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mercoledì 20 aprile 2022

I Maratoneti del tempo, ecco chi sono gli animali marini più longevi

Riprendo da un paio di articoli comparsi sul web, una curiosa classifica degli animali più longevi del mare e di acqua dolce (i link degli articoli originali li trovate in fondo) 

 

Aragosta americana e granchio gigante del Giappone – 100 anni

Storione bianco – 104 anni; è il più grande degli storioni nordamericani e può superare i sei m di lunghezza; 

Cozza perla acqua dolce e Tuatara – 110 anni: il secondo è un rettile endemico della Nuova Zelanda, unico rappresentante sopravvissuto dell’ordine dei Rincocefali; 

Tartaruga gigante di Aldabra – 120 anni: si tratta della testuggine più grande del mondo; Testuggine greca – 125 anni; 

Scorfano nero – 140 anni; conosciuto anche come Scorfano bruno, è un pesce marino appartenente alla famiglia Scorpaenidae; 

Scorpaena porcus

 

 Vongola dalla proboscide – 150 anni: si tratta del mollusco più grande e longevo del mondo; 

Panopea generosa

 

Storione di lago – 152 anni: la sua famiglia comprende altre 27 specie; 

Testuggine delle Galapagos – 170 anni: la tartaruga più longeva al mondo (Si ok questa è di terra); 

 Pesce specchio – 175 anni: è un pesce d’acqua salata appartenente alla famiglia Trachichthyidae;

 Balena artica – 200 anni: la prima specie a superare i due secoli; 

Riccio rosso di mare – 210 anni: è un riccio marino che vive nell’oceano Indiano e in quello Pacifico, su fondali sabbiosi; 

Vongola atlantica – 225 anni: un esemplare è vissuto fino a 507 anni; 

Verme tubo gigante – 250 anni: è in grado di sopportare temperature elevate e alti livelli di zolfo, cresce fino a 2,4 metri di lunghezza.; 

Squalo della Groenlandia – 400 anni: il più longevo tra tutti i vertebrati; 

 

Somniosus microcephalus

Spugna di mare gigante – 2 mila anni: non ha organi ma è in grado di nutrirsi e riprodursi; 

 Barriera corallina – 4 mila anni: è visibile dalla spazio; 

Turritopsis dohrnii – si tratta di una medusa, biologicamente immortale: può tornare allo stadio di polipo e ricominciare un nuovo ciclo vitale. 

 


 

 

 

Ed ora passiamo al fortunato caso (per lui) di un astice Americano (Dalle pagine de il "Corriere della Sera": 

New York: liberato astice di 140 anni Era nella vasca di un ristorante di Manhattan. Tornerà in mare grazie agli animalisti NEW YORK

Un'aragosta gigante (per essere precisi un astice americano, ) della venerabile età di 140 anni sarà riportato in mare dopo avere trascorso quasi due settimane in un ristorante di pesce di New York, esserne diventato la mascotte e aver rischiato, ovviamente, di finire in pentola. È grazie a un gruppo di attivisti per la protezione degli animali e a un cliente, anche lui animalista, che il crostaceo, del peso di circa nove chili, potrà tornare nelle acque dell'Atlantico dopo il suo soggiorno nella vasca del «City Crab and Seafood» di Manhattan. Il direttore Keith Valenti ha raccontato che l'astice è stato pescata alla fine del mese scorso al largo delle coste canadesi. Acquistata dal ristorante, è stato messo in uno degli acquari diventando, grazie alla sua mole, la principale attrazione del locale. «I bambini amavano farsi fotografare accanto all'acquario dove lo teniamo, peccato doverlo lasciare andare», ha detto il direttore. L'uomo ha poi spiegato che l'età di un'aragosta si calcola in base al suo peso: ogni chilogrammo corrisponde a 15-20 anni. Questo tipo di crostaceo ha una vita media di un centinaio d'anni ma è assai raro trovare un esemplare che vada oltre quella soglia. Il gruppo animalista Peta ha avuto parole di elogio per il ristorante newyorchese. «In fondo sono stati bravi ad accettare di liberarla, almeno potrà godersi gli ultimi anni in pace e libertà», ha detto la portavoce Ingrid Newkirk. 

Homarus americanus

 

 

 Tuttavia il primato appartiene ad una vongola islandese, La vongola artica Arctica islandica è un mollusco marino che vive in Atlantico. Una specie commestibile di forma tonda. Nel 2006 è stato pescato un esemplare sulle coste dell’Islanda la cui età è stata calcolata in 507 anni. La vongola soprannominata Ming è ad oggi l’animale non colonia piu longevo mai scoperto. Sembra che la vongola sia nata nel 1499 anno in cui in Cina regnava la dinastia dei Ming! Una considerazione a margine di questa scoperta: ma secondo voi, uno spaghetto con delle vongole di 500 anni spiedo o dire fresche?🤣

 

Artica islandica

 

 

 Link: 

https://www.amoreaquattrozampe.it/altri-animali/animali-piu-longevi-20-specie/59040/ 

https://www.corriere.it/animali/09_gennaio_10/astice_liberato_new_york_ec595f36-df29-11dd-bb3a-00144f02aabc.shtml

https://www.ilgiornaledeimarinai.it/quali-sono-gli-animali-vivono-di-piu/ 

 

 

Buone Bolle e ...Buona Vita!

 

Fabrizio Gandino

"Subacqueodisuperficie"


mercoledì 16 febbraio 2022

Inconti nel mare d’inverno: Elysia timida

 Un’immersione come altre, questa volta  nei pressi di Quercianella località Calafuria, compagni di avventura, Ale e Brigida.

L'immersione si stava svolgendo regolarmente a circa 42 metri di profondità, in una zona ricca di grotte e scogli. Eravamo alla ricerca di un relitto di cui ci avevano parlato: una benna di una motopala che  Ale ricordava di avere visto tempo addietro.(ma questa è un altra storia).

Il fondale di quella zona é ricco di corallo , gorgonie e tantissimi colori sugli scogli …

Lasciate che vi spieghi come ci si sente ad essere lì. È come se, immersi nella realtà di un mondo che non ci appartiene e di cui siamo solo spettatori, l’animo umano ritrovasse la sua genuinità e scomparisse quel senso di egoismo e apparenza che ci si è cucito addosso, dalle regole del comportamento sociale. Uno stato di grazia, che purtroppo termina finita l’ora d’aria, alla fine della quale torniamo in superficie, alla realtà. 

Se mi è consentita una citazione fantascientifica , quello specchio d’acqua, a cui volgiamo gli occhi tornando alla superficie, tornando alla realtà è come una sorta di Star-gate. 

Ma tornando a noi, l'immersione volgeva al termine, eravamo lì nella nostra sosta di sicurezza a sei metri di profondità, più esposti alla risacca, che sopportavamo con stoica pazienza, quando mi sono imbattuto in un mollusco che non vedevo da quest’estate dall'interessante e particolare la storia  evolutiva .

Andare sott'acqua ha nutrito la mia curiosità, stuzzicando la mia necessità di arricchire le mie personali conoscenze subacquee, con flora e fauna di cui, prima di allora, non conoscevo neanche l’esistenza.

Elysia timida (Risso. 1818)


l’Elysia timida (Risso, 1818) rientra tra questi, si tratta di un esempio di simbiosi obligatoria tra questa lumaca e una cellula appartenente a un tipo di alga. L’ Elysia timida è un Mollusco Gasteropode Heterobranchia appartenente all’ordine dei Sacoglossi.

Dalla nascita di questa coppia simbiotica si svolge la fotosintesi . permettendo cosi la trasformazione di anidride carbonica  in carbuidrati (zuccheri)  e ossigenazione nell’acqua. Infatti nelle alette dorsali del organismo si puo’ notare un colore verde appartenente a queste cellule vegetali. 

