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domenica 14 aprile 2019

EUDI Show 2019 - L'Artiglio Ritrovato






 «L'uomo deve rappresentare l'occhio che osserva per guidare l'opera - diceva - assurdo pretendere che a 70 metri, bloccato da pressioni esterne sproporzionate, egli possa usare le mani e le gambe. Assurdo e sbagliato...»


L’edizione dell’EUDI Show di Bologna 2019 ha ospitato la mostra sull’Artiglio, per chi non sapesse di cosa stiamo parlando, dirò brevemente che l’Artiglio e il suo equipaggio, furono l’orgoglio della pionieristica subacquea/Palombari/recuperi italiana e mondiale del secolo scorso.
Erano gli anni 30’ quando un esplosione , precisamente domenica 7 dicembre 1930, travolse ed affondò l'Artiglio, mentre era impegnato nella demolizione del piroscafo "Florence", il nome di Viareggio e dell'Artiglio occupò tristemente le prime pagine di tutti i giornali del mondo.

I nomi dei palombari Alberto Gianni, Aristide Franceschi, Alberto Bargellini ed il marinaio Romualdo Cortopassi, tutti di Viareggio, tornarono ad occupare le colonne dei giornali per l’ultima volta.
Erano stati i protagonisti di imprese ritenute sino a quel momento impossibili: Alberto Gianni fu un precursore, palombaro già famoso nel 1914 addetto alla marina da guerra come palombaro, studiò ed inventò nuove attrezzature, come la Torretta da osservazione, e primo fra tutti tra gli utilizzatori che abbandonarono gli scafandri in gomma per passare a quelli in acciaio di fabbricazione tedesca.


