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lunedì 18 novembre 2019

Un sommergibile per L'appennino

Foto di Fabrizio Gandino
Particolare del Murales che raffigura il sommergibile


 "Ciò che appare incredibile di questo “sommergibile porrettano” è l’abilità artigiana del suo inventore considerati i mezzi di cui poteva disporre all'epoca, mi è stato detto che chi è riuscito a vederlo ha parlato delle saldature realizzate in modo pressochè perfetto."

Foto di Fabrizio Gandino
Altro particolare del Murales che illustra la destinazione finale del Sommergibile



Credo di avervi già parlato in passato, della storia del Gruppo Subacqueo nato a Porretta Terme (BO) e di quanto lontani dal mare, tra gli appennini, pervicacemente non solo prosperi ma diffonda la passione e la conoscenza del mare ad opera dell'infaticabile Roberto Puzzarini, referente locale del “Casio Divers Group”.
 Enzo Chiarullo – (Ottobre 2012)
Il sommergibile dell'Appennino
Quello che non sapete, e che pure io fino a qualche tempo fa ignoravo, era che le le velleità subacquee degli abitanti di questa parte dell'Appennino sono assai più longeve.
Tempo fa aggirandomi per Porretta Terme, vidi un murales comparire sul fianco di un negozio che sono solito frequentare di tanto in tanto; dovete sapere che io sono un appassionato di mercatini e di cose vecchie e in Via Lungoreno, ad Alto reno Terme (Ex Porretta Terme) si trova un antro caotico, un richiamo irresistibile, un qualcosa di altri tempi: il negozio di un rigattiere.
Vi si trova di tutto, io vi ho persino trovato pezzi di attrezzature subacquee, il proprietario è un signore eclettico, forse un po' eccentrico, con il quale passo del tempo a conversare quando posso e quando non gli riompo troppo le scatole, agitato da grandi passioni e come me appassionato del passato.
 Enzo Chiarullo – (Ottobre 2012)
Francesco Guccini e il sommergibile
Il murales...si dicevo...Ah sì! Scusate, mi perdo esattamente come quando giro tra gli scaffali del suo magazzino, il murales è particolare, raffigura alcune delle cose più conosciute del nostro Appennino Tosco-Emiliano ed altre molto meno note.
Tempo fa, allo scopo di reperire qualche testo che approfondisse la mia ricerca, di cui parlerò in un altro pezzo del Blog, ebbi a parlare con lui di mezzi subacquei e di come l'Italia fu pioniera in questo senso.
Lui senza dire una parola mi prese per un braccio, portandomi all'esterno del negozio, dinanzi al murales e mi indicò una parte di esso, sul lato destro.
Raffigurava stilizzata la nostra ferrovia storica, la Ferrovia Porrettana, una delle prime realizzate nel Regno d'italia, di cui cui abbiamo commemorato da poco i 150 anni e sui binari uno strano...”Veicolo” sui binari...che assomigliava ad una barca.
Naufragio del Bourgogne
E così...seraficamente mi fa la fatal domanda: “Conosci la storia del sommergibile dell'Appennino”?
Ok, cado dalle nuvole, con sorriso sornione si gusta la mia sorpresa, ed inizia a raccontare.
Correva l'anno 1901 e Agostino Lenzi, un fabbro di Silla (oggi frazione del comune di Gaggio Montano, confinante con Alto Reno Terme (BO) decide di partecipare ad un prestigioso premio dedicato alla realizzazione di mezzi per il salvataggio in mare.
Il premio è organizzato a Le Havre in Francia ed è intitolato ad Anthony Pollok, facoltoso avvocato americano (di origine ungherese) scomparso insieme alla moglie durante il naufragio del transatlantico La Bourgogne il 4 luglio 1898 al largo delle coste francesi, la nave francese affonda al largo della Nuova Scozia con il tragico bilancio di 549 morti, per lo più emigranti italiani. All'epoca la tragedia fu un fatto mediatico di grande rilievo, che tenne le pagine dei giornali occupate per diverso tempo. 
Una riproduzione
 
