Prima di cominciare ad affrontare questo nuovo argomento, vi avverto che quanto segue è una sorta di tabù per il mondo della subacquea, per molteplici ragioni che andremo via via a discutere, oggi parleremo di uno dei pericoli più insidiosi a cui un subacqueo si può trovare a dover fare fronte e ne parleremo sulla base dell'esperienza personale e senza pretesa alcuna di voler fornire delle soluzioni, ma tutt'alpiù di fornire uno spunto di riflessione e discussione.
Alcuni tra voi ricorderanno l'appuntamento dell'anno scorso portato avanti dal GEAS di Empoli dell'evento con Andrea Bada e le sue imprese subacquee, vi allego il link
dell'articolo di seguito (http://subacqueodisuperficie.blogspot.com/2023/02/emozioni-profonde-caccia-di-relitti-con.html), in quell'occasione la Dottoressa Pamela Ciuffo che segue il gruppo Techdive in qualità di Psicologa, fece un affermazione piuttosto precisa: il nemico peggiore di un sub, specie in queste imprese, è l'ansia, e di come sia vitale riuscire ad elaborare e allenare non solo il fisico, ma anche mente e stato emotivo, ha affermato che mentre per un immersione ricreativa un attacco di ansia può essere gestito, a 130 metri di profondità non c'è nulla da gestire se non si è fatto un certo lavoro prima, semplicemente “sei morto”. Non metto in dubbio la veridicità di queste affermazioni, anche perchè fatte da un terapeuta che ha esperienza sul campo, ma sulla questione della gestione anche a livello ricreativo (che per convenzione viene stabilito alla quota batimetrica massima di -40 m), ritengo non sia affatto così scontata.
Da quel che s , e qui vi invito se siete in grado ad integrare le mie conoscenze usando i commenti, non mi risulta che vi sia una didattica al momento che insegni a gestire un attacco d'ansia, o peggio, di panico in immersione. Anzi per essere più precisi non esiste neppure un segnale concordato per segnalarla, se fossi malizioso, potrei insinuare che persino parlarne sia un tabù.
Ela questione, che pure è riconosciuta come possibilità, viene affrontata solo nel rescue, come se nel percorso precedente a questa tappa non possa avvenire, un po' come se fosse una narcosi d'azoto che non si verifica prima dei 18 metri...niente di più falso.
Perchè ne parlo? Perchè mi è successo di dover affrontare questo tipo di problematica e non una volta sola, su di me e su altri. Ogni tanto qualcuno prova a parlarne, ma c'è una sorta di vergogna/ostracismo/superstizione come se potesse essere un fenomeno contagioso, ma di questo aspetto parleremo dopo.
Quello che posso raccontarvi è la mia personale esperienza, che ora andrò a raccontare. Avvenne durante un immersione invernale, un immersione che avevo già fatto almeno una cinquantina di volte, eravamo in tre, i miei due buddy sono subacquei piuttosto esperti (sebbene questo termine in subacquea può significare molto poco), acqua sui 15 gradi, visibilità a 5 m circa, condizioni piuttosto note a chi si immerge in quel di Livorno.
Tutto era iniziato bene, avevamo superato uno sperone di roccia, dove avevo segnalato ai miei compagni un aragosta in tana a circa trenta metri, avevamo proseguito entrando nel cono d'ombra creato dalla parete che diminuiva sensibilmente visibilità e luce, le torce avevano una scarsa penetrazione in profondità con i loro fasci, cosa per la quale stavamo ridossati alla parete stessa.
Fu a quel punto che accadde: improvvisamente prima una sgradevole, indefinita sensazione, poi via via i battiti nel petto cominciarono ad accellerare, ed il respiro con essi, nessuna ragione apparente. Mi guardai intorno, cercai con lo sguardo i miei compagni e individuai il più vicino a circa 3 metri sotto di me, controllai manometro e computer. Scesi su di lui cercando di controllarmi, ma arrivato vicino, diedi una bella “Bussata” sulla sua bombola.