La simbiosi sembra si sia sviluppata negl’anni con la fagocitazione di un tipo di alghe da parte del mollusco. Fagogitate ma non digerite .le protuberanze dorsali si aprirebbero alla presenza di raggi solari. Gli Heterobranchia, alla quale l'Elysia appartiene, sono i gasteropodi con conchiglia ridotta al minimo e nella più parte delle specie assente.



Privo di appendici dorsali e dotato di estensioni laterali del corpo simili ad ali (parapodi). Nel periodo estivo è facile rinvenire Elysia timida mentre si aggira tra gli ombrellini dell'alga verde Acetabularia acetabulum di cui abitualmente si nutre.

Il nome “sacoglossi” deriva dal fatto che le specie appartenenti a questo ordine, hanno bocca sprovvista di mandibola.

Essendo per lo più erbivori l’alimentazione avviene succhiando il contenuto delle cellule vegetali, stilettate dalla radula presente nella bocca.

Il tempo di qualche scatto ed i minuti della sosta volano, è tempo di risalire, ma è solo un arrivederci.



Libri:

 “ il regno dei nudibranchi” guida ai molluschi opistobranchi della Riviera del Conero - Federico Betti - Editrice La Mandragora - (2021)




Link:

https://www.biologiamarina.org/elisia-timida/

https://it.m.wikipedia.org/wiki/Elysia_timida

https://www.marinespecies.org/aphia.php?p=taxdetails&id=411959

http://www.aiamitalia.it/index.php?option=com_schede&view=scheda&genere=Elysia&specie=timida&Itemid=84



Matteo Stanzani

"Masdepaz"



venerdì 11 febbraio 2022

Andrea Izzotti: un fotografo tra i giganti delle Azzorre




La pandemia da Covid19 ha fermato o rallentato le vite della maggioranza di noi, ma questo pare non sia valso per Andrea Izzotti.

Questi due anni lo hanno visto produrre pubblicazioni sia in ambito fotografico, faccio ampio riferimento vai suoi book tematici, di cui tra poco spero vorrà parlarci, sia narrativa con "Zena, storia di un orca" ed infine con "Capodogli - i giganti delle Azzorre - Storie di Balene e balenieri", che ha un taglio decisamente più divulgativo.


Comincio subito col dire che i libri di Andrea Izzotti hanno in comune un sentimento che è impossibile soffocare, che malgrado la sua non lusinghiera accezione comune, lui nobilita: quel sentimento è l'Invidia. 

Si Invidia di quella buona, di quella che ti porta a desiderare di vivere le stesse esperienze dell'autore, che da quell'inguaribile entusiasta che è, riesce anche in questa sua ultima fatica, a prendere per mano il lettore portandolo con sé nelle sue avventure. 

Fotografo provetto, subacqueo, whale watcher, lui non vi dirà nella sua modestia, che magari quell'immagine su un puzzle di una nota casa specializzata è un suo scatto, oppure ometterà di dirvi che alcune delle sue foto hanno avuto l'onore delle cronache nei notiziari nazionali in prima serata (infatti lo faccio io, per il solo gusto di vederlo arrossire un po'😁), quindi passiamo a lui la palla e lo invito a parlarci dei suoi ultimi progetti ed in particolare della sua ultima pubblicazione: "Capodogli - i giganti delle Azzorre - Storie di Balene e balenieri".


Intanto, bentornato Andrea sulle pagine del nostro Blog.

Subacqueodisuperficie: Leggendo il tuo libro, emerge in modo chiaro come la tua esperienza alle Azzorre ti sia rimasta dentro, quando si è fatta strada nella tua testa l'idea di scrivere questo libro?

Andrea Izzotti: L’idea è nata lo scorso anno, quando ho finito di leggere il libro di Maddalena Jahoda, Balene Salvateci! (che ha poi scritto la prefazione dei Giganti delle Azzorre. La sua esperienza alle Azzorre, raccontata magistralmente, mi ha fatto scattare l’idea di entrare in acqua con questi placidi animali. Con l’aiuto di Maddalena ho contattato Enrico Villa di CWAzores, esperta nel fornire appoggio anche professionisti. Enrico mi ha indirizzato verso la giusta direzione nella redazione delle richieste di autorizzazione ad immergermi con i capodogli. Ho presentato un progetto che prevedeva la realizzazione di un libro su questi mammiferi marini, ma quando sono stato alle Azzorre il progetto si è espanso sino a coinvolgere le diverse tematiche affrontate nel libro.

Subacqueodisuperficie: Hai fatto un gran lavoro di ricerca bibliografica, quello che colpisce sono i numeri, la maggioranza della mattanza, un vero e proprio olocausto marino (mi rendo conto che il termine è un po' forte, specie perché evoca altri orrori), è avvenuta con arpioni a mano, per questo le cifre riportate sembrano anche più incredibili.

Andrea Izzotti: Non ho usato la parola olocausto nel libro, per rispetto a quello che rappresenta questo termine con riferimento agli umani. In realtà se è vero che temporalmente gettare arpioni a mano nel corpo degli animali è avvenuto per un numero considerevole di anni, la vera mattanza di animali con numeri incredibili si colloca tra gli anni 50 e gli anni 80 del secolo scorso, dietro l’angolo. L’uso dei cannoni per sparare gli arpioni ha purtroppo trasformato la caccia in un eccidio.

Subacqueodisuperficie: Nel tuo libro ad un certo punto affronti il delicato rapporto tra i cetacei/mammiferi marini e l'uomo contestualizzandolo nelle varie epoche, perché questo distinguo per te era necessario?

Andrea Izzotti: Perché anche io sono emotivamente coinvolto e l’ira non lascia ragionare. Era necessario comprendere le ragioni storiche dell’inizio e dello sviluppo della caccia ai cetacei per evitare di cadere in facili estremismi. Proprio la mia esperienza alle Azzorre, dove questo equilibrio tra esigenze di sopravvivenza umana e di quelli che simpaticamente chiamo i “testoloni neri” ha subito una trasformazione radicale in pochissimo tempo, mi ha aiutato a comprendere dove cercare il punto di equilibrio.

Subacqueodisuperficie: Quanti libri hai pubblicato sino ad ora?

Andrea Izzotti: Il mio primo libro è “Racconti dal blu e altri colori” dedicato a ricordi di viaggi

Ho poi pubblicato “Zena, storia di un orca” ( vi rimando al post in cui ne parlammo https://subacqueodisuperficie.blogspot.com/2020/06/zena-storia-di-un-orca-intervista.html), dove porto il lettore, come hai scritto tu a scendere in acqua con questi animali, a “orchizzarsi” per dirla alla Gandino

Durante la pandemia ho dato fondo ai miei archivi e ho pubblicato una collana di libri fotografici “nati per essere liberi”, sono 20 libri dedicati ad animali marini e terrestri, con l’ultimo dedicato a zoo e circhi. Per ogni uscita ho fatto una diretta facebook con esperti degli argomenti trattati.






Subacqueodisuperficie: Ritieni che Moby Dick di Melville sia stato per il pubblico, un po' per i suoi tempi, come "Lo squalo" di Steven Spielberg, ai nostri?

Andrea Izzotti: E’ un’ottima domanda, visto quello che lo squalo ha provocato. Indubbiamente come leggerai nel libro, la balena è stata vista come un mostro per centinaia di anni e Melville ha portato questo mostro al punto più alto dal punto di vista letterario. La differenza sta nei mezzi di comunicazione. Lo squalo ha portato la paura dentro ciascuno di noi a livello concreto. Ogni volta che sono entrato in acqua dopo quel film avevo il timore che mascelle potentissime mi afferrassero e mi trascinassero negli abissi. Su Moby Dick, a cui è dedicato l’ultimo capitolo de I giganti delle Azzorre, sono stati scritti fiumi di parole e decine se non centinaia di libri. Si va da quelli classici che analizzano testo e significato a quelli che vedono allegorie alle quali, a mio avviso, Melville non aveva minimamente pensato. Vi è un testo ad esempio che vede in Moby Dick, l’allegoria dello schiavismo. Pensa: i capodogli sono normalmente neri, ma Moby Dick… è bianco.