Una curiosità, Pollock era un avvocato piuttosto famoso, titolare dello studio legale “Pollock & Bailey”, fu il principale responsabile dell'accreditamento dell'invenzione del telefono a Bell a scapito dell'Italiano Meucci, ma aveva anche cospicui interessi in una società di telecomunicazioni via cavo (telegrafo), la Western Union.
All'epoca Guglielmo Marconi stava muovendo i suoi primi passi verso quell'invenzione che avrebbe cambiato per sempre le telecomunicazioni: La radio.
Le tragedie del Titanic erano ancora da venire, ma il naufragio della Bourgogne aveva scosso gli animi della gente dell'epoca.
il concorso di Le Havre
Fu così che la famiglia Pollock decise di istituire un concorso con premio in denaro, ignoriamo come il nostro fabbro di Silla ne venne a conoscenza, sicuramente ingolosito dal premio messo in palio dalla famiglia Pollok e altrettanto sicuramente pervaso da quella follia che contraddistingue il genio, si cimentò nella costruzione di un veicolo sottomarino. Ne studia e realizza il progetto, ne produce il prototipo, in qualche modo lo collauda e lo invia a Le Havre usando la Ferrovia Porrettana per il primo tratto a concorrere. Paradossalmente, malagrado il ritrovamento di alcuni documenti, molto è andato perduto e non sappiamo che esito ebbe il concorso e se tanta genialità fu mai premiata.
Quel che è certo è che il Sig. Francesco Guccini, omonimo del cantautore di Pavana, lo aveva da decenni nel suo cortile...in un angolo.
Il Signor Guccini ha infatti raccolto molto materiale documentale per ricostruirne la storia, spingendosi nella sua indagine a verificarne funzionalità ed aspetti tecnici del funzionamento e realizzazione. Fondamentale la sua visita a Le Havre dove ha istituito rapporti di collaborazione con i musei del settore portuale e della navigazione, con storici ed esperti .
Elenco partecipanti al concorso
Il mezzo si presenta come una sorta di battello di salvataggio, per un singolo membro dell'equipaggio utile ad ispezionare i relitti sommersi. Della fattura stupisce l'accuratezza ad iniziare delle particolari borchie utilizzate per realizzare la camera stagna dentro cui una persona potesse alloggiare sul fondo del mare, respirando grazie ad un sistema di pompa a doppio effetto molto simile a quella dei primi palombari. La visibilità era data da una lastra di vetro a tenuta stagna. Ciò che appare incredibile di questo “sommergibile porrettano” è l’abilità artigiana del suo inventore considerati i mezzi di cui poteva disporre all'epoca, mi è stato detto che chi è riuscito a vederlo ha parlato delle saldature realizzate in modo pressochè perfetto.
A quanto pare l'Area dell'Alto Reno aveva una vocazione per il mare, molto prima che noi subacquei di superficie ne sentissimo il richiamo, Agostino Lenzi, un geniale fabbro dell'Alta Valle del Reno, aveva risposto.

 
Il sommergibile e la pompa per l'aria




Buone Bolle!



Le foto del sommergibile e del sig Guccini sono di Enzo Chiarullo (Ottobre 2012 ) e provengono da un suo articolo ( si veda link)



Link:

Il sommergibile dell' appennino: https://www.barchedepocaeclassiche.it/marineria/beni-storici-e-culturali/156-il-sommergibile-dell-appennino.html