Lui si girò a guardarmi, gli feci il classico segno con la mano di “Qualcosa non va” seguito da niente altro, come potevo spiegare quel peso sul petto che stava facendo galoppare il mio cuore e il respiro come un cavallo in corsa?, A lui bastò guardarmi. Semplicemente mi fece segno di alzarmi su di un po' e diede un occhiata al mio manometro, constatò che avevo aria in abbondanza.
Feci come mi aveva detto, e con entrambe le mani mi afferrai ad una sporgenza sulla parete, fissando lo sguardo su di essa, ricordo che dinanzi a me vi era un piccolo ciuffo di Parazoantus, le fissai arrivando a scomporre mentalmente ogni particolare a livello subatomico, nel contempo mi imposi di respirare con una cadenza ben precisa. Pensandoci a mente fredda la cosa che più mi stupisce oggi è che in quel momento l'erogatore in bocca lo vedevo irrazionalmente come un impedimento a respirare, l'istinto era di strapparmelo di bocca.
Passò qualche minuto, ma a me sembrò eterno, come era arrivata quella sensazione insinuante e sgradevole allo stesso modo scemò via ed io terminai l'immersione con gli altri senza ulteriori conseguenze.
Mi sono spesso chiesto che cosa abbia scatenato quell'attacco di ansia, e posso affermare con certezza che in quel momento percepii quell'oscurità e quell'acqua fredda come una situazione pericolosa, ostile, ma mi ero immerso almeno un centinaio di volte in quelle condizioni e forse anche peggio.
Attraversavo un forte periodo di stress sul lavoro e nella mia vita privata e la subacquea era la mia valvola di sfogo alla quale non ero disposto a rinunciare.
Purtroppo un piccolo problema fuori da''acqua portato sott'acqua può prendere dimensioni inaspettate e forse era proprio quello che avevo fatto io, non lasciando in superficie i miei problemi , me li ero portati con me e mi ero reso vulnerabile.
Ho parlato con alcuni di questa mie esperienza oltre che con i presenti di quel giorno, avendo peraltro le reazioni più diverse.
Mentre alcuni (molto pochi) pensavano come me che fosse un argomento da affrontare, vi stupirà (o forse no) sapere che le reazioni della maggioranza furono ben altre.
Un istruttore mi disse che
non era un argomento di cui parlare, che avrei fatto meglio a stare
zitto e vendere tutto, perchè “se no con cavolo che un genitore
sapendo di una cosa così gli avrebbe mai affidato un figlio per il
corso Open Water”. Qualcun altro mi disse invece che non era
opportuno parlarne, ma che il fatto di aver affrontato e superato
questa situazione era come un rito di passaggio che avrebbe fatto di
me un sub consapevole. Ora mi sia permessa una piccola osservazione,
una crisi di ansia o panico sott'acqua può avere esiti non proprio
transitori, e smettere l'attività di immersione potrebbe essere solo
il più risibile dei problemi, non devo certo spiegare cosa può
comportare una risalita senza controllo da 30 m in preda al panico,
ma anche una di soli 5m senza rilasciare correttamente l'aria. Certo non è pensabile affrontare certi problemi se non con un supporto specializzato, ma insegnare come sopravvivere per affrontarli non mi sembra una così cattiva idea.
Tutto qui? No, il problema si ripresentò circa sei mesi dopo e li proprio abortii l'immersione, mi accorsi che qualcosa non andava, non me la sentii e non volli rovinare la festa a tutti. Perchè ne parlo oggi? Perchè nel frattempo ne ho parlato con altri amici sub ed ho scoperto di non essere il solo, ho assistito io stesso ad almeno un paio di episodi successi ad altri e ho letto il post di una giovane sub su Facebook, che parlava di un esperienza simile alla mia.
Capisco che ci possa essere una certa vergogna o superstizione nel parlare di questi episodi, ma è importante condividere le esperienze per aiutare gli altri a sentirsi meno soli e più preparati. Forse, creando uno spazio aperto e sicuro per discutere di questi temi, si può ridurre lo stigma associato.
Buone Bolle E buona discussione
Fabrizio Gandino
Subacqueodisuperficie