Si trattava di scafandri rigidi e articolati, costruiti dalla Neufeldt und Kuhnkeforniti di gambe e braccia terminanti con artigli metallici in grado di afferrare utensili. Il palombaro attraverso degli oblò poteva osservare l’esterno e comunicava con la superficie attraverso un cavo telefonico.
Balzò inoltre alle cronache per il recupero dell'aereo Idrocorsa Savoia-Marchetti S65 del corpo del suo pilota, l'asso della Regia Aviazione, il Maresciallo pilota Tommaso Dal Molin nel Lago di Garda il 30 gennaio 1930
In un epoca che si può definire tranquillamente “eroica” per la subacquea ed i recuperi in profondità, l’equipaggio dell’Artiglio fece parlare di sé prima con quello quello del piroscafo inglese Washington, che faceva parte di un convoglio proveniente dagli USA, affondato da un sommergibile tedesco che lo colpì con un siluro. Successivamente fu la volta dei piroscafi Ravenna, Umberto 1º, Eyloniam, Monte Bianco e Stromboli e dei loro preziosi carichi, ed infine il loro successo più grande: la localizzazione e recupero del carico dell’ Egypt.
Il piroscafo era affondato il 20 maggio 1922, in seguito alla collisione dell’Egypt con un mercantile francese, il Seine, in un punto dell’Atlantico a circa 50 chilometri dalla costa bretone.
c'è persino un marinaio che fuma
La Società armatrice dell’Artiglio, la So.ri.ma. Venne a conoscenza dei carichi contenuti nei relitti sul fondo dell'oceano, creando le premesse per la più grande impresa mai affrontata: il recupero del carico dell'Egypt, piroscafo, affondato in un punto imprecisato del canale della Manica, si seppe poi che conservava, ad una profondità di 130 metri un vero e proprio tesoro: 5 tonnellate e mezzo di oro e 43 tonnellate di argento, per un valore di 5 milioni e mezzo di dollari di allora! Una cifra principesca.
Quel successo diede fama e gloria ai palombari italiani, proiettando le loro imprese nell’immaginario di tutto il mondo, generando ammirazione e rispetto in ogni marineria dell’epoca.
In realtà l’impresa fu portata a termine dall’Artiglio II, grazie agli sforzi e alla preparazione dell’equipaggio dell’Artiglio. Cos’era successo?
Il commendatore Giovanni Quaglia, uomo dotato di grande capacità imprenditoriale e lungimiranza, nonché armatore della So.ri.ma. armò una seconda nave, originariamente iscritta con il nome Maurétanie, e rinominandola con lo stesso nome Artiglio, la quale venne tuttavia, per distinguerlo, sempre chiamata "Artiglio II". Con questa nave, riarmata e ristrutturata dall'equipaggio della So.ri.ma., in gran parte attrezzata con il materiale recuperato dall'Artiglio riuscì nell’impresa (questo nel giugno del 1932).
Era successo che a causa del maltempo invernale, l’equipaggio dell’ Artiglio aveva dovuto interrompere le operazioni di recupero, posticipandolo primavera successiva. Nel frattempo quindi l'Artiglio fu destinato l'isola di Bele Ile, in Francia con lo scopo di effettuare il recupero della nave Florence carica di un cospicuo quantitativo di esplosivi, il recupero era particolarmente necessario in quanto la nave, affondata durante il primo conflitto Mondiale, di trovava davanti al porto ostruendone il passaggio.
Il resto è storia: durante le fasi di demolizione della Florence, furono commessi degli errori: alcuni dicono che si suppose che l'esplosivo, immerso da più di 13 anni, non fosse reattivo, altri che che ne fosse stata sottostimata l’effettivo quantitativo.
Oggi gli artificieri direbbero che l’equipaggio dell’Artiglio, al fine di disinnescare le cariche presenti sul relitto predisposero accidentalmente un “esplosione per simpatia”, si fa detonare una carica minore in modo da innescare l’esplosione
del carico esplosivo al fine di neutralizzarlo da un esplosione accidentale, qualora fosse rimasto lì.
Questa però non era la loro intenzione, l’esplosivo doveva servire solo ad entrare nel relitto, che però innescò la detonazione del carico bellico che la nave conteneva esplose. La nave Artiglio, impreparata a questa eventualità si trovava troppo vicina venendo a sua volta distrutta dall'esplosione e trascinata sul fondo. In questo tragico incidente morì gran parte dell'equipaggio, tra cui i palombari Alberto Gianni, Aristide Franceschi e Alberto Bargellini tutti originari di Viareggio.
Nel 1983 alcuni subacquei francesi si immergono nelle fredde acque della baia di Quiberon. Sono alla ricerca del relitto di una nave esplosa in aria ed affondata negli anni ‘30, la Florence H.
Nei suoi pressi, su un fondale poco profondo trovano i resti di un altro scafo che appare in condizioni ancora buone. Sembra un vecchio piroscafo ancora con lo scafo chiodato; certo i suoi ponti e le sovrastrutture sono collassati, ma tra il fango si riescono ancora a distinguere i vecchi locali interni. La prima cosa che viene in mente a quei subacquei è che possa essere il relitto del mitico Artiglio, affondato nel 1930 proprio mentre stava operando sul Florence, ci vuole del tempo per l'identificazione,  ma quello è proprio il relitto dell' Artiglio.
A distanza di quasi novant’anni da quei fatti all’ Eudi Show 2019 di Bologna, abbiamo potuto vedere la mostra “L’Artiglio ritrovato”.
Una collezione di cimeli recuperati dal fondo del mare della gloriosa nave da recupero, un sacco di oggetti di uso comune, ma anche attrezzature dell’epoca originali utilizzate dai membri dell’equipaggio.
Tutto come congelato in un istante nel tempo, gli oggetti ci parlano della vita di bordo, dei passatempi, del modo di lavorare dell'equipaggio, tutto un attimo prima che l'esplosione della Florence cancellasse tutto, consegnando l'Artiglio e i suoi dodici uomini di equipaggio agli abissi per sempre.
Credo ci volesse un coraggio fuori dal comune, per infilarsi dentro quelle attrezzature così pesanti e primitive, lo stesso Gianni, aveva dichiarato all’epoca che: «L'uomo deve rappresentare l'occhio che osserva per guidare l'opera - diceva - assurdo pretendere che a 70 metri, bloccato da pressioni esterne sproporzionate, egli possa usare le mani e le gambe. Assurdo e sbagliato...».


Credo che le immagini parlino da sole, meglio di ogni altro mio commento, rendendo onore al ricordo di quegli audaci precursori .


Fabrizio Gandino
"Subacqueodisuperficie"





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