Fabrizio Gandino
"Subacqueodisuperficie"



giovedì 22 agosto 2019

La Benna, l'altro relitto di Calafuria


 
E’ innegabile che per i sub i relitti hanno un fascino particolare, poterli rimirare nel silenzio degli abissi ha sempre un che di suggestivo, che spesso instilla una sorta di timoroso rispetto per le storie che hanno dietro il loro affondamento.
La costa di Livorno e il mare ad esso prospiciente non fa eccezione, sappiamo di un relitto del 700’ completo di ancora e cannoni alle Secche di Vada, una cannoniera americana di 40 metri sita a circa 22 metri di profondità dinanzi alla diga foranea di Livorno, la nave da Carico Gino Scardigli a 300 metri dal corridoio dei traghetti dinanzi al porto di Livorno a circa 65 metri di profondità, la nave tedesca Ss Kreta, pattugliatore della Kriegsmarine 167 metri di profondità nelle acque di Capraia e Geierfels e la Freienfels, due enormi piroscafi di costruzione tedesca, lunghi circa 160 metri ciascuno, a circa tre miglia e mezzo a est dell’isola di Gorgona e a 15 da Livorno, a 140 metri di profondità.
Per molti di noi, questi sono relitti che non vedremo mai, vuoi per i limiti dettati dalle areee in cui si trovano, vuoi per i parametri d’immersione che non sono certo alla portata di sub ricreativi.

Calafuria primi del secolo

Tuttavia sott’acqua ormai si trova di tutto, non solo natanti di ogni tipo, epoca e genere ma anche aerei, auto e altro…
Calafuria non fa eccezione… si lo so c’è il relitto della nave etrusca che il Gruppo Archeosub Labronico ha documentato così bene, ma non è di questo che parlerò oggi.
Chiunque si sia immerso a Calafuria ha sicuramente sentito parlare almeno una volta, dagli astanti della “Benna”.
Per me la benna è sempre stato la parte anteriore di un escavatore o di uno spartineve, per cui le prime volte che ne sentii parlare, non capì a cosa si riferissero, si aggiunga a questo che all’epoca delle mie prime immersioni il mio limite erano i 18 mt del mio brevetto Open Water e ci volle un po’ prima di capire.

Facciamo un passo indietro: sino dall’antichità, Calafuria, era un punto di passaggio obbligato per tutte le rotte di cabotaggio (navigazione paralleli alla costa per dirla alla buona) che, dalla Grecia e Magna Grecia, dai centri fenicio/punici e dalla stessa Etruria, conducevano al Mediterraneo occidentale; purtroppo era anche un tratto particolarmente infido per le navi antiche perché scosceso, ripido, privo di approdi e ripari e frequentemente soggetto a improvvise e violente libecciate e altre turbolenze meteomarine che ne giustificano tuttora ampiamente il toponimo.

