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venerdì 5 ottobre 2018

Prime Esperienze: Eurobulker, il gigante sommerso di Carloforte

"Ormeggiammo su una secca, sopra un fondale di circa 12 metri di profondità, sotto di noi guardando con la maschera, dalla superficie potei distinguere una grossa lamiera quadrata e contorta adagiata sul fondo."


l'Eurobulker in un immagine di repertorio


Nel redazionale di apertura del Blog, ho parlato di quella che fu la mia prima immersione da neo brevettato Open Water.
Mi trovavo sull'isola di Sant'Antioco (CI) e smaniavo di tornare in acqua, questa volta però non avevo con me i mie compagni di corso e il gruppo di immersione di Calafuria, quindi presi un po' di informazioni in giro per il paese dai conoscenti che praticavano subacquea.
Mi consigliarono di rivolgermi allo “Shardana Diving” di Calasetta.
Allora non immaginavo dove mi avrebbero portato, ma la meta sarebbe stato il relitto dell'Eurobulker IV.


Mi vedo ancora oggi mentre aiutavo a spingere il carrellino con lo scuba montato, fra gli altri,  fin sulla banchina dove ci aspettava il gommone “Bruscopan II” del Diving.
Il mare era calmo e il tempo soleggiato e caldo, mi ricordo che il motore del natante tossicchiava un po' alla partenza, ma poco dopo eravamo in rotta per “Secca Grande”.
Ormeggiammo su una secca, sopra un fondale di circa 12 metri di profondità, sotto di noi guardando con la maschera, dalla superficie potei distinguere una grossa lamiera quadrata e contorta adagiata sul fondo.
Sapevo del naufragio di una nave carbonifera avvenuto anni prima, ma ignoravo il suo epilogo sino a quel momento.


Dovete sapere che nelle prime ore dell'8 settembre del 2000 l'Eurobulker IV era in navigazione a nord-est dell'Isola di San Pietro, nelle acque dell'omonimo canale, diretta verso Portovesme con un carico di carbone per la centrale Elettrica dell'ENEL della zona. Il naufragio avvenne alle ore 6:45 con la nave che si incagliò sul fondale roccioso della "Secca Grande", una secca situata a poco meno di un miglio a nord-est dell'Isola Piana. La collisione con le rocce aprì uno squarcio che ne allagò le stive facendola adagiare sul fondale relativamente basso. Del personale imbarcato, nessuno perse la vita e tutti i membri vennero tratti in salvo, le operazioni di recupero del carico di carbone e di circoscrizione della chiazza di gasolio fuoriuscito dai serbatoi iniziarono immediatamente, tuttavia le condizioni meteo ci misero del loro fin da subito, costringendo gli operatori ad interrompere le operazioni di recupero più e più volte. Non era possibile cercare di spostare il natante, difatti la Guardia Costiera era convinta che un tentativo di disincagliare la nave avrebbe potuto causare la rottura dello scafo, timore che si rivelò fondato in seguito. Per quasi un mese i tentativi di recupero del carico si susseguirono con fortune alterne, ma durante la notte del 3 ottobre 2000, la nave affondò spezzandosi in due tronconi a causa del forte vento di Maestrale. La parte della poppa rimase incagliata sugli scogli della secca, mentre la maggior parte dello scafo e relativo carico, si inabissarono su un fondale di circa 20 metri. Un paio di settimane dopo la poppa seguì la stessa sorte.
Ricordo l'emozione della discesa sulla catena, e la raccomandazione della mia guida, Orlando Arisci, “Rimani alla distanza di un tiro di fucile da me”, “E quanto è lunga la sagola del tuo fucile?” chiesi io, “Un paio di metri” mi rispose. All'epoca non avevo una fotocamera subacquea, quelle digitali e le Go-Pro scafandrate cominciavano appena a diffondersi e il prezzo era ancora importante. Le immagini che ho di quella mia prima avventura subacquea le devo alla gentilezza di una coppia di sposini freschi che ebbero la cortesia di girarmele via e-mail. La nave era stata smembrata in buona parte, ma questo lo seppi soltanto dopo: prua e sala macchine erano state asportate come molte lamiere dello scafo. La chiglia stessa in alcuni punti sembrava come lo scheletro di una balena morta, con la gabbia toracica snudata, ma la tolda della nave con le relative bitte d'ormeggio alle quali mi appoggiai guardandomi intorno era ancora lì, tutto mi sembrò enorme come una piazza d'armi. Ricordo bene il buio, di quell'antro nero che era il fumaiolo rovesciato, di come un altro Open ed io, rimanemmo all'esterno scrutando fin dove potevamo il visibile.


