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venerdì 1 maggio 2020

10 marzo 241 a.C. : Fabio Portella racconta




Giovedì 30 Aprile 2020, oltre cento persone collegate, una cosa consueta di questi tempi, partecipare ad una conferenza webinair, durante la quarantena che ci sta tenendo inchiodati tutti a casa. Anfitrione di questa serata è Fabio Portella del Diving Center “Capo Murro” (SI), Istruttore GUE (Global Underwater Explorers), sub di esperienza, grande quanto la sua modestia. Il tema della serata riguarda un evento storico di portata epocale: La Battaglia delle Isole Egadi. Lo scontro navale che ebbe come teatro il quadrilatero Drepanum (l'odierna Trapani), Aegussa (Favignana), Hiera (Marettimo), Phorbantia (Levanzo).
Fabio Portella

Fu la battaglia navale conclusiva della Prima guerra punica. Dopo oltre vent'anni di scontri navali e terrestri, con fortune alterne, Cartagine subì presso le Egadi una sconfitta pesante in termini di uomini e soprattutto di navi; economicamente allo stremo, dovette chiedere una pace onerosa a Roma. D'altra parte il conflitto protratto tra le due citta-stato per un ventennio aveva messo allo stremo le finanze di entrambe. Se da una parte Roma cominciava ad accusare qualche problema nel chiedere rinforzi ai socie a causa delle troppe spese per le battaglie navali e i naufragi (Le navi romane erano più vulnerabili alle tempeste a causa del "Corvo" una passerella usata per l'abbordaggio), l'erario non era in grado di allestire nessuna flotta degna di questo nome; solo cinque anni prima dalla sconfitta di Trapani e dall'immane successivo "naufragio di Camarina" che aveva distrutto quasi del tutto il naviglio militare, era stata costretta a cessare di rinforzare la flotta limitandola alle sole navi onerarie e gestire la difesa marittima con qualche superstite Nave da guerra. Cartagine non era messa meglio, anche se sul mare restava dominatrice, complice il fatto dell'essersi

impadronita di parte di quel che restava della flotta di Roma, si era però svenata nella gestione della flotta, i commerci erano rallentati. Infatti i marinai, contrariamente alle truppe di terra che erano in genere mercenarie, provenivano dalle forze dei cittadini-mercanti. E i mercanti, se non possono coltivare i loro mercati, finiscono per passare la mano alla concorrenza. I commerci di Cartagine languivano e non potevano generare la ricchezza necessaria a pagare le sempre più necessarie truppe mercenarie. Era una pericolosa spirale economico-militare che rischiava di avvitarsi su sé stessa. Fu Roma a decidersi a chiudere la partita una volta per tutte: chiesti finanziamenti ai privati e facoltosi cittadini , armò a tempo di record una nuova flotta.

 A questo proposito esiste un interessante retroscena, qualche tempo prima era riuscita ad impadronirsi di due quadrireme Cartaginesi, che regolarmente forzavano il blocco navale dell'assedio di Lilibeo, nottetempo. Studiate le navi nemiche ne progettarono di nuove e migliori in gran segreto, nel contempo addestrarono un sostanzioso contingente da imbarcare per dare battaglia. Era in gioco la sopravvivenza stessa di Roma, come cita Polibio nei suoi scritti: «L'impresa fu, essenzialmente, una lotta per la vita. Nell'erario, infatti, non c'erano più risorse per sostenere quanto si erano proposti.». Il 10 marzo del 241 a.C. , scatta la trappola, la flotta romana è alla fonda ridossata sulla costa orientale di Levanzo, il comandante romano, Gaio Lutazio Catulo vide che la flotta cartaginese avrebbe avuto un forte vento da ovest a favore e che questo avrebbe reso più difficile far salpare la flotta romana.

