving, che erano venuti a prendermi con un pulmino al molo d'attracco, la loro sede si trova nella zona cantieristico-navale oltre le saline di Carloforte, una vera mano santa considerato che lo zaino con l'attrezzatura pesa non poco. Soliti convenevoli, registrazioni del caso, montaggio scuba, saluti a qualche faccia nota già incrociata gli anni precedenti e si parte. Dove ci portate oggi? Domanda oziosa più che altro, perchè le scelte sono tante a S.Pietro, ma è il vento onnipresente che decide dove puoi e non puoi. 

Gli scorci stupendi non mancano: Punta delle Oche, Le colonne, Le grotte della Mezzaluna, solo per citarne alcuni, ma c'è un piccolo prezzo, a volte un po' di corrente di superficie che non permette di avventurarsi troppo in mare aperto, non sono uno di quei sub sempre in cerca di sfide estreme e ringrazio di avere ancora la capacità di guardarmi intorno e di stupirmi e fortunatamente qui ho sempre trovato un ottima visibilità. Elena mi risponde che oggi si va alla “Grotta delle Cipree”, un nome un programma. Mi si conferma che il nome è tutt'altro che casuale. Arriviamo sul posto, dopo gli ultimi controlli si scende, non si tratta di un immersione particolarmente impegnativa, girelliamo un po' sul fondo poi puntiamo risolutamente verso una parete che vede la bocca nera di una grotta aprirsi. Torce accese, si entra quasi in fila indiana, malgrado lo spazio ci sia per muoversi piuttosto agevolmente, il fondale della grotta è costellato di grossi massi, portati chissà come al suo initerno dal mare nel corso dei secoli. Tallono la guida aspettando avido che mi segnali qualcosa, l'action cam individua qualche gamberetto che zampetta lungo le pareti rifuggendo la nostra invasione, probabilmente un Parapandalo (Plesionika narval – Fabricius, 1787) una medusina viola (Pelagia Noctiluca – Forsskal, 1775)


 danza piano nella corrente lieve, ma che si sente e sembra incanalarsi all'interno. Quando ecco che la guida sfanala di brutto, mi avvicino ed eccole, due Cipree porcellana, esattamente nei pressi di alcune spugne gialle incrostanti, hanno già ritratto il mantello nel guscio e si muovono appena percettibilmente verso una fenditura, infastidite dalla luce. Continua la penetrazione nella grotta e ne vedo delle altre sempre a gruppi di due, proseguiamo sino alla fine della cavità, qui troviamo una sorta di pilastro naturale. Ci passiamo tenendolo alla nostra sinistra come in una rotonda, tornando indietro per dove siamo venuti, ed incrociando gli altri del gruppo che in fila indiana stanno percorrendo la nostra stessa strada. Non abbiamo visto solo questo, ma per me che avevo iniziato ad interessarmi ai molluschi da qualche anno fu sicuramente un esperienza memorabile e penso che potendo... tornerò da quelle parti.





NOME SCIENTIFICO

Luria lurida
NOME COMUNE

ciprea porcellana
NOMI LOCALI


UBICAZIONE PREVALENTE

intero mediterraneo
TERRITORIO ABITUALE

fondali rocciosi e sabbiosi
PROFONDITA’ PREVALENTE

da pochi metri fino a 40
CARATTERISTICHE


CURIOSITA’


POSSIBILITA’ DI INCONTRO

normali (di notte)


Bibliografia



Conchiglie del Mediterraneo – Mauro Doneddu & Egidio Trainito, ed Il Castello 2010
Atlante di flora e fauna del Mediterraneo - Egidio Trainito, Rossella Baldracconi, ed Il Castello 2014
Le Conchiglie del Mediterraneo – Fratelli Melita Editore 1991
Pinneggiando nei mari italiani – Marco Bertolino, Maria Paola Ferranti, Hoelpi 2019
“Guida della FAUNA MARINA COSTIERA DEL MEDITERRANEO” - Luther Fiedler – Franco Muzzio Editore

Veduta dell'Isola di S.Pietro


A chi rivolgersi:

Isla Diving - Carloforte  viale Cantieri, 09014 Carloforte (CI)

Note: L'isola è raggiungibile con un traghetto che parte con cadenza oraria dalle prime ore del mattino, sia da Calasetta che da Portoscuso, è consigliato vivamente informarsi sugli orari di rientro, e sulla disponibilità delle corse, alcune sono a numero limitato e solo su prenotazione.


Uno scorcio di Carloforte




Buone Bolle!