Tornando alla tua domanda e proseguendo nella risposta devo dire che anche a livello concreto l’immediatezza del pericolo de lo squalo è più palpabile, al di là del centinaio di anni tra Moby Dick e il film Lo squalo: tutti quelli che fanno il bagno in mare immaginano più un incontro con uno squalo che con una balena, alla fine dell’800 non solo vi erano milioni di balene ma anche centinaia di milioni di squali in più, rispetto ai giorni nostri, dove queste specie sono minacciate dall’estinzione.

Il pubblico che leggeva Melville probabilmente non ha mai visto una balena viva, mentre chi ha “visto” lo squalo ha avuto un racconto per immagini, molto più immediato e “terrificante”

Subacqueodisuperficie: come verrà distribuito il tuo libro?




Andrea Izzotti: Come gli altri miei libri è un’auto-produzione stampata e distribuita da Amazon. Questo è interamente a colori e contiene ben 77 tra immagini e fotografie, quasi tutte scattate da me.

Il libro è in tre versione copertina morbida, copertina rigida e Ebook.

https://www.amazon.it/dp/B09S1ZVXGF/

Subacqueodisuperficie: se qualcuno volesse, incuriosito dal tuo libro, vivere l'esperienza del whale whatching?

Andrea Izzotti: Si può fare whale watching in Italia con possibilità di avvistamento clamorosamente alte (intorno al 98%). Io vado in Liguria con gli amici di Golfo Paradiso Whale Watching; l’altra società che opera è il Consorzio Liguria Via Mare. La stagione va da Aprile a Ottobre e sui siti degli operatori vi sono tutte le informazioni necessarie.

Subacqueodisuperficie: ti ringrazio ancora una volta per averci fatto visita.

Andrea Izzotti: Un ringraziamento lo faccio a te Fabrizio. E’ grazie a persone che hanno un cuore e una testa come la tua, che sono fiducioso per la direzione che dobbiamo intraprendere in futuro per garantire ai nostri figli e ai figli dei nostri figli di poter godere degli spettacoli naturali ai quali ho avuto la meravigliosa fortuna di assistere. Mentre ero in acqua con un capodoglio davanti a me ho pensato… ma quanti nel mondo hanno fatto questa cosa folle che sto facendo? 

Subacqueodisuperficie: Chiudo con una dedica personale che credo in pochi potranno davvero coglierne la citazione: Caro Andrea, sono sicuro che George e Grace avrebbero ringraziato e apprezzato il tuo impegno.

Andrea Izzotti: Ci ho messo un po’ ad arrivarci…è una citazione cinematografica dotta. Chi leggerà il libro comprenderà l’importanza del film a cui tu fai riferimento (Star Trek IV – Rotta Verso la terra) che è del 1986, un anno importantissimo per le balene.


Questo lavoro è stato eseguito sotto l'autorizzazione SAI-DRAM/2021/857 SGC0060/2021/4539 Proc. 120.12.02/124 rilasciata dal Governo del Portogallo il 16 giugno 2021. Tutte le precauzioni indicate nel progetto sono state prese dai professionisti per evitare il disturbo agli animali durante l'esecuzione delle operazioni. Secondo la legislazione regionale il nuoto con balene e altri cetacei che non siano delfini è vietato nelle Azzorre.


Buone bolle, buoni "spruzzi" e buona lettura


Link:

https://www.andreaizzotti.it/

https://www.instagram.com/andrea_izzotti/?hl=en

https://www.amazon.it/dp/B09S1ZVXGF/


Fabrizio Gandino

"Subacqueodisuperficie"




mercoledì 9 febbraio 2022

L' Aragosta, la regina della scogliera


Poche cose per un sub, sia esso un semplice ricreativo, uno sfegatato fotografo come il nostro Marco Moretti o un cineoperatore d'assalto come Salvatore Fabiano attirano l'attenzione come lo sbucare di due antenne nervose da qualche anfratto della scogliera. L'aragosta (Palinurus elephas Fabricius, 1787), conosciuta comunemente come aragosta mediterranea, aragosta spinosa europea, aragosta spinosa comune, è un crostaceo dell'ordine Decapoda che vive nei fondali del mar Mediterraneo e dell'oceano Atlantico orientale. Vive fra 5 e 160 m di profondità, ma soprattutto tra 10 e 70 metri; su fondi rocciosi o ghiaiosi con alghe, coralligeno, raramente sabbia. 

Si calcola vi siano oltre 40 specie di aragoste; molti di loro hanno forme e comportamenti del corpo molto simili, con quasi tutte le aragoste che abitano il fondo del mare e si rifugiano in crepacci rocciosi. Le sue misure oscillano nell'ordine dei 20-50 cm massimo con un peso che può raggiungere sino a7,5-8 kg.

 Esattamente come Gamberi, Magnoselle, Canocchie, il suo corpo e di forma sub-cilindrica, rivestito di una corazza, il carapace, che, al pari di altri crostacei, muta diverse volte durante la crescita. Piccola parentesi, delle volte, in pieno giorno mi è capitato di vedere un aragosta immobile che mi fissava, ed io come un fesso a far foto prima che l'animale cambiasse idea, per poi scoprire avvicinandomi che era un carapace vuoto! No non ridete...è capitato anche a voi, ma non lo ammetterete mai!

La tecnica della muta avviene in un modo curioso/ingegnoso, come solo Madre natura sa concepire: l’animale sentendo il suo corpo schiacciato contro le pareti rigide della corazza, dopo essersi assicurato un riparo, si gonfia ingurgitando acqua, fino a creare una rottura sul dorso dell’esoscheletro, che abbandona con movimenti rapidi. Il corpo dell’aragosta è ricoperto da un nuovo scheletro, molle, flessibile e quindi, facilmente vulnerabile. Per questo motivo, l’aragosta il cui aspetto non varia, rimane nella tana, si idrata in continuazione in attesa che la corazza perda elasticità e si indurisca, per la deposizione di sali minerali. Nel giro di qualche giorno, il nuovo esoscheletro ricoprirà il corpo del crostaceo. 

Il carapace si divide in due parti, il cefalotorace (il nome stesso lascia intuire che è la parte della testa) e l'addome (la coda) con un colorazione che può essere tra il rosso, viola scuro; piccola curiosità l'addome è provvisto di un piccolo pungiglione. Scendendo nel dettaglio questa corazza si suddivide ulteriolmente in: Testa: che protegge il cervello e gli organi (ad eccezione dell'intestino); ad essa sono vincolate zampe, due lunghe antenne, due spine dentellate a forma di "V" con funzione difensiva/sensoriale e gli occhi; non sono presenti chele, tipiche dell'Astice, con cui spesso viene confusa dai neofiti. Corpo: costituito da sei segmenti che rivestono il grosso muscolo (deputato principalmente alla fuga) e che terminano con una coda a ventaglio. L'aragosta è un Crostaceo marino Decapode appartenete alla famiglia delle Palinuride e al Genere Palinurus; la Specie più rinomata è detta P. elephas o aragosta mediterranea. Il nome scientifico dell'aragosta comune è Palinurus elephas, ma su alcuni testi si avvale anche dei sinonimi di Palinurus vulgaris e Palinurus quadricornis. 