 Dapprima incerto, riflettendo si rese conto che se avesse attaccato subito avrebbe avuto di fronte degli scafi ancora carichi e quindi più lenti e che questi avrebbero avuto a bordo solo forze di marina. Se avesse permesso lo scarico delle merci e l'imbarco degli uomini di Amilcare la situazione anche col vento in poppa non sarebbe stata altrettanto favorevole. Oggi sappiamo dal ritrovamento di diverse ancore romane, trovate in fila ordinata, proprio sul fondale di Levanzo, che la decisione dell'attacco fu repentina e fulminea, tale da richiedere il taglio delle gomene degli ancoraggi. Il resto è storia: la flotta romana si distese su una sola linea come per formare un muro contro le navi cartaginesi che veleggiavano verso la costa del Monte Erice. I Cartaginesi accettarono la battaglia; ammainarono le vele per avere maggiore mobilità e attaccarono i Romani.

Anche in questo caso Polibio ci racconta con i suoi scritti come la situazione pendesse sin dalle prime battute a favore dei romani:
«Poiché i preparativi per gli uni e per gli altri venivano regolati in modo opposto rispetto allo scontro navale svoltosi presso Drepana, anche l'esito della battaglia, com'è naturale, risultò opposto per gli uni e per gli altri.» . Ed ancora riferendosi ad i cartaginesi : «gli equipaggi erano completamente privi di addestramento ed erano imbarcati per l'occasione, e i soldati di marina erano appena arruolati e sperimentavano per la prima volta ogni sofferenza e rischio.» . Un errore di valutazione dei Cartaginesi , che ritenevano i Romani, a seguito della serie di sconfitte e di naufragi, fossero incapaci di governare le navi. Una combinazione disastrosa di errori. Inferiori nella manovra e nel combattimento ravvicinato, i Cartaginesi videro rapidamente affondare cinquanta navi e altre settanta furono catturate complete di equipaggio, pare 10.000 uomini. Un fortunato volgersi del vento permise alle superstiti, alzate nuovamente le vele, di sganciarsi e ritornare all'Isola Sacra, Marettimo. Venendo ai giorni nostri e alla serata in questione Fabio Portella, dopo gli inevitabili cenni storici di cui abbiamo appena letto, ci ha parlato del ritrovamento/recupero di 18 rostri in bronzo che vennero utilizzati sulle navi che si diedero battaglia quel giorno. 
Una spedizione, frutto di una collaborazione internazionale tra la Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana e la GUE. Il ritrovamento del primo rostro lo si deve al caso, un pescatore lo trovò impigliato, probabilmente in una rete a strascico e lo barattò con una dentiera! Si avete capito bene, il dentista in questione lo espose incautamente e la cosa arrivò alle orecchie del prof, Sebastiano Tusa, un pioniere in questa ricerca archeologica. I rostri servivano a speronare le navi avversarie con tecniche di ingaggio ben definite, tuttavia le scoperte recenti hanno sfatato una credenza diffusa solo fino a qualche anno fa, e cioè che i rostri fossero a “Perdere”. Vale a dire che, dopo che venivano conficcati nello scafo della nave avversaria, similmente ad un pungiglione sarebbero rimasti lì, il ritrovamento di alcuni rostri con ancora resti lignei all'interno e fissati da lunghi chiodi di bronzo sfata questa credenza, come Fabio Portella ama ripetere è la “Prova Provata” che il rostro nasceva e moriva con la nave.
Al momento ne sono stati ritrovati 18 durante le varie campagne, ad una profondità tra gli 85 e i 100 metri, recuperi onerosi, dal momento che il peso oscilla, a seconda dei modelli tra i 180-250 kg di ottimo bronzo. I romani vinsero questa battaglia, ma stranamente i rostri che vengono ritrovati sono per lo più romani, su 18 al momento 16 sono romani e solo due cartaginesi. Una spiegazione potrebbe essere che in precedenti battaglie i Punici avevano predato delle navi romane grazie alla loro schiacciante superiorità, e che questo naviglio fosse stato inglobato nella flotta Cartaginese, quindi i Romani alle Egadi si trovarono contro le loro stesse navi. Se ne parlerà ancora degli anni a questo proposito, ho linkato all'uopo alcuni filmati che raccontano ampiamente sia il fatto storico che la campagna di recupero. Buona visione!

Link:

Sicilia svelata - Mozia: rostri della battaglia delle Egadi


12°Rostro della Battaglia delle Egadi


Ritrovamento di un rostro Romano




Buone Bolle!


Fabrizio Gandino
Subacqueodisuperficie”


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