Questo deve averla resa come tratto di costa, nel corso dei secoli, teatro di ben più di un naufragio, a questo aggiungete che fin dall’antichità sino a tempi collocabili alla metà del secolo scorso, la scogliera di Calafuria e i massicci rocciosi nell’immediato entroterra furono teatro di uno sfruttamento con le cave di Arenaria.
Dall’arenaria Macigno di Calafuria ne veniva estratta una pietra molto apprezzata per stipiti e architravi, pavimentazioni, loggiati ecc., ed impiegata frequentemente nella costruzione di palazzi a Livorno fin dal '500. C’è chi afferma che cave
trasporto via mare
come quella di Calignaia hanno permesso la costruzione di mezza Livorno. Se ne trovano testimonianza nella Fortezza Vecchia con stipiti e architravi, cordoli e pavimentazioni dei cortili, la Camera di Commercio con il suo loggiato frontale e molti elementi architettonici, il Palazzo Rosciano con le grandi colonne situate all'ingresso e molti altri anche di costruzione relativamente recente.
Si pensi che a Calafuria e soprattutto di Calignaia, cessarono del tutto i lavori solo intorno alla meta del '900 concludendo un'esperienza durata due millenni.
Lasciando aperto a tutt'oggi il problema del loro eventuale ripristino ambientale, problema assai complesso soprattutto per le cave più grandi ma divenuto ormai urgente.
Tuttavia C’è chi pensa che il commercio di questo materiale da costruzione non fosse limitato al solo immediato utilizzo nella vicina Livorno, il che ci porta fatalmente a ragionare sul tema di questo articolo.
All’epoca la strada litoranea non era come la conosciamo noi oggi e comunque la roccia pesa, quindi il trasporto via mare poteva essere una soluzione tutt’altro che da scartare.
Da alcune cartoline dell’epoca si possono vedere alcuni particolari che gettano luce sulla storia della nostra “Benna”, che altro non è che un classico carrello da miniera.
i carrelli da miniera
Assai probabilmente quello che possiamo vedere sul fondale non è altro che ciò che resta di un naufragio o di una parziale perdita di carico.
Dovete sapere che ai primi del 900’ il golfetto di Calafuria non era esattamente come lo vediamo oggi, la scogliera sotto il bunker (all’epoca ancora non esisteva) era stata in parte spianata per far posto sembrerebbe ad una sede rotabile che terminava nel muretto che esiste ancora oggi, mentre invece il ponte della strada non esisteva e da sotto il ponte della ferrovia un pontile si spingeva per un bel pezzetto dentro il golfo (si vedano le immagini).
Ma intanto, come di si arriva?
Si può entrare in acqua dal golfetto, oppure scendere a vostro rischio e pericolo bombole in spalla dalla scogliera che digrada davanti al Diving. Entrati in acqua avendo l’accortezza di rimanere davanti alla torre e al solco della sua catena negli scogli, pinneggiare finché dal promontorio alla vostra sinistra non emerge il castello del Boccale e riuscite a vedere la terza finestra. Si scende qui e dovreste trovare sotto di voi la cosiddetta cigliata nord su 15 mt di fondo. La si tiene sulla destra sino ai 30 mt circa, direzione 240°. Qua sulla nostra destra si apre una sorta di Canyon chiuso su tre lati, composto da pareti ricoperte da corallo rosso e spugne gialle sul lato destro. Sul fondale troverete uno pneumatico di camion e poco prima qualcosa di una struttura che mareggiata dopo mareggiata sta emergendo (non ho idea di cosa sia) ed un carrello da miniera con una fiancata distrutta dalla corrosione (La benna) a circa 33 metri di profondità.
Bisogna prestare molta attenzione al fondale fanghiglioso, da cui è fin troppo facile tirare su del sedimento.
Negli anni ci sono tornato diverse volte, fin da quando i miei limiti di brevetto me lo hanno consentito, il carrello sembra emergere maggiormente dopo ogni mareggiata, poco lontano si vede ora una specie di tubo e proprio dove il Canyon si stringe, il posto da cui farete ingresso dall’alto sembra emergere qualcosa da sotto la sabbia.
Tempo fa a causa di un errore di navigazione mi capitò di riemergere vicino al golfetto del Boccale e in quel caso vidi tra le rocce un “secchio” di ferro da miniera pieno di concrezioni, probabilmente parte dello stesso carico a cui apparteneva la nostra benna.
Forse non sarà un granchè come relitto, ma come ogni relitto racconta una storia, e come ogni storia chiede solo di essere ascoltata.
Un ultimo appunto.... guardate l'immagine immediatamente sotto... sembra una chiatta da recupero che sta tirando su un relitto, sarà una coincidenza forse, ma quella, occhio e croce  è la posizione dove oggi dovrebbe trovarsi la benna, inoltre buona visione del video.

L'immagine dovrebbe essere del secondo dopoguerra







Buone Bolle!


