«L'uomo deve rappresentare l'occhio che osserva per
guidare l'opera - diceva - assurdo pretendere che a 70 metri,
bloccato da pressioni esterne sproporzionate, egli possa usare le
mani e le gambe. Assurdo e sbagliato...»
L’edizione
dell’EUDI Show di Bologna 2019 ha ospitato la mostra sull’Artiglio,
per chi non sapesse di cosa stiamo parlando, dirò brevemente che
l’Artiglio e il suo equipaggio, furono l’orgoglio della
pionieristica subacquea/Palombari/recuperi italiana e mondiale del secolo scorso.
Erano gli anni 30’
quando un esplosione , precisamente domenica 7 dicembre 1930,
travolse ed affondò l'Artiglio, mentre era impegnato nella
demolizione del piroscafo "Florence", il nome di Viareggio
e dell'Artiglio occupò tristemente le prime pagine di tutti i
giornali del mondo.
I nomi dei palombari
Alberto Gianni, Aristide Franceschi, Alberto Bargellini ed il
marinaio Romualdo Cortopassi, tutti di Viareggio, tornarono ad
occupare le colonne dei giornali per l’ultima volta.
Erano stati i
protagonisti di imprese ritenute sino a quel momento impossibili:
Alberto Gianni fu un precursore, palombaro già famoso nel 1914
addetto alla marina da guerra come palombaro, studiò ed inventò
nuove attrezzature, come la Torretta da osservazione, e primo fra
tutti tra gli utilizzatori che abbandonarono gli scafandri in gomma
per passare a quelli in acciaio di fabbricazione tedesca.
Si trattava di scafandri rigidi e articolati, costruiti dalla Neufeldt und Kuhnke, forniti di gambe e braccia terminanti con artigli metallici in grado di afferrare utensili. Il palombaro attraverso degli oblò poteva osservare l’esterno e comunicava con la superficie attraverso un cavo telefonico.
Balzò inoltre alle cronache per il recupero dell'aereo Idrocorsa Savoia-Marchetti S65 del corpo del suo pilota, l'asso della Regia Aviazione, il Maresciallo pilota Tommaso Dal Molin nel Lago di Garda il 30 gennaio 1930
Si trattava di scafandri rigidi e articolati, costruiti dalla Neufeldt und Kuhnke, forniti di gambe e braccia terminanti con artigli metallici in grado di afferrare utensili. Il palombaro attraverso degli oblò poteva osservare l’esterno e comunicava con la superficie attraverso un cavo telefonico.
Balzò inoltre alle cronache per il recupero dell'aereo Idrocorsa Savoia-Marchetti S65 del corpo del suo pilota, l'asso della Regia Aviazione, il Maresciallo pilota Tommaso Dal Molin nel Lago di Garda il 30 gennaio 1930
In un epoca che si
può definire tranquillamente “eroica” per la subacquea ed i
recuperi in profondità, l’equipaggio dell’Artiglio fece parlare
di sé prima con quello quello del piroscafo inglese Washington, che
faceva parte di un convoglio proveniente dagli USA, affondato da un
sommergibile tedesco che lo colpì con un siluro. Successivamente fu
la volta dei piroscafi Ravenna, Umberto 1º, Eyloniam, Monte Bianco e
Stromboli e dei loro preziosi carichi, ed infine il loro successo più
grande: la localizzazione e recupero del carico dell’ Egypt.
Il piroscafo era
affondato il 20 maggio 1922, in seguito alla collisione dell’Egypt
con un mercantile francese, il Seine, in un punto
dell’Atlantico a circa 50 chilometri dalla costa bretone.
c'è persino un marinaio che fuma |
La Società
armatrice dell’Artiglio, la So.ri.ma. Venne a conoscenza dei
carichi contenuti nei relitti sul fondo dell'oceano, creando le
premesse per la più grande impresa mai affrontata: il recupero del
carico dell'Egypt, piroscafo, affondato in un punto imprecisato del
canale della Manica, si seppe poi che conservava, ad una profondità
di 130 metri un vero e proprio tesoro: 5 tonnellate e mezzo di oro e
43 tonnellate di argento, per un valore di 5 milioni e mezzo di
dollari di allora! Una cifra principesca.
Quel successo diede
fama e gloria ai palombari italiani, proiettando le loro imprese
nell’immaginario di tutto il mondo, generando ammirazione e
rispetto in ogni marineria dell’epoca.
In realtà l’impresa
fu portata a termine dall’Artiglio II, grazie agli sforzi e alla
preparazione dell’equipaggio dell’Artiglio. Cos’era successo?
Il commendatore
Giovanni Quaglia, uomo dotato di grande capacità imprenditoriale e
lungimiranza, nonché armatore della So.ri.ma. armò una seconda
nave, originariamente iscritta con il nome Maurétanie, e
rinominandola con lo stesso nome Artiglio, la quale venne
tuttavia, per distinguerlo, sempre chiamata "Artiglio II".