Come amo spesso ricordare, la natura non ama gli spazi vuoti e la nostra regina delle scogliere divide il Mar Mediterraneo con altre tre cugine: la Palinurus mauritanicus (aragosta bianca), la Palinurus ornatus e la Palinurus regius (aragosta verde). L' Aragosta bianca è molto simile a quella mediterranea con alcuni distinguo: cresce di più, raggiungendo anche i 75cm di lunghezza e presenta sul carapace, spine più piccole e distanziate che non sono separate da uno spazio a forma di "V". Vive e si riproduce a profondità molto maggiori, su fondali tra i 200 e 600m. La Palinurus ornatus , per ora, è abbastanza rara nel Mediterraneo e colonizza soprattutto le coste oceaniche indiane; nel bacino è reperibile presso le coste israeliane dove compie lunghe migrazioni verso il mar Rosso (migrazione lessepsiana); questa aragosta ha antenne ancor più lunghe blu e maculate in giallo, come anche le zampe, e vive su fondali sabbiosi da 10 a 50m di profondità. Ed infine l' Aragosta verde, di colore opaco, verde-blu e orlato di giallo; viene catturata maggiormente sulle coste africane e in quantità maggiore rispetto alla mediterranea o a quella bianca. 


L'aragosta verde presenta un coda più piccola rispetto alle altre sue cugine, per questo meno apprezzata sui mercati ittici. Tornando alla nostra aragosta mediterranea, la specie è considerata a moderato rischio di estinzione a causa della pesca intensiva, dal momento che la popolazione di aragoste è in diminuzione, attualmente la sua pesca è stata vietata da ottobre a marzo e sono state create molte riserve per favorirne il ripopolamento. La più grande che ho potuto osservare, la vidi in Sardegna, nei fondali dell'Isola di San Pietro, la testa da sola erano almeno 15 cm e si ergeva bellicosa dalla sommità di una cigliata. Sono animali piuttosto longevi pare, l'età di un'aragosta si calcola in base al suo peso: ogni chilogrammo corrisponde a 15-20 anni. 

Questo tipo di crostaceo ha una vita media di un centinaio d'anni, ma è assai raro trovare un esemplare che vada oltre quella soglia, preciso che il dato si riferisce all'aragosta americana (Astice), attualmente non ho dati in mio possesso circa quella del mediterraneo, ma se continuano a pescarla così, certo non corre il pericolo di invecchiare. Le aragoste hanno numerosi predatori naturali allo stato selvatico, dai grandi pesci (merluzzi e squali) alle altre aragoste, ai mammiferi (l'uomo in primis, ma anche le foche e i procioni!) e naturalemte i miei preferiti, i cefalopodi. Vita dura per questi splendidi abitanti della scogliera. 



 Si ringraziano Yuri Pagni per le foto e Salvatore Fabiano per il contributo video.

Link: 

https://www.faomedsudmed.org/html/species/Palinurus%20elephas.html 

https://it.wikipedia.org/wiki/Palinurus_elephas 

https://www.isprambiente.gov.it/it/banche-dati/atlante-delle-specie-marine-protette/animali/invertebrati/crostacei/palinurus-elephas-fabricius-1787 

http://www.subacquei.net/biologia/aragoste.htm 

Bibliografia:


Atlante di flora e fauna del Mediterraneo - Egidio Trainito, Rossella Baldracconi, ed Il Castello 2014

Pinneggiando nei mari italiani – Marco Bertolino, Maria Paola Ferranti, Hoelpi 2019

“Guida della FAUNA MARINA COSTIERA DEL MEDITERRANEO” - Luther Fiedler – Franco Muzzio Editore

Buone bolle e aguzzate la vista per le antenne!

 

 Fabrizio Gandino 

“Subacqueodisuperficie”

martedì 25 gennaio 2022

Diavolo di un Calamaro!!!

 Ora lo so, sembra grottesco che la tua “frittura di mare”, possa attentare alla tua vita in un modo diverso dal colesterolo o una possibile indigestione, si l'Italia è uno dei principali consumatori/importatori.





Tra blocchi dovuti ai contagi, il meteo e gli impegni, il tempo per immergersi in questo ultimo periodo è stato davvero poco.

Il mare spesso mi è toccato vederlo dalla TV e diverse trasmissioni su canali tematici, ultimamente sono improntati al sensazionalismo, di qualsiasi genere; uragani, tempeste, incidenti spettacolari, tutto è utile ad alzare lo share.

Per quel che riguarda il mare, scordatevi le assolate e tranquille riprese di Linea Blu, gli animali del blu sono assassini sanguinari. 



Tralascio per pudicizia quell'osceno pseudoreportage sul Megalodon, che ne millantava l'avvistamento e attacco al largo delle coste del sud Africa di questo squalo preistorico.

Quello di cui invece parleremo oggi è il Dosidicus gigas noto commercialmente come totano gigante del Pacifico o come calamaro di Humboldt, è un calamaro della famiglia Ommastrephidae, di notevoli dimensioni, che vive nelle acque della corrente di Humboldt, nell'Oceano Pacifico, al largo delle coste sudamericane.


Uno dei suoi nomi comuni, calamaro di Humboldt, deriva dall'omonima corrente oceanica, che a sua volta prese il nome dallo scienziato naturalista Alexander Von Humbolt (1769-1859).

La corrente di Humboldt è una corrente marina fredda che circola nell'Oceano Pacifico a largo delle coste occidentali del Cile e del Perù e scorre da sud a nord.

Ma tornando al nostro calamaro di Humboldt, possiamo dire che è un calamaro molto grande anche se ce ne sono di più grandi. Il fatto è che questo animale ha anche un atteggiamento piuttosto aggressivo, spaventa anche l’uomo oltre alle numerose specie di molluschi che costituiscono la sua dieta giornaliera. 

 


Nei paesi Neolatini è conosciuto anche con un altro nome “Diabolo rojo” (Diavolo Rosso) giusto per sottolinearne la sua aggressività ed il colore che assume.

Muovendosi in questa corrente a profondità variabili tra i 200-700 metri, ma c'è anche chi sostiene che si spingano tranquillamente sino a 1200 metri, dal Perù è presente su tutta la costa sud Americana occidentale sino a quelle del Messico e California. 

Generalmente non supera gli 80 cm, ma sono stati registrati casi di esemplari lunghi fino a 4 m (più realisticamente “solo” 2 m più i tentacoli), per questo è noto anche come “calamaro gigante”, arriva in media ai 50 kg di peso e sfruttando la propulsione del sifone può raggiungere i 24 Km/h. .

Vorace, è un predatore in cima alla catena alimentare, tuttavia la posizione di un calamaro all'interno di un ecosistema marino spesso dettato dalla sua taglia, cosa piuttosto rilevante, se si tiene in considerazione anche il cannibalismo di specie.

La pesca di questo cefalopode è di tipo intensivo, sebbene portata avanti con tecniche artigianali (lenze e fiocine).

Ma tornando a noi e alla subacquea più in generale, pare che esistano dei casi documentati di attacchi a sub da parte di questo cefalopode.

Ora lo so, sembra grottesco che la tua “frittura di mare”, possa attentare alla tua vita in un modo diverso dal colesterolo o una possibile indigestione, si l'Italia è uno dei principali consumatori/importatori.



Lasciatemi dire inanzitutto che un calamaro è tutt'altro che indifeso, la sua bocca posta al centro dei tentacoli è provvista di un becco corneo durissimo in grado di frantumare anche delle ossa, i tentacoli sono fornite di ventose uncinate, perfette quando afferra una preda per non lasciarsela più scappare.

A tutto questo aggiungete che si muove spesso in banchi costituiti di centinaia di individui sebbene segregati in base alle dimensioni corporee e che pare siano in grado di cacciare in branco e ci vede benissinmo al buio.


 

Ecco qui volevo arrivare, i classici Sub superstiti di un attacco, intervistati dalla solita rete televisiva DMAX, riportano quasi sempre la stessa versione.

Un calamaro di solito si mostra abbastanza vicino al sub mentre cambia colore in continuazione, predomina il tono rosso acceso che gli ha fruttato il soprannome di Diavolo Rosso, e dopo alcuni minuti il sub si ritrova accerchiato da altri calamari e poi comincia un attacco sistematico.