Link:







 Gallery:
















Fabrizio Gandino 



"Subacqueodisuperficie"




lunedì 27 maggio 2019

25 maggio 2019 immersione sito "Siluripedio" - Porto Santo Stefano (GR)




“E se si andasse a fotografare/filmare un po’ di nudibranchi?”, era sabato 11 maggio ed eravamo ancora a Calafuria intenti a mangiare il solito panozzo post-immersione quando Marco Moretti se ne venne fuori con questa frase, poi prosegue raccontandoci che a Porto Santo Stefano, nel comune di Monte Argentario vi è un posto con un diving, dove è possibile fare immersioni da terra, e senza spingersi troppo sotto come profondità aguzzando gli occhi c’è un sacco di roba da riprendere, vedere, fotografare.

A stretto giro di comunicazioni sul gruppo whattapp parte la proposta e si raccolgono le adesioni, alla fine il gruppo sarà così composto: Marco Moretti, Salvatore Fabiano, Massy, Carlino, Elena, Gian Paolo “GP”, Micky ed io.
Il posto designato è il “Diving Costa d’Argento”, palestra nota ai fotosub, infatti li vi troveremo anche Francesco Visintin (Si veda articolo del Blog sulla serata Fotosub), quindi tocca fare la solita levataccia anche di sabato, partenza alle 6,30 da Pistoia.
Il viaggio trascorre quieto tra il solito cazzeggio, gli ultimi sguardi alle apparecchiature ecc, arriviamo a Monte Argentario poco prima delle 10.45 e parcheggiamo in uno spiazzo poco sopra il Diving.
Appena sceso dal pulmino vedo queste rovine sul mare, che hanno qualcosa di familiare, e subito ricordo: a Porto Santo Stefano nel Marzo del 1943, quindi in pieno periodo bellico, proprio qui sorgeva il Siluripedio.

Il "Silurificio Moto Fides S.A. di Livorno", aveva bisogno di una struttura per testare i siluri costruiti e commissionati dalla regia marina, si decise quindi di costruirlo proprio qui.
La struttura ebbe un destino sfortunato, iniziata la costruzione nel 1942, fu inaugurata l’anno successivo, non entrò mai davvero in funzione e i bombardamenti Alleati del 1944 successivi all’8 Settembre misero fine ad ogni velleità bellica.
Quel che ne rimane oggi lo potete vedere nelle foto sottostanti, e in acqua è possibile vedere ancora diverse parti metalliche delle strutture, si tratta di un immersione facile che in genere non arriva oltre i 20 metri di profondità, dalla riva il fondale digrada piuttosto velocemente, la prima parte è ghiaiosa, poi arriva la sabbia ed infine una sorta di fanghiglia dal quale è meglio tenersi al largo con le pinne per non sollevare sospensione.

Preparati gli scuba e dopo un piccolo Breafing, si scende dal piccolo molo di destra in acqua, la prima impressione, non è delle migliori, quello che si nota sul fondale sono parecchi detriti di scarti edili ridotti in piccoli pezzi, qualche struttura metallica, ma è solo l prima impressione.
Nonostante l’onnipresente mucillaggine, alla quale ormai dobbiamo fare l’abitudine da qualche anno a questa parte, a causa del riscaldamento dei mari, questo angolo di argentario è un ribollire di vita.
Tra le strutture metalliche che si ergono verso una superficie che non rivedranno mai più è un continuo fiorire di splendidi spirografi di tutte le varietà, fogge e taglie, e poi nudibranchi, nudibranchi a go go.

Triglie che rovistano il fondo, accompagnate qual e là da saraghi e donzelle pavonine, sciarrani, riusciamo anche ad individuare una murena in tana, e un grongo nascosto dentro un tubo, che cercherà di portare via il guanto a Carlino.
Marco riuscirà a trovare anche un polpo, la presenza, sua e dei suoi simili, infatti, era tradita dal numero impressionante di gusci di Arca di Noae, Tartufi di mare e Mactre Coralline di cui il fondale era costellato.
Io individuo anche alcuni ricci di prateria, questa volta in perfetta salute (Meno Male), ovunque è un ribollire di vita, si nuota in mezzo ai banchi di castagnole, certo la visibilità in alcuni punti non è il massimo, ma per noi abituati a Calafuria non è una novità.