Con questa nave, riarmata e ristrutturata dall'equipaggio della
So.ri.ma., in gran parte attrezzata con il materiale recuperato
dall'Artiglio riuscì nell’impresa (questo nel giugno del 1932).
Era successo che a
causa del maltempo invernale, l’equipaggio dell’ Artiglio aveva
dovuto interrompere le operazioni di recupero, posticipandolo
primavera successiva. Nel frattempo quindi l'Artiglio fu
destinato l'isola di Bele Ile, in
Francia con lo scopo di effettuare il recupero della nave Florence
carica di un cospicuo quantitativo di esplosivi, il recupero era
particolarmente necessario in quanto la nave, affondata durante il
primo conflitto Mondiale, di trovava davanti al porto ostruendone il
passaggio.
Il resto è storia:
durante le fasi di demolizione della Florence, furono commessi
degli errori: alcuni dicono che si suppose che l'esplosivo, immerso
da più di 13 anni, non fosse reattivo, altri che che ne fosse stata
sottostimata l’effettivo quantitativo.
Oggi gli artificieri
direbbero che l’equipaggio dell’Artiglio, al fine di disinnescare
le cariche presenti sul relitto predisposero accidentalmente un
“esplosione per simpatia”, si fa detonare una carica minore in
modo da innescare l’esplosione
del carico esplosivo al fine di neutralizzarlo da un esplosione accidentale, qualora fosse rimasto lì.
del carico esplosivo al fine di neutralizzarlo da un esplosione accidentale, qualora fosse rimasto lì.
Questa però non era
la loro intenzione, l’esplosivo doveva servire solo ad entrare nel
relitto, che però innescò la detonazione del carico bellico che
la nave conteneva esplose. La nave Artiglio, impreparata a
questa eventualità si trovava troppo vicina venendo a sua volta
distrutta dall'esplosione e trascinata sul fondo. In questo tragico
incidente morì gran parte dell'equipaggio, tra cui i palombari
Alberto Gianni, Aristide Franceschi e Alberto Bargellini tutti
originari di Viareggio.
Nel 1983
alcuni subacquei francesi si immergono nelle fredde acque della baia di
Quiberon. Sono alla ricerca del relitto di una nave esplosa in aria ed
affondata negli anni ‘30, la Florence H.
Nei suoi pressi, su un fondale poco profondo trovano i resti di un altro scafo che appare in condizioni ancora buone. Sembra un vecchio piroscafo ancora con lo scafo chiodato; certo i suoi ponti e le sovrastrutture sono collassati, ma tra il fango si riescono ancora a distinguere i vecchi locali interni. La prima cosa che viene in mente a quei subacquei è che possa essere il relitto del mitico Artiglio, affondato nel 1930 proprio mentre stava operando sul Florence, ci vuole del tempo per l'identificazione, ma quello è proprio il relitto dell' Artiglio.
Nei suoi pressi, su un fondale poco profondo trovano i resti di un altro scafo che appare in condizioni ancora buone. Sembra un vecchio piroscafo ancora con lo scafo chiodato; certo i suoi ponti e le sovrastrutture sono collassati, ma tra il fango si riescono ancora a distinguere i vecchi locali interni. La prima cosa che viene in mente a quei subacquei è che possa essere il relitto del mitico Artiglio, affondato nel 1930 proprio mentre stava operando sul Florence, ci vuole del tempo per l'identificazione, ma quello è proprio il relitto dell' Artiglio.
A distanza di quasi novant’anni da quei fatti all’ Eudi Show 2019
di Bologna, abbiamo potuto vedere la mostra “L’Artiglio
ritrovato”.
Una collezione di
cimeli recuperati dal fondo del mare della gloriosa nave da recupero,
un sacco di oggetti di uso comune, ma anche attrezzature dell’epoca
originali utilizzate dai membri dell’equipaggio.
Tutto come congelato in un istante nel tempo, gli oggetti ci parlano della vita di bordo, dei passatempi, del modo di lavorare dell'equipaggio, tutto un attimo prima che l'esplosione della Florence cancellasse tutto, consegnando l'Artiglio e i suoi dodici uomini di equipaggio agli abissi per sempre.
Tutto come congelato in un istante nel tempo, gli oggetti ci parlano della vita di bordo, dei passatempi, del modo di lavorare dell'equipaggio, tutto un attimo prima che l'esplosione della Florence cancellasse tutto, consegnando l'Artiglio e i suoi dodici uomini di equipaggio agli abissi per sempre.
Credo ci volesse un
coraggio fuori dal comune, per infilarsi dentro quelle attrezzature
così pesanti e primitive, lo stesso Gianni, aveva dichiarato
all’epoca che: «L'uomo deve rappresentare l'occhio che osserva per
guidare l'opera - diceva - assurdo pretendere che a 70 metri,
bloccato da pressioni esterne sproporzionate, egli possa usare le
mani e le gambe. Assurdo e sbagliato...».
Credo che le immagini parlino da sole, meglio di ogni altro mio commento, rendendo onore al ricordo di quegli audaci precursori .
Fabrizio Gandino
"Subacqueodisuperficie"
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