Si qualcosa che ricorda i Velociraptor di Jurassic Park.

Tuttavia pare un fondo di verità ci sia per davvero, e non sia solo l'ennesima puntata di River Monster (format condotto da Jeremy Wade) secondo alcune testimonianze, numerosi subacquei hanno avuto incontri piuttosto ravvicinati con i calamari di Humboldt. 


 

Shanda Magill descrive così la sua seconda esperienza, dopo una primo contatto amichevole:“Mi ha staccato il galleggiante dal petto e gettato via la luce, con una forza a dir poco
immane. Quando mi sono ripresa, il calamaro se ne era andato, ma io ero senza galleggiante. Ho scalciato come una pazza e non sapevo se sarei sopravvissuta”.

Sorte simile capitata anche a Roger Uzun, un fotografo sottomarino:“Appena ho acceso la telecamera sott’acqua si sono spinti verso di me e mi hanno colpito alla nuca. Sembravano volermi
tastare per vedere se ero commestibile. (Uno di loro). Mi ha quasi tolto la videocamera dalle mani”.

Nonostante il rischio, gli amanti del mare continuano ad essere affascinati da tali predatori degli abissi.

Il sub californiano Mike Bear riassume la questione in maniera perfetta:”Non nuoterei con loro come non camminerei in mezzo ad un branco di leoni nel Serengeti anche se so che sto perdendo
l’occasione di una vita”.

Il cambiamento di colore come una specie di lampeggio per distrarre una preda non è una cosa nuova in effetti, qualcosa del genere è stato osservato anche nella seppia gigante (Sepia apama), che se ne serve per ipnotizzare i granchi che preda.

Ok Ok La frittura vi sta tornando su, oppure stare pensando che sono un sacco di cavolate, in fondo sono “solo dei calamari”....coordinare un attacco … andiamo!

Non la pensano così Benjamin Burford dell’Hopkins Marine Station della Stanford University e Bruce Robison del Monterey Bay Aquarium Research Institute (MBARI): mentre cacciano i diablos rojos, come li chiamano in Sudamerica, comunicano tra loro utilizzando variazioni di colore di alcune aree della loro pelle e questi cambiamenti da chiaro a scuro sono visibili anche nelle buie profondità dell’oceano perché i calamari di Humboldt sono in grado di accendere tutte le aree del loro corpo con una bioluminescenza che le retro-illumina come le parole sullo schermo di un e-book. 

 


La pesca intensiva non ne scalfisce il numero, che anzi, sembra crescere.

Secondo alcuni naturalisti il problema è ancora una volta l'uomo; i regolamenti di pesca prevedono che la cattura è interdetta per esemplari al di sotto dei 50 cm, ovvero quando naturalmente il Calamaro di Humbolt raggiunge la sua maturità sessuale.

Ora la buona notizia è che pare si riproduca una sola volta nell’arco della vita, ma quando ciò avviene, la specie rivela il potenziale di fecondità più elevato tra tutti i cefalopodi. Le femmine più grandi possono produrre fino a 32 milioni di ovociti, sebbene in media tale numero resti compreso tra 300.000 e 13 milioni.

Tuttavia, secondo alcuni, il riscaldamento globale, sembra abbia accellerato questa transizione quando l'animale è ancora a circa 40 cm di lunghezza, quindi inizia a riprodursi molto prima di poter essere cacciato.

A questo aggiungete che i suoi predatori naturali, gli unici che potrebbero averne ragione quando ancora sono di quella taglia, sono gli squali, tonni e pescespada, che stanno subendo una decimazione che li sta portando all'estinzione, aggiungete che l'unico predatore in grado di attaccarli con successo quando sono più grandi sono Balene e Capodogli, ornai da più di un secolo a rischio di estinzione, il gioco è fatto.


 

La Natura non ama gli spazi vuoti, quindi se alcuni superpredatori spariscono ecco il loro posto essere occupato da altri emergenti, mai una simile frase è stata così calzante, dal momento che i Calamari, salgono dalle profondità in superficie, proprio per cacciare.

 

Link:


https://newsfood.com/california-linvasione-dei-calamari-grossi-cattivi-e-carnivori-gia-alcuni-sub-attaccati/


https://pescesostenibile.wwf.it/species/dosidicus-gigas/


https://www.esquire.com/it/news/attualita/a33443279/video-animali-calamaro-gigante-attacco/

https://www.corriere.it/animali/09_luglio_17/calamari_giganti_california_df6ad168-730f-11de-a0f6-00144f02aabc.shtml

https://greenreport.it/news/aree-protette-e-biodiversita/il-linguaggio-segreto-bioluminescente-del-calamari-di-humboldt-video/


https://www.ideegreen.it/calamaro-di-humboldt-nel-mediterraneo-111078.html


https://www.biopills.net/calamaro-di-humboldt/




Buone Bolle e Buona frittura




Fabrizio Gandino

Subacqueodisuperficie”


 


mercoledì 10 marzo 2021

La Maledizione della "Rete Fantasma"