In sostanza il luogo si è rivelato una sorpresa inaspettata, certo bisognerebbe tornarci in condizioni migliori, magari dopo che qualche mareggiata ha ripulito del tutto il fondale dalla mucillaggine.
Si fanno due tuffi, ognuno con le sue soddisfazioni, lavaggio attrezzature, merenda e piccola passeggiata sul lungomare di Porto Santo Stefano, prima del ritorno a casa.
Tuffo facile e pieno di soddisfazioni. Da rifare


Buone Bolle!



Attrezzature:
Computer: PUK Mares
Gav: Acquatica Tek Side Smart Twenty
Octopus: Primo stadio MK25 Scubapro, M5 Oceanic,  Secondi stadi Scubapro D400 – SeacSub
Muta : muta stagna CHALLENGER DiveSystem
Pinne : Tech Fin DiveSystem
Maschera: Italica Seac Sub
Immersione da terra - Calafuria (LI)
Temp. Acqua: 18 C°

Link:

Capodomo : Siluripedio





Fabrizio Gandino
Subacqueodisuperficie”











venerdì 5 ottobre 2018

Prime Esperienze: Eurobulker, il gigante sommerso di Carloforte

"Ormeggiammo su una secca, sopra un fondale di circa 12 metri di profondità, sotto di noi guardando con la maschera, dalla superficie potei distinguere una grossa lamiera quadrata e contorta adagiata sul fondo."


l'Eurobulker in un immagine di repertorio


Nel redazionale di apertura del Blog, ho parlato di quella che fu la mia prima immersione da neo brevettato Open Water.
Mi trovavo sull'isola di Sant'Antioco (CI) e smaniavo di tornare in acqua, questa volta però non avevo con me i mie compagni di corso e il gruppo di immersione di Calafuria, quindi presi un po' di informazioni in giro per il paese dai conoscenti che praticavano subacquea.
Mi consigliarono di rivolgermi allo “Shardana Diving” di Calasetta.
Allora non immaginavo dove mi avrebbero portato, ma la meta sarebbe stato il relitto dell'Eurobulker IV.


Mi vedo ancora oggi mentre aiutavo a spingere il carrellino con lo scuba montato, fra gli altri,  fin sulla banchina dove ci aspettava il gommone “Bruscopan II” del Diving.
Il mare era calmo e il tempo soleggiato e caldo, mi ricordo che il motore del natante tossicchiava un po' alla partenza, ma poco dopo eravamo in rotta per “Secca Grande”.
Ormeggiammo su una secca, sopra un fondale di circa 12 metri di profondità, sotto di noi guardando con la maschera, dalla superficie potei distinguere una grossa lamiera quadrata e contorta adagiata sul fondo.
Sapevo del naufragio di una nave carbonifera avvenuto anni prima, ma ignoravo il suo epilogo sino a quel momento.