Fabrizio Gandino
Subacqueodisuperficie”


sabato 4 aprile 2020

Una stella assai sfuggente



Nelle mie estati di bambino, vissute in massima parte a S.Antioco, viziato da nonni e zii, non era raro che passassi i miei assolati pomeriggi a bighellonare alla “Marina”, per chi conosce l'isola si tratta oggi del porticciolo delle barche. All'epoca in quella che oggi si chiama Piazza Ferralasco, c'era invece il circolo dei cannottieri, qualche panchina in ferro dipinta di verde, e dei cespugli dove la poca cura permetteva purtroppo di incappare in qualsiasi tipo di rifiuto. Il molo era molto diverso da oggi, non vi era il marciapiede, tutto era al piano strada, ma la parte bagnata dai flutti era fatta di
foto di Marco Moretti
lastre di granito vulcanico (Perda e'pibiri) inclinate a 30° sin dentro l'acqua della prospiciente laguna. In un locale di S.Antioco, di cui non farò il nome, v'erano un sacco di foto in bianco e nero dei tempi passati, su quel molo di pietre c'era una scena credo dell'immediato dopoguerra, che raffigurava i pescatori con le loro prede, durante la mattanza dei delfini. Lo so oggi inorridiremmo tutti. Scusate ho divagato sul sentiero dei ricordi, insomma in calzoncini corti e canotta bighellonavo spesso alla “Marina”, osservando i gabbiani, le barche dei pescatori, riempiendomi i polmoni di quell'odore di salsedine, di pesce essiccato dato dalle reti e nasse messe ad asciugare al sole. Spesso mi capitava di vedere, impigliate in quest'ultime delle bizzarre creature, mi dissero che erano stelle marine, ma io ero abituato a vedere Stelle Spinose (Astropecten johnson) e quindi mi parve
strano. Aveva un corpo centrale è di forma pentagonale, arrotondata, da cui dipartivano 5 braccia cilindriche sottili, come piccoli tentacoli. Più tardi negli anni facendo snorkneling prima e con il brevetto di imersione Open Water poi non ebbi a vederne altre, vive perlomeno, sino a quando non presi conseguii il brevetto avanzato e feci le mie prime notturne a Calafuria. A quel tempo sapevo di cosa si trattava ormai, si trattava della Stella serpentina (Ophioderma longicauda - Bruzelius, 1805). Questa strana stella la si incontra su fondali dentritici, rocciosi e in vicinanza delle praterie di Poseidonia da pochi metri fino i 100 metri di profondità.

Può raggiungere una dimensione di 28 cm di diametro.

Il corpo centrale è di forma pentagonale da cui partono 5 braccia cilindriche sottili.
La colorazione è variabile dal nero al bruno scuro, ma gli individui che si possono trovare più profondità hanno una colorazione che va dal verde al rosso oppure al bruno chiaro. In alcuni individui è possibile apprezzare chiazze chiare o di altro colore sul disco centrale così come le braccia possono avere delle anellature di colore diverso dal colore di fondo. La parte ventrale è comunque più chiara. Le braccia a sezione tonda sono munite di minuscoli aculei.
E' abbastanza diffusa e facile da incontrare se si conoscono le sue abitudini.


Infatti appartiene ad una specie sciafila (che preferisce l'ombra) pertanto di giorno rimane nascosta negli anfratti e sotto le rocce, esce soprattutto di notte. Ed è appunto di notte che riuscii a vederla con chiarezza sul rientro dall'immersione quando ormai ero nel golfetto sotto la torre di Calafuria.
Una caratteristica particolare di questa specie è la velocità dei movimenti. Infatti se infastidita fugge abbastanza velocemente, direi anzi che è proprio fotofobica come molti molluschi. Si tratta di
una specie di Echinoderma della famiglia Ophiodermatidae. Per quel che riguarda la sua diffusione possoiamo dire che è comune nel Mar Mediterraneo e nell'Oceano Atlantico orientale, dalla Gran Bretagna fino all'Angola e alle Azzorre.
Si riproduce in primavera e in estate. Echinoderma, è un organismo bentonico caratterizzato dalla presenza di uno “scheletro” calcareo formato da piastre , saldate o articolate, posto sotto l’epidermide detto dermascheletro, spesso rivestito di tubercoli o spine presenza che dà il nome al philum. Altra caratteristica di tutti gli organismi del philum è la cosiddetta simmetria pentamerale; il corpo è cioè suddiviso in cinque settori disposti attorno ad un asse centrale. Ed è forse questa la caratteristica che ha indotto gli studiosi a comprendere nello stesso philum organismi dall’aspetto tanto diverso. Troviamo in questo philum cinque classi:
– crinoidei
– oloturioidei
ofiuroidei
– asteroidei
– echinoidei

Gli ofiuroidei (il nostro caso) si distinguono facilmente dagli asteroidei per la netta distinzione fra disco centrale e braccia; queste ultime sono sottili e flessibili e a sezione circolare.
Negli ofiuuroidei troviamo due ordini:
ofiure
euriali.
Sulla sua alimentazione possiamo dire che si tratta di una specie carnivora, si nutre tanto di detrito organico che di cadaveri. Può, in alcune occasioni, cacciare anche piccoli organismi.



NOME SCIENTIFICO

Ophioderma longicaudium, Ophioderma longicauda
NOME COMUNE

stella serpentina liscia, stella fragile nera
ALTRI NOMI




    Smooth brittle-star (EN)
    Ophiuire brune (FR)
    Ofiura lisa (ES)


UBICAZIONE PREVALENTE

intero mediterraneo
TERRITORIO ABITUALE

fondali rocciosi, sassosi o fangosi
PROFONDITA’ PREVALENTE

0-100 metri
CARATTERISTICHE

molto comune ma spesso nascosta sotto i sassi



POSSIBILITA’ DI INCONTRO

normali

Foto di Marco Moretti


Buone bolle!


Fabrizio Gandino
Subacqueodisuperficie”














Marco Moretti