Era l’Agosto del 1984, quando insieme ad altri milioni di telespettatori, seguii in diretta internazionale le scene dell’apertura post-recupero di una delle casseforti dell’Andrea Doria ad opera di Peter Gimbel. La settimana fu pregna di repliche dell’avvenimento e dei video dei sommozzatori che effettuarono quest’impresa usando apparecchiature avveniristiche per allora ed un nutrito impiego di miscele Trimix. Una delle cose che colpì la mia fantasia di ragazzino, fu la presenza di enormi pezzi di rete incastrati sul relitto che giace su un fianco, pezzi di rete che continuavano a intrappolare dei pesci, rimaste li probabilmente come incidente di chi non aveva valutato correttamente la posizione del relitto. Quello è il mio primo ricordo di “Reti Fantasma” allora non le chiamavano ancora così, e a ben ripensarci da bambino e anche in tempi più recenti, mi capitava di fare dei giretti a piedi lungo il litorale di S.Antioco in località “Sa barra” di trovarne a riva complete di galleggianti e piombi e di ritrovarle, anno dopo anno sempre dove le avevo intraviste la prima volta. Le reti Fantasma però sono molto di più di un semplice rifiuto abbandonato, brutto da vedere e non biodegradabile, ma un problema assai serio, con cui ormai, ogni Nazione che si affacci sul mare deve farci i conti. Si calcola che ogni anno vengono disperse in mare almeno 640mila tonnellate di reti e altri attrezzi da pesca che, se non recuperati, continuano a “pescare” per moltissimi anni, ogni giorno , tutti i giorni dall’alba al tramonto. Si Calcola che da Luglio 2019 a Settembre 2020 siano state recuperate dai fondali italiani con meno di sei tonnellate di reti fantasma (L’equivalente di 200.000 bottiglie di plastica), avviate poi successivamente alla distruzione. C’é pure chi ritiene che questa sia la punta dell’Iceberg e che in realtà ci sia ancora moltissimo da fare dal momento che le stime ci dicono che le attrezzature da pesca disperse nei mari del pianeta, di cui le reti costituiscono la massa critica siano di 640 Tonnellate all’anno nel solo Mediterraneo, che si vanno a cumulare a quelle delle annate precedenti. L’Unione Europea stima che il 20% delle attrezzature da pesca usate in Europa vengano disperse in mare: oltre 11mila tonnellate ogni anno. Nel solo golfo di Venezia la stima è di 60 mila reti finite sui fondali.
Parliamo di numeri, alcuni li abbiamo già visti prima: Più di 800 le specie minacciate, compresi gli organismi bentonici (coralligeno) 136.000 foche, leoni marini e grandi balene vengono uccise ogni anno dalle reti fantasma 870 reti sono state recuperate solo nello stato di Washington con oltre 32.000 animali marini intrappolati all’interno 11 grandi balene impigliate in reti fantasma ogni anno solo lungo la costa occidentale degli Stati Uniti 600 anni, il tempo che serve ad una rete di nylon per decomporsi (e trasformarsi haimè in microplastiche) 95 organizzazioni in sei continenti tra aziende, compagnie, associazioni e 14 governi anche europei come Regno Unito, Belgio, Paesi Bassi e Svezia (non ancora l’Italia!) sotto l’egida della “World Animal Protection” 20% di tutti i rifiuti marini, secondo quanto stimato prudentemente, tuttavia, studi recenti hanno suggerito che potrebbero rappresentare dal 46% al 70% di tutta la macro plastica nei nostri oceani in base al peso 27% dei rifiuti che deturpano le spiagge siano riconducibili ad attrezzatura da pesca dispersi, questo nella sola Unione Europea 8 milioni di tonnellate la plastica abbandonata nei mari di tutto il mondo di cui le attrezzature da pesca ne sono parte rilevante
Gli stessi pescatori ormai sono parte in causa e non solo perché responsabili, ma perché i loro stessi guadagni e la pescosità dei mari è in drastica diminuzione, non di rado infatti sono proprio loro a fornire indicazioni alla Guardia costiera circa questo triste fenomeno. Sono loro stessi a riconoscere il bisogno di un cambio di rotta, Antonio, pescatore di Castro, piccolo villaggio di pescatori in provincia di Lecce lo sostiene, "Perché - dice - è materiale plastico o sintetico, ed è causa di inquinamento sui fondali marini. E questo è un danno anche per noi pescatori. Per noi pescatori e per tutti, perché andiamo a mangiare il pesce inquinato che ha mangiato plastica, una parte di rete”. Eppure qualcosa di muove, in tutto il litorale italiano gruppi di volontari e piccoli progetti hanno preso piede al fine di limitare i danni. E’ il caso di un iniziativa che sta avendo luogo in Puglia e che vede coinvolte anche le istituzioni di Albania e Montenegro, in un progetto chiamato “Adrinet”. L’iniziativa è finanziata dalla Comunità Europea all’85% il restante 15% è in carico ai tre Paesi facenti parte del progetto, per un importo di poco superiore al milione di Euro. In questo caso specifico una delle soluzioni che si è scelto di percorrere passa per l’applicazione di tecnologie GPS per favorire il recupero; obbligo di segnalazione e recupero in caso di perdita (in Europa è già obbligatorio); nella fattispecie un microchip che fissato alle reti ne consente rapidamente il ritrovamento e l’identificazione del proprietario. Si agisce su vari fronti, il riciclo delle reti recuperate ad esempio, l’azienda italiana Aquafil utilizza reti abbandonate e altri rifiuti in plastica per produrre costumi da bagno e abbigliamento sportivo. Un’altra azienda spagnola, la Ecoalf, ha realizzato una linea di maglioni realizzati con attrezzatura da pesca recuperata. Il fenomeno ormai sta riscuotendo un certo clamore, in parte per una rinnovata coscienza ecologica, alla quale le nuove generazioni cominciano ad essere più interessate, questo non poteva passare inosservato dai Network televisivi, faccio ampio riferimento al canale tematico DMAX, che ha inserito nel suo palinsesto un reality che parla delle gesta di un gruppo di subacquei volontari che operano nel mare di Sicilia alla bonifica delle reti fantasma. Nel mio piccolo durante le immersioni a Calafuria mi è capitato di verderne alcune e direi che sono lì da diverso tempo, sebbene in tempi recenti ne sono state avvistate di nuove (Vi rimando al link di un altro post che ne parlava (https://subacqueodisuperficie.blogspot.com/2019/04/cosa-sta-succedendo-calafuria.html)
Quindi che si fa ci si infila la muta e si scende sotto a tirare via delle reti ...ma proprio no! Tanto per cominciare si tratta di un tipo di operazione che comporta diversi rischi, che richiede esperienza, sangue freddo ed una serie di competenze. Bisogna avere assetto e acquaticità perfetti, avere le giuste attrezzature (Palloni di sollevamento e quant’altro), saper valutare correttamente le diverse situazioni (quando conviene staccare una rete dalla roccia e quando invece è più opportuno lasciarla lì, magari dopo averla messa in sicurezza. A volte infatti la rete è talmente vecchia che, staccandola, rischiamo di peggiorare la situazione e danneggiare gli organismi bentonici ), saper lavorare in squadra e dulcis in fundo, non guasta affatto avere pratica ed essere abilitati all’utilizzo di un reatheber e/o miscele decompressive. NON CI SI IMPROVVISA CHIARO! “Ma allora, io semplice sub ricreativo, che posso fare?”, la risposta è “Molto”, il mare è grande e tanto per cominciare rilevando la posizione e dando alla Guardia Costiera e/o Capitaneria di Porto, tutte le informazioni necessarie al ritrovamento ed ad una successiva bonifica, per la quale “Loro” sono perfettamente attrezzati e addestrati. Reti, tramagli lenze fisse e lenze a traina: un altro fattore estremamente rischioso e sottovalutato è il potenziale pericolo indotto da reti e lenze dei pescatori. Prima di tutto si consiglia di immergersi lontano dalle tratte segnalate; in secondo luogo è opportuno fare attenzione a quelle abusive e di munirsi ALMENO di un coltello ben affilato (meglio due) da tenere alla caviglia, al braccio o alla cintura. Impigliarsi in una di quelle durante l'immersione potrebbe determinare l'impossibilità di riemergere. Buone bolle!!
Link: “Ghost Fishing” https://www.ghostfishing.org/ “Life-ghost” http://www.life-ghost.eu/index.php/it/ “Global Ghost Gear Initiative” https://www.ghostgear.org/ “FAO” http://www.fao.org/news/story/en/item/19353/icode/
Fabrizio Gandino “Subacqueodisuperficie”

domenica 12 luglio 2020

Il Mare nel secchiello, uno spunto per i giovani futuri sub

Delle attività che mi ha sempre dato maggiore soddisfazione, che il Casio Divers Group persegue, mi manca particolarmente quella di divulgazione con i bambini, sono delle spugne nel senso più completo del termine, e come molti, coltivo la speranza che potranno essere degli adulti migliori di noi. Ho sempre pensato che si finisce per distruggere per lo più per ignoranza, che se insegni ad apprezzare la bellezza, la complessità delle diverse e tante forme di vita non puoi rimanere indifferente. Lo so  è difficile mantenere quella curiosità tipica dei bambini, ma altresì lo trovo un esercizio stupendo per non rischiare di divenire indifferenti e dare per scontato qualsiasi cosa. L'educazione al rispetto dell'ambiente, nel nostro caso del mare nella fattispecie, è rispetto del mondo che ci circonda ed in prima ed ultima analisi rispetto per noi stessi.
Non vi tedio oltre e vi invito a leggere questo post di Marco Colombo, con curiosità e con quel sorriso che vi comparirà in volto ricordando le nostre prime esperienze con i piedi a bagno, quando la preoccupazione più grande era "cosa fare nelle tre ore dopo mangiato prima di poter fare il bagno".
Per converso però, pubblico anche un altro intervento di Lorenzo Brenna, con una diversissima scuola di pensiero, questo per par condicio e per dare ad ogniuno di voi la possibilità di formarsi una sua opinione.
Buona Lettura.

Fabrizio Gandino
"Subacqueodisuperficie"















Il Mare nel Secchiello


Come ogni anno, con l’arrivo della bella stagione rispunta la regolare diatriba tra chi lascia i bambini in spiaggia con secchiello e granchi, e chi invece condanna queste pratiche.
Di seguito vi racconterò il mio punto di vista, che spero possa ispirarvi e innescare una discussione costruttiva sull’argomento, ricco di sfaccettature.
Quello a cui mi riferisco non è ovviamente mettere le meduse a cuocere sugli scogli per “bonificare” il mare (un atto stupido).


Un caso tipico di scontro sono le stelle marine: nonostante alcune specie vivano, per esempio in Nuova Zelanda, nelle pozze di marea e sopravvivano regolarmente all’emersione (qui una bellissima foto: https://www.pinterest.it/pin/365706432217077511/), le specie mediterranee più vistose si rinvengono usualmente ad alcuni metri di profondità, e quindi portarle fuori dall’acqua anche temporaneamente potrebbe arrecare danni al loro sistema acquifero. L’invito è di non andare con maschera e pinne a raccattare animaletti in profondità per poi portarli in spiaggia, ma di concentrarsi nell’osservazione di ciò che vive nelle pozze di marea, nei primi centimetri d’acqua.
Gli animali delle pozze di marea, come granchi, gamberi, molluschi e piccoli pesci, sono dei veri eroi: vivono in uno degli ambienti più difficili del mondo.
Portale AMP Portofino
Pozza di marea

Bombardati dalle mareggiate, schiacciati da onde d’urto immani, sempre a contatto con rocce taglienti, cotti dal sole estivo o esasperati dalla salinità delle pozze, questi animali (e pure le alghe) sono stati selezionati dall’evoluzione per resistere a tutto.
In particolare:
- Alcune specie, come i granchi Pachygrapsus marmoratus ed Eriphia verrucosa, riescono a resistere tranquillamente a condizioni di salinità e temperatura molto elevate, legate all’evaporazione nel periodo estivo
- Molte specie, a causa dell’escursione delle maree, sono in grado di sopravvivere a lunghi periodi di emersione, trattenendo l’acqua al loro interno (es. il pomodoro di mare Actinia aequina) o comunque nella conchiglia (vari molluschi); certe alghe hanno apposite strutture di raccolta dell’acqua per mantenersi idratate e vive e sopravvivono anche per giorni all’asciutto
- La forma di conchiglie come quelle delle patelle permette loro di diminuire le turbolenze e resistere all’impatto delle onde senza farsi trascinare via; alcune alghe sono molto elastiche, per smorzare l’attrito e assecondare l’acqua, mentre certe spugne sono piatte, aderenti alla roccia, per non farsi strappare via
- I pesci delle pozze non hanno di solito vescica natatoria, dovendo rimanere vicino al fondo, inoltre il loro corpo è ricoperto di muco per diminuire le abrasioni contro le rocce; addirittura la bavosa Coryphoblennius galerita può uscire volutamente dall’acqua, di notte, per ripararsi dai predatori subacquei, e riposare appena sopra la superficie, su sporgenze di moli e rocce
È davvero quindi un maltrattamento mettere un granchio in un secchiello per guardarlo? Dipende solo dai genitori.

Se questi ultimi infatti sono assenti, non guidano i figli e non li educano, i bambini fanno un po’ a caso e possono, più o meno volontariamente, uccidere o maltrattare gli animaletti.
Genitori sensibili e presenti invece possono trasformare l’esperienza della spiaggia col secchiello in qualcosa di estremamente educativo e bello: quando ero piccolo passavo tutto il giorno sugli scogli alla ricerca di paguri, granchi, succiascogli e trivie.
Montale li avrebbe chiamati “Sugheri, alghe e asterie, le inutili macerie del mio abisso”, ma per me erano un microcosmo affascinante in cui perdermi: li guardavo nelle pozze, e a volte li mettevo nel secchiello (foto a sinistra, avevo 4 anni). Una volta ho addirittura salvato un cavalluccio marino da una mareggiata. Ho così imparato come respira un granchio, ho toccato con mano il piede della patella, ho ammirato i colori del nudibranco. Non ho mai torturato nessuno e tutti sono stati rilasciati illesi dopo pochissimo; se so tante cose oggi, è anche grazie a questa attività, che come unica controindicazione aveva tutte le cadute che mi sono fatto, con tagli colossali sulle gambe (vedi foto nel primo commento).
Come detto sopra, gli animaletti delle pozze di scogliera sono molto resistenti: non sono di certo pochi minuti in un secchiello a far loro del male.

Come praticare al meglio questa attività?
1) Educa i tuoi bambini al rispetto e all’empatia, controlla come si comportano nei confronti degli animaletti e guidali verso un atteggiamento corretto, gli animali non sono giocattoli
2) Portali al mattino e alla sera, quando il sole è meno forte, ad esplorare le pozze di marea, lasciando stare tutto ciò che vive a più di 50 cm di profondità e concentrandoti solo su animaletti mobili (non sessili)
3) Favorisci sempre la sola semplice osservazione nella pozza rispetto alla cattura
4) Se proprio devi mettere un animale nel secchiello, maneggialo con delicatezza, senza stringere, e senza lasciarlo dentro per ore (avranno anche i cazzi loro da fare no?); l’acqua nel secchiello deve essere fresca
5) Insegna ai tuoi figli che una volta osservati vanno immediatamente liberati nello stesso punto in cui li avete trovati
6) Mai provato la pedicure coi gamberi? Mettete i piedi in una pozza, i gamberetti del genere Palaemon vi solleticheranno per staccare piccoli pezzi di pelle con le loro chele. Provare per credere!
Concludendo, l’osservazione degli animali tra gli scogli è estremamente istruttiva e gratificante; qualora si tratti di specie mobili comuni e adattate alla marea, la manipolazione temporanea, senza maltrattamenti o essiccazione, non arreca danno sotto la supervisione di un adulto senziente.

Ma, soprattutto, iniziate i vostri bimbi alla bellezza del mare “oltre” la spiaggia: ho imparato a nuotare seguendo il papà con maschera e pinne (foto a destra), perché nella fretta di andare a vedere i pesci ho dimenticato i braccioli appena comprati per l’occasione. Il mare mi ha accolto nelle sue braccia, e da allora non mi ha mai abbandonato, e io cerco con la divulgazione e la sensibilizzazione di non abbandonare mai lui.
Quella linea dove il cielo incontra il mare da sempre mi chiama.
www.calosoma.it


Marco Colombo

Link dove troverete questo post in originale: https://www.facebook.com/search/top/?q=scubabiology&epa=SEARCH_BOX 


L’iniziativa Secchiello stop

Estate, tempo di vacanze e di giornate al mare, tempo di sole e di relax. Il clima spensierato non è però condiviso da tutti, da decine di secchielli si levano infatti mute grida d’aiuto emesse da una grande varietà di piccole creature marine. In quasi tutte le spiagge della penisola è possibile assistere alle medesima scena, un bambino che, armato di retino e secchiello, cattura qualsiasi cosa si muova, piccoli pesci, granchi, paguri, patelle, ricci di mare, meduse e oloturie. La fine di questi animali è quasi sempre la stessa: vengono lasciati ore e ore nel secchiello, sotto il sole, mentre l’acqua si scalda raggiungendo presto temperature insopportabili, condannando i prigionieri ad una lenta agonia.
Per contrastare questi comportamenti è stata lanciata in diversi comuni liguri l’iniziativa Secchiello stop, campagna di sensibilizzazione nata per educare i bambini, ma soprattutto i loro genitori, a rispettare gli animali marini. L’iniziativa, promossa dal Lions club di Diano Marina, coinvolge le spiagge della Riviera di Ponente, situata nella parte occidentale della Liguria, e mira a vietare la raccolta di animali marini per puro divertimento.