Dovete sapere che nelle prime ore dell'8 settembre del 2000 l'Eurobulker IV era in navigazione a nord-est dell'Isola di San Pietro, nelle acque dell'omonimo canale, diretta verso Portovesme con un carico di carbone per la centrale Elettrica dell'ENEL della zona. Il naufragio avvenne alle ore 6:45 con la nave che si incagliò sul fondale roccioso della "Secca Grande", una secca situata a poco meno di un miglio a nord-est dell'Isola Piana. La collisione con le rocce aprì uno squarcio che ne allagò le stive facendola adagiare sul fondale relativamente basso. Del personale imbarcato, nessuno perse la vita e tutti i membri vennero tratti in salvo, le operazioni di recupero del carico di carbone e di circoscrizione della chiazza di gasolio fuoriuscito dai serbatoi iniziarono immediatamente, tuttavia le condizioni meteo ci misero del loro fin da subito, costringendo gli operatori ad interrompere le operazioni di recupero più e più volte. Non era possibile cercare di spostare il natante, difatti la Guardia Costiera era convinta che un tentativo di disincagliare la nave avrebbe potuto causare la rottura dello scafo, timore che si rivelò fondato in seguito. Per quasi un mese i tentativi di recupero del carico si susseguirono con fortune alterne, ma durante la notte del 3 ottobre 2000, la nave affondò spezzandosi in due tronconi a causa del forte vento di Maestrale. La parte della poppa rimase incagliata sugli scogli della secca, mentre la maggior parte dello scafo e relativo carico, si inabissarono su un fondale di circa 20 metri. Un paio di settimane dopo la poppa seguì la stessa sorte.
Ricordo l'emozione della discesa sulla catena, e la raccomandazione della mia guida, Orlando Arisci, “Rimani alla distanza di un tiro di fucile da me”, “E quanto è lunga la sagola del tuo fucile?” chiesi io, “Un paio di metri” mi rispose. All'epoca non avevo una fotocamera subacquea, quelle digitali e le Go-Pro scafandrate cominciavano appena a diffondersi e il prezzo era ancora importante. Le immagini che ho di quella mia prima avventura subacquea le devo alla gentilezza di una coppia di sposini freschi che ebbero la cortesia di girarmele via e-mail. La nave era stata smembrata in buona parte, ma questo lo seppi soltanto dopo: prua e sala macchine erano state asportate come molte lamiere dello scafo. La chiglia stessa in alcuni punti sembrava come lo scheletro di una balena morta, con la gabbia toracica snudata, ma la tolda della nave con le relative bitte d'ormeggio alle quali mi appoggiai guardandomi intorno era ancora lì, tutto mi sembrò enorme come una piazza d'armi. Ricordo bene il buio, di quell'antro nero che era il fumaiolo rovesciato, di come un altro Open ed io, rimanemmo all'esterno scrutando fin dove potevamo il visibile.


Mentre eravamo sotto, vedemmo distintamente la chiglia di una grossa barca a vela passarci sopra le teste, in dispregio a qualsiasi segnalazione e regola marittima. Fu la mia prima immersione “da solo”. La sera eccitato mi recai al ristorante di un amico d'infanzia e parlando con lui e altri amici sub del posto, mi dissero che avevano una sorpresa per me. Rimasi seduto ad aspettare qualche minuto e di lì a poco, ci raggiunse un altra persona, un uomo su una sedia a rotelle, parente di uno dei miei amici. Seppi poi che era stato un lavoratore subacqueo, la sua attuale condizione era dovuta ad una MDD, ma prima di questo incidente, lui stesso aveva partecipato ai lavori di smantellamento della nave, mi fornì alcune delle informazioni di cui ho scritto poc'anzi, oltre ad una piacevole serata di aneddoti subacquei sulla sua esperienza.
L'Eurobulker è un immersione facile, adatta agli Open, relativamente priva di rischi specifici, ovviamente non si parla neppure di penetrazione del relitto. Se siete interessati vi consiglio di rivolgervi ai diving di Carloforte sull'Isola di San Pietro, che la includono tra i siti di immersione.


Data Immersione: Agosto 2012

Attrezzature:

Computer: PUK Mares
Gav: Mares Frontier
Octopus: Primo stadio MK10 Scubapro, secondi stadi R190 – M5 Scubapro
Muta : Monopezzo umida 5mm Iceman
Sottomuta : 2,5 mm 
Pinne : Mares Plana
Calzari Scarpa: 5mm Rofos
Maschera: Mares Vedra
Immersione da gommone
Diving: Shardana Diving – Calasetta (CI)
Temp. Acqua: 28 C°

Per Saperne di più:

Eurobulker - Wikipedia

Isola di San Pietro - Eurobulker

Fabrizio Gandino
"Subacqueodisuperficie"