Mentre eravamo sotto, vedemmo distintamente la chiglia di una grossa barca a vela passarci sopra le teste, in dispregio a qualsiasi segnalazione e regola marittima. Fu la mia prima immersione “da solo”. La sera eccitato mi recai al ristorante di un amico d'infanzia e parlando con lui e altri amici sub del posto, mi dissero che avevano una sorpresa per me. Rimasi seduto ad aspettare qualche minuto e di lì a poco, ci raggiunse un altra persona, un uomo su una sedia a rotelle, parente di uno dei miei amici. Seppi poi che era stato un lavoratore subacqueo, la sua attuale condizione era dovuta ad una MDD, ma prima di questo incidente, lui stesso aveva partecipato ai lavori di smantellamento della nave, mi fornì alcune delle informazioni di cui ho scritto poc'anzi, oltre ad una piacevole serata di aneddoti subacquei sulla sua esperienza.
L'Eurobulker è un immersione facile, adatta agli Open, relativamente priva di rischi specifici, ovviamente non si parla neppure di penetrazione del relitto. Se siete interessati vi consiglio di rivolgervi ai diving di Carloforte sull'Isola di San Pietro, che la includono tra i siti di immersione.


Data Immersione: Agosto 2012

Attrezzature:

Computer: PUK Mares
Gav: Mares Frontier
Octopus: Primo stadio MK10 Scubapro, secondi stadi R190 – M5 Scubapro
Muta : Monopezzo umida 5mm Iceman
Sottomuta : 2,5 mm 
Pinne : Mares Plana
Calzari Scarpa: 5mm Rofos
Maschera: Mares Vedra
Immersione da gommone
Diving: Shardana Diving – Calasetta (CI)
Temp. Acqua: 28 C°

Per Saperne di più:

Eurobulker - Wikipedia

Isola di San Pietro - Eurobulker

Fabrizio Gandino
"Subacqueodisuperficie"








Si inizia!



"Ascolto l'acqua che mi avvolge, ne considero la temperatura, la trasparenza, le correnti che la spostano. Poi gli occhi si riempiono delle immagini che mi si presentano davanti e le orecchie del respiro e dei suoni improvvisi che si sentono..."




Il momento più stressante per me è quello in cui sgonfio il gav e sono a metà tra fuori e dentro l'acqua. L'ultimo respiro all'aria, ma già nell'erogatore. Mentalmente ripercorro “la vestizione” e le prime cose da fare una volta arrivata alla profondità voluta. Poi tutto svanisce. Inizio a cadere nel mare, scendere, lentamente. Comincio a trasferirmi in un altro luogo, così simile e così diverso da quello cui sono abituata. I pendii della costa, mi ripropongono quelli delle montagne di alta quota, senza alberi, una vegetazione bassa, rocce.

Poi i segnali di ok dai e ai compagni, la posizione orizzontale e la nuova fase dell'avventura di quel tuffo.

Impiego sempre un po' a regolarizzare il respiro, a verificare se l'attrezzatura è a posto o se ha bisogno di qualche sistemazione.

Sono una dilettante, poca esperienza e alcune cose mi preoccupano ancora. Odio avere torce che si muovono al polso o sul gav, ho difficoltà ancora a trovare le tasche, aprirle con le mani coperte dai guanti. Con l’aumentare delle immersioni conoscerò il posto esatto di ogni oggetto, ma sono ancora lontana da questo.

Calafuria 27 Maggio 2018 - foto di Fabrizio Gandino


Ascolto l'acqua che mi avvolge, ne considero la temperatura, la trasparenza, le correnti che la spostano. Poi gli occhi si riempiono delle immagini che mi si presentano davanti e le orecchie del respiro e dei suoni improvvisi che si sentono: un motore lassù, un richiamo di un compagno.

Un nuovo tuffo, una nuova avventura condivisa con gli amici.