I protagonisti di queste scorribande tra spiagge e scogli sono i bambini, la responsabilità è però, chiaramente, da ascrivere ai genitori. Questi ultimi infatti chiudono un occhio (spesso entrambi) su tali passatempi dei figli, credendo che siano giochi innocenti e senza conseguenze. Le conseguenze ci sono invece, e sono “molto gravi – ha spiegato la biologa Monica Previati. – Il problema sta nei numeri: se tutti i bambini e i ragazzi e gli adulti, che ogni estate trascorrono le vacanze lungo le coste italiane, prendessero anche solo un piccolo animale al giorno, centinaia di migliaia di esemplari verrebbero uccisi per niente, solo per poter far trascorrere mezz’ora di gioco ai nostri figli e di relax a noi. Prendere un granchio o una stella marina e metterli nel secchiello equivale a una loro morte certa”. Oltre all’effettivo danno ambientale viene impartita una lezione discutibile al bambino, che impara che è possibile disporre a proprio piacimento delle creature più deboli e indifese


Oltre che immorale tale condotta è anche illegale, viene infatti violato l’articolo 544 del Codice penale che recita, “Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro”.
È possibile però soddisfare la naturale curiosità dei bambini senza nuocere agli animali, osservare gli animali nel loro habitat, immergendosi con la maschera o semplicemente camminando a ridosso delle scogliere, è estremamente più soddisfacente, osservando il vero comportamento di queste creature, non la loro morte in un secchiello di plastica.

 Lorenzo Brenna


Link dove troverete questo post in originale: https://www.lifegate.it/secchiello-stop-basta-animali-maltrattati-spiaggia
 

mercoledì 8 luglio 2020

Per un pugno di... nudibranchi

Sabato 27 Giugno 2020. Nei giorni interminabili del lockdown passati a forza di webinair, viedeochiamate di gruppo, guardare foto e filmati di immersioni passate, i vari “appena finisce andremo”, “faremo”, “dobbiamo andare a...”, “quanto deve essere bella sta immersione”, si sprecavano, inevitabili anche i “Torneremo a ...”.

Tra questi, anche la Spiaggia del Siluripedio a Porto Santo Stefano (Monte Argentario) dove eravamo già stati a giugno dell'anno scorso, che malgrado un fondale apparentemente spoglio, inframmezzato da “relitti industriali” e quel che resta delle vecchie strutture del siluripedio, andato distrutto sotto i bombardamenti alleati dell'ultima guerra, brulica di vita.

Il fondale si presta molto bene a delle immersioni facili per i neofiti, che accedendo da terra dal diving Costa d'Argento, possono spaziare tenendo la riva sulla destra verso il lato che va verso la sede della Capitaneria di Porto (da non oltrepassare, fate attenzione alle boe ormeggiate), ed invece tenendo la costa sulla sinistra, si può procedere verso le rovine stesse del siluripedio.
Il fondale alterna ghiaia grossa a sedimenti fangosi che rendono evidente il bisogno di avere un buon assetto neutro in acqua.
Ogni anfratto, ogni struttura sommersa può nascondere il vero tesoro di questo posto, che molti fotografi subacquei qui cercano e vengono a immortalare, il nostro Marco Moretti tra questi.
Parlo dei nudibranchi/opistobranchi (come giustamente preciserebbe Fabio Russo di Scubabiology) e del Sacro Graal di molti fotosub: l'Ippocampo.

Levataccia per noi della montagna alla volta di Pistoia, ed equipaggi regolarmente divisi in rispetto dei divieti vigenti per le norme anti-Covid 19, incontro direttamente a Porto Santo Stefano.
Il posto è come lo ricordavo, e devo spendere necessariamente due parole di elogio per Stefano Bausani e Laura Celi, che insieme al loro staff del diving “Costa d'Argento”sono stati bravissimi a minimizzare i pur necessari disagi imposti dal rispetto delle norme di distanziamento attualmente vigenti, rendendo la giornata, per noi subbi e per i nostri accompagnatori, comunque piacevole.

Presenti all'appuntamento Marco, Antonio, Yurica, Michele, Massy, intervenuta anche Elena che però ha deciso di limitarsi ad un po' di snorkneling ed il nostro ultimo acquisto Matteo. Ad essere sinceri per me non è cominciata benissimo, la batteria della macchina fotografica, mi ha dato impiegabilmente buca, sebbene l'avessi religiosamente controllata e ricaricata la sera prima, per cui mi sono dovuto contentare delle riprese della Go Pro e della Garmin.
Oltre alle immancabili Oloturie, posso osservare sin da subito alcuni murici in predazione, il Bolinus brandaris e l'Hexaplex trunculus, poco più in là, perfettamente mimetizzata ed inclinata inusualmente, Antonio mi segnala una grossa Pinna nobilis.

Ovunque le Triglie grufolano nella sabbia, accompagnate da Saraghi fasciati, Castagnole, Perchie e Donzelle, ma è Marco che fa un avvistamento che cerco da un po', mi chiama, sotto una roccia in tana, ecco un bel gronco (Conger conger) di rispettabili dimensioni, da come si rintana e fa il timido, non sembrerebbe il predatore vorace che può essere.
Non mancano ovviamente diversi esemplari di Echinaster, Spirografo (Sabella spallanzani) e Protula che si ricihudono repentine appena ci si avvicina, nei pressi anche diversi Gigli di mare (Antedon mediterranea), sostano sulle rocce.


Nella sabbia faccio un ritrovamento a dir poco insolito, un dattero di mare (Lithopaga litophaga), la conchiglia vuota, in buone condizioni, con entrambe le valve incernierate, la cosa strana è che qui di scogli per un po' non ce ne sono e questo mollusco vive scavandosi una nicchia nella pietra secernendo un acido, si tratta di una specie protetta, messa in serio pericolo da una scriteriata raccolta, particolarmente apprezzato da gourmet facoltosi che non si fanno troppi scrupoli.
Nella fattispecie è assai probabile che provenga da una mareggiata, ma come sia uscito dalla roccia è un incognita. 

Si esce per la sosta di superficie, e l'immancabile cocomerata, vengo preso in giro perchè ho preso un cocomero di 16 kg e siamo solo in nove... mai contenti!
Nella seconda immersione decidiamo di esplorare il lato destro, dirigendoci quasi subito verso il fondo, mentre aspetto gli altri in acqua per non sciogliermi al sole come un bastoncino di liquerizia nel forno, mi do un occhiata intorno, non sono il solo, una spigola continua a girarmi intorno, probabilmente perfettamente conscia che in questo tratto di costa è proibita la pesca.

Ho appena scoperto una Stella serpentina (Ophioderma longicauda), che cerca di scappare sotto un sasso, quando Marco e Matteo individuano sotto ua grossa lamiera, una cernia ed un grosso scorfano.
Mi aggiro lì intorno cercando di vedere segni del passaggio di qualche Galeodea echinophora, dal momento che ne avevo trovato i resti la volta scorsa proprio in quel tratto. Marco e Matteo frattanto stanno facendo il pieno di immagini, vicino ad una specie di trespolo hanno individuato una piccola colonia di nudibranchi e stanno scattando a più non posso.

Marco me li indica, i suoi occhi allenati sanno cosa individuare, probabilmente io li avrei ignorati, anche cercandoli.
C'è una leggera corrente, che spinge verso Porto Santo Stefano, noto da sotto un sasso spuntare la caratteristica testa affusolata di una murena a fauci spalancate, più minacciosa in apparenza di quanto non sia davvero, ormai è un oretta che siamo sotto e comincio a sentirmi un po' stanco, lentamente facciamo ritorno alla scaletta, al diving.


Rimessaggio e risciacquo a turno delle attrezzature e ritorno alle auto, non prima del consueto aperitivo con scambio di esperienze. Marco e Matteo sono soddisfatti, il loro carniere fotografico è pieno: Flabellina affinis, Cratena baibai, Flabellina ischitana, Vacchetta di mare, Dondice. Dei cavallucci marini neppure questa volta l'ombra...ma noi siamo tenaci...torneremo!





Buone Bolle!

In questo periodo assai consigliata la prenotazione per l'espletamento delle formalità burocratiche





Fabrizio Gandino

“Subacqueodisuperficie”