Elena







Eccoci qui...noi... Perchè "subacquei di superficie"?



Foto di Marco Moretti
Foto di Marco Moretti
Scoglio delle Scole
Isola del Giglio (GR)
18 giugno2018

"Mi raccomando, rispetta la tua quota del limite di brevetto, 18 metri, e ricordati che noi siamo subacquei di superficie"



Ma sopratutto, perché "Sottosopra la superficie"? Beh perché parleremo di subacquea ricreativa, ma anche e sopratutto di mare e persone, del loro rapporto con il mare, di cui la subacquea non è che un aspetto.
Come dichiaravo nell'intestazione, questo blog nasce dal desiderio di condividere le sensazioni, le emozioni, nate da una passione, varie saranno le persone che contribuiranno a questa pagina, con scritti, foto, filmati, idee e proposte, come diverse sono le nostre formazioni, estrazioni e la nostra esperienza. Ci accomuna non una passione, ma l’amore per il mare, il rispetto per la natura, il desiderio di diffondere la cultura della sicurezza per questo sport a lungo ritenuto erroneamente estremo ed elitario. Cosa mi propongo, anzi cosa ci proponiamo di fare? Vorrei contagiarvi, prendervi per mano e portarvi con noi, in un mondo fatto di suoni ovattati, movimenti lenti, di silenzi rotti solo dal nostro respiro e dal gorgogliare delle bolle, un mondo che occupa la maggior parte del pianeta su cui viviamo, un mondo di cui ignoriamo in massima parte la composizione e l'estensione. Vorrei farvi conoscere, luoghi, creature, persone e instillare un po' di quella sana curiosità che accende e tiene viva una mente. Vorrei farvi innamorare, e farvi sentire davvero parte di qualcosa di davvero molto più grande di noi... e magari riuscire a far capire che rispettare il mare è rispettare anche  noi stessi.
Perchè "subacquei di superficie"? La risposta arriva dal mio corso di Brevetto Open Water, quando alla mia prima immersione da neo brevettato sul relitto della Eurobulker IV, uno dei Dive Master che mi aveva seguito, Roberto Puzzarini, mi fece alcune raccomandazioni.
"Mi raccomando, rispetta la tua quota del limite di brevetto, 18 metri, e ricordati che noi siamo subacquei di superficie". Si trattava di una nave carboniera, la Eurobulker di 16.000 tonnellate di stazza e lunga 180 metri, in rotta di attracco al porto industriale di Portovesme (CI), incagliata e affondata in zona "Secco Grande" al largo dell'Isola di San Pietro.
La profondità massima di quella immersione fu per l'appunto 18 metri, cosa che il responsabile dello Shardana Diving di Calasetta (CI) mi fece rispettare scrupolosamente. Da allora però quel termine, "Subacquei di superficie" mi rimase impresso ed esprime in modo piuttosto esaustivo ed intuitivo le differenze tra noi subacquei ricreativi e i subacquei tecnici. Per chi non conosce le differenze, brevemente spiegherò che i primi hanno un range massimo di profondità di 40 metri, mentre per i secondi si va oltre e con l'ausilio di miscele e attrezzature speciali per la respirazione.
A onor del vero dovete però pensare, sempre che vi sembrino pochi, che 30 metri corrispondono in altezza,  circa ad un palazzo di 10 piani, quindi fare le cose bene ed in sicurezza non è decisamente un optional.
Ora, assennatamente molti tra voi che leggete, senza aver dimestichezza con le immersioni, penseranno che serve una buona dose pazzia per mettere tra te e la superficie una simile distanza d'acqua, senza avere le branchie. Forse ... e forse no... personalmente credo di rischiare assai di più ad andare in bici o correre lungo una statale trafficata di mezzi di ogni genere, e detto per inciso, persino la qualità dell'aria che respiro potrebbe essere migliore.
Ma la verità è che tutto questo è marginale, quelli come noi scendono sott'acqua per far parte per un limitato periodo di tempo di un mondo che al resto dei nostri simili è solo dato immaginare e questo ci ripaga di ogni fatica.
Spero di avervi incuriosito abbastanza ed invogliato nella lettura dei prossimi contributi, buona lettura e buone bolle a tutti voi.

Fabrizio Gandino
"Subacqueodisuperficie"


Foto